Pubblichiamo l'introduzione al nuovo lavoro del Maestro Bruno Ballardini, "Lo Zen e l'arte di aprire una porta aperta", edito da Piemme. Nelle prossime settimane pubblicheremo altri brevi estratti, Per chi volesse invece acquistare il libro, qui può già trovarlo online: clicca qui
Riflessioni
pre liminari
Un
tempo avevamo riti che scandivano i momenti più importanti della nostra
esistenza e ci consentivano di rinascere in uno stadio evolutivo nuovo rispetto
a quelli precedenti, più consapevoli, più maturi, capaci di vedere il mondo con
occhi nuovi. Erano i cosiddetti riti di passaggio, che stabilivano ad esempio
il passaggio dall’adolescenza all’età giovanile o dalla gioventù all’età
adulta, dalla maturità alla vecchiaia. Un patrimonio che ormai è andato perso,
a parte alcuni modelli moderni già totalmente svalutati come il servizio
militare (finché c’era l’obbligo della leva), il fidanzamento, lo scoutismo, i
riti religiosi come quelli del battesimo e della cresima, o i riti esoterici
delle varie sette di moda oggi. Sopravvive ancora qualche traccia della loro
funzione originale negli esami universitari e nella festa di laurea, nel test
d’assunzione, nell’addio al celibato, nel matrimonio e nel funerale
(ovviamente, per chi resta). Ma l’umanità di oggi, persi quei riti, resta
sospesa in un’eterna condizione infantile, non avendo più chiaro quando debba
avvenire il passaggio nell’età adulta, e senza più una chiara consapevolezza
dei ruoli che deve ricoprire nelle varie stagioni della vita, con l’assunzione
di responsabilità che comporta.
I
riti di passaggio erano incentrati prevalentemente sulla simbologia della
soglia: una porta, un cancello o in generale un confine, che doveva essere
attraversato morendo a se stessi per poi rinascere. Tutto sembrava cambiare,
eppure tutto restava come prima: eravamo noi ad aver cambiato condizione,
avendo in quel passaggio acquisito un ruolo diverso, riconosciuto dalla
società. Era come aprire gli occhi di nuovo per la prima volta. In effetti, la
pratica dello Zen consiste in un percorso analogo che produce un grande
cambiamento proprio nella nostra visione del mondo. C’è un famoso aneddoto a
questo riguardo. Una volta fu chiesto a Daisetz Teitaro Suzuki, uno degli
ultimi grandi maestri e studiosi Zen dell’epoca moderna, quale fosse il
risultato della pratica. Lui disse: «Prima di studiare lo Zen gli uomini sono
uomini e le montagne sono montagne. Studiando lo Zen le cose si confondono un
poco. Dopo aver studiato Zen gli uomini sono di nuovo uomini e le montagne
montagne». Gli fu chiesto allora quale sia la differenza tra il prima e il
dopo. E Suzuki rispose: «Nessuna differenza, solo che dopo i piedi sono un
tantino staccati da terra». Il processo cui accennava Suzuki coincide
esattamente con la descrizione che gli antropologi fanno dei riti di passaggio,
suddividendoli in tre fasi. Una fase pre liminare in cui avviene la
preparazione alla separazione dal mondo e l’ingresso nella realtà rituale,
ovvero la fase in cui ci si accinge ad attraversare la soglia e l’attimo stesso
in cui viene attraversata. Poi, una fase liminare in cui si svolge il rito, in
cui tutta la nostra visione del mondo viene sconvolta e rimessa in discussione.
E infine, una fase post liminare con il ritorno e la reintegrazione del
soggetto nella sua vita ordinaria. Ora, siccome in realtà lo Zen tende a far
diventare meditazione ogni momento della nostra vita quotidiana, si può dire
che in un certo senso ci sottoponga a un unico continuo rito di passaggio,
facendoci attraversare un numero illimitato di soglie – cioè di morti e di
rinascite, tutte qui e ora – fino a farci trovare al cospetto della grande
porta di cui parla questo libro. La vera differenza con i riti di passaggio
consiste nel fatto che nello Zen questo cammino va compiuto individualmente e interiormente.
Non c’è nessuna cerimonia, nessuna festa né prima né dopo, non c’è la comunità
ad applaudirci, e questo passaggio non può essere riconosciuto da nessuno al di
fuori di noi, a parte un maestro. Cosa si vedrà una volta varcata la soglia non
può essere detto. Non avrebbe senso. Ma se per tutta la vita ci eserciteremo a
farlo, potremo sconfiggere perfino la morte lasciando in eredità ciò che
abbiamo scoperto a chi verrà dopo di noi.
Impariamo
a fare un piccolo gesto rivoluzionario che può cambiare tutto: cambiando la
nostra visione del mondo, cambieremo noi stessi, cambiando noi stessi,
cambieremo il mondo. Questo certamente non si può apprendere leggendo un libro:
i libri non insegnano nulla, possono al massimo suggerire un modo diverso di
rapportarci col mondo e ispirare l’intenzione di sperimentarlo. Il resto
dobbiamo farlo noi, rischiando in prima persona. Queste pagine sono in fondo
soltanto un lungo pre liminare che vi auguro di lasciarvi presto alle spalle.
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