mercoledì 8 agosto 2018

Scendere dalla schiena della tigre

Raimon Panikkar 1918-2010


DOMANDA: Prof. Lei chiama lo sviluppo “tigre”, perché? 

RISPOSTA: l’attuale modello di sviluppo che si basa su un sistema 
economico che fa prevedere la miseria di gran parte del pianeta come  condizione per il benessere di pochi privilegiati, denuncia da sé la sua  inadeguatezza. Inoltre, lo sviluppo pare che stia sempre più diventando 
autonomo dall’uomo: non è più uno strumento di cui l’uomo si serve per 
migliorare la propria vita, è un essere a sé stante che ha come primario  obiettivo la propria conservazione. 
Storicamente, l’economia e il commercio sono stati importanti motori dei 
contatti tra le culture; spesso gli scambi economici si sono trasformati in  scambi anche culturali, basti pensare al processo di ellenizzazione del 
mondo romano o agli elementi orientaleggianti di cui si è arricchita  l’architettura delle antiche repubbliche marinare.. 
Oggi tutto è diventato più veloce ed automatizzato, tanto che gli scambi  commerciali non favoriscono più gli incontri tra gli uomini. Inoltre, la 
civiltà occidentale, forte di una fiorente economia, minaccia di assorbire le  più deboli culture dell’America latina, dell’Africa, dell’India, dell’Asia. 
Per me la globalizzazione non corrisponde a nulla di positivo: non si può 
pensare ad un governo mondiale, ad una moneta mondiale, ad un solo  sistema mondiale.
Questo è un vero e proprio terrorismo dello sviluppo. 
E’ una tigre sulla cui groppa è seduto l’uomo, assolutamente impotente di 
fronte alle decisioni della belva. La grande sfida alla contemporaneità, è  quella di riuscire a scendere dalla sua schiena senza farsi mangiare. 

DOMANDA: e come si fa a non farsi mangiare? 

RISPOSTA: nell’uomo esiste una dimensione che sfugge alla logica.  Mentre l’uomo occidentale ormai l’ha dimenticata, è ancora molto  presente in altre culture. Potrebbe esserci una mutua fecondazione, in un 
dialogo che dia spazio e dignità ad entrambi gli interlocutori. I cristiani,  poi, dovrebbero tornare al Vangelo. Una signora chiese: ma come si fa  questo? E la risposta fu:- Nulla è impossibile. L’unica cosa che vale la  pena, è di cercare di fare l’impossibile. Non ho ricette :le prediche sono  ricette e a me non piace fare prediche. Questa è la sfida: creare una nuova  situazione dinanzi all’impossibile Il giovane di fronte a questo resta  perplesso: io gli dico: cammina da solo, scopri il senso della tua vita e di  quanto ti sta attorno .Io non cammino per voi. La speranza è del presente,  non del futuro. Poniti di fronte agli altri non per eliminare le differenze, ma per incontrarli consapevolmente, nella loro peculiarità. 

DOMANDA: una nuova situazione, di fronte all’invadenza della  globalizzazione, potrebbe essere un dialogo più stretto e più sincero tra le  culture? 

RISPOSTA: Che cosa accadrebbe se noi semplicemente smettessimo di affannarci a costruire questa tremenda torre unitaria? Che cosa, se invece  dovessimo rimanere nelle nostre belle piccole capanne e case e focolari  domestici e cupole e incominciassimo a costruire sentieri di comunicazione  (invece che solo di trasporto), che potrebbero col tempo convertirsi in vie  di comunione, fra differenti tribù, stili di vita, religioni, filosofie, colori,  razze e tutto il resto? E anche se non riuscissimo ad abbandonare il sogno  del sistema monolitico della Torre di Babele che è diventato il nostro  incubo ricorrente, questo sogno di un’umanità unitaria non potrebbe  essere soddisfatto costruendo semplicemente strade di comunicazione  piuttosto che un gigantesco impero, vie di comunicazione invece che di 
coercizione, sentieri che possono condurci al superamento del nostro  provincialismo, senza spingerci tutti nello stesso sacco, nello stesso culto,  nella monotonia della stessa cultura? 

DOMANDA: lei vuol dire che negli occidentali, specie nei giovani, vi  dovrebbe essere più umiltà nel disporsi alle differenze culturali, più 
apertura ad accogliere l’altro così com’è? 

RISPOSTA: Il dialogo sincero è quello che mi toglie l’ingenuità di pensare che quello che è valido per me è valido per tutti. Scoprire che  anch’io, io il cristiano, io il buddhista, io il moderno, io lo scienziato, io  qualsiasi altro tipo, ha presupposti non analizzati che io non posso vedere 
e che ho bisogno dell’altro perché me li scopra. Solo partendo da questo è possibile parlare di pluralismo. Nel momento in cui si accetta la  contingenza della propria cultura e ci si rende consapevoli del fatto che  non esiste una verità unica, ci si può aprire all’Altro. Il pluralismo è molto più della tolleranza; nasce dalla consapevolezza dell’inconciliabilità tra le culture e dell’irriducibilità dei sistemi. Bisogna anche ricordarsi che 
le culture non sono folklore. L’America ed il Quebec si definiscono multiculturali per il fatto che ospitano ristoranti e negozi tipici d’altre culture, ma non c’è nulla di più falso: non è pensabile ridurre le culture a queste loro manifestazioni. Ogni cultura ha valori diversi, e questi si traducono in comportamenti diversi nei rapporti tra le persone, in differenti concezioni dell’umano e del divino, in diverse percezioni del tempo e dello spazio e, non da ultimo, in differenti sistemi economici. 
Pluralismo, multiculturalità, significa tenere in considerazione queste differenze e lasciare loro lo spazio di esprimersi. Lo stato attuale delle cose  è ben lontano dalla prospettiva del dialogo rispettoso. L’occidente ha  imprigionato il resto del mondo nella logica dello sviluppo, pretendendo 
da esso un’evoluzione uguale alla propria, e stigmatizzando gli altri paesi  con espressioni come "paesi sottosviluppati" o, nella migliore delle ipotesi, 
"paesi in via di sviluppo". Non c’è scampo: la strada è quella segnata dal  mondo occidentale, e tutti ci arriveranno, chi prima chi dopo. 

DOMANDA: Non è troppo entusiasta della cultura moderna…o no? 

RISPOSTA: La tecnocrazia è senz'altro l'aspetto che più caratterizza la  cultura moderna occidentale, oltre al fatto di essere paneconomica ed una  american way of life. Essa ha reso tutto monetizzabile e dipendente 
dall'economia: il tempo, l'educazione, il matrimonio, il nutrimento, la mia 
salute, le mie credenze, la mia felicità. Tutto ha un coefficiente economico,  ossia, in altre parole, quantificabile. L'american way of life è la mentalità  che si dichiara soddisfatta di questo tipo di cultura. Certo, dal punto di vista pratico ci sono delle cose da correggere, da migliorare, ma dal punto  di vista teorico questa civiltà basta a dare all'uomo la felicità. L'uomo -  secondo l'antropologia che sta alla base di queste convinzioni- non è che 
un insieme di bisogni. Se gli si offrono i mezzi per soddisfarli, l'uomo è felice. Questo tipo di mentalità e di cultura non è universale né universalizzabile. E non lo è né da un punto di vista qualitativo, per i  motivi sopra esposti, né da un punto di vista quantitativo: il 6% della  popolazione mondiale consuma il 40% delle risorse disponibili e ne controlla il 60%. Le possibilità e le risorse del pianeta sono limitate. Nella  prima metà del secolo il sistema economico mondiale era relativamente aperto. Ora il sistema è chiuso e in un sistema chiuso ogni aumento in una regione comporta una diminuzione in un'altra. Viviamo un aumento costante d’entropia. Il nostro stile di vita non può essere mantenuto su scala mondiale. Nel complesso tecnocratico ogni progresso implica un regresso in un altro ambito. La cultura moderna contiene in se stessa il germe della propria autodistruzione. È proprio quel desiderio d’assoluto, d’infinito, che la sorregge, ciò che provocherà la sua inevitabile fine. 
Quando il desiderio d’assoluto non si esprime nella sfera, appunto,  dell'assoluto, ma in quella del relativo, del materiale, non può che 
diventare una specie di cancro autodistruttore, perché ciò che è limitato  non può sostenere uno slancio infinito. 

DOMANDA: già, che n’è del sacro, oggi? 

RISPOSTA: il divino, l'umano e il terrestre - o in ogni caso li si voglia  chiamare- sono le tre dimensioni irriducibili che costituiscono il reale, in 
altre parole qualsiasi realtà in quanto tale. Tutto ciò che esiste presenta questa struttura, triplice e unica, espressa in queste tre dimensioni che si 
generano reciprocamente ma non sono riducibili l'una all'altra. Vi è un'unica relazione, benché intrinsecamente triplice, che esprime la costituzione ultima della realtà. La realtà mostra questa triplice dimensione: un aspetto metafisico (trascendente), un fattore pensante e un elemento fisico o materiale. A livello umano, poi, questo principio si esplica nei tre fondamentali modi di percepire la realtà: l'esperienza sensibile, l'esperienza intellettuale e l'esperienza sopra- conoscitiva e  totale che trascende il pensiero. Il sacro, il divino non si può imprigionare nei teismi: monoteismo, deismo, politeismo, panteismo, ateismo, cioè  qualsiasi concezione che voglia localizzarlo in un luogo speciale. Sia che  questo luogo non esista (ateismo), sia che questo luogo stia al di sopra, al  di dentro o dappertutto. La realtà è di natura cosmoteandrica. 

DOMANDA: lei segue con interesse le manifestazioni dei giovani, quale input darebbe loro, in particolare? 

RISPOSTA: non faccio prediche, dico loro di vivere con sincerità e basta.  Per i cristiani il sermone della montagna è quanto mai lapidario e preciso:  è quanto basta per vivere la vita nella sua pienezza. La vita è unica per  ciascuno di noi e quindi, incomparabile. Di essa si è perso il senso mistico 
e siamo diventati soltanto animali razionali o computer molto sofisticati.  Nel Vangelo la vita è eterna e noi qui siamo stati invitati solo per un certo 
tempo. 

DOMANDA: lei spesso focalizza l’attenzione su due donne : Chiara d’Assisi e Maria di Magdala che nella loro vita hanno vissuto la mistica e 
la bellezza. Pensa che le donne di oggi siano ancora capaci di queste  scelte? 

RISPOSTA: lei non mi farà una domanda che riguarda circa due miliardi di persone! Le donne devono superare questo patriarcalismo che esiste 
dappertutto: nella politica, nello sport, nella società, nella chiesa e,  soprattutto, in mezzo ai preti che è una razza in estinzione. Le caste  finiranno, però non c’è solo la morte, ma pure la risurrezione e la trasformazione totale del cosmo, delle persone, delle società e…dei preti. 

DOMANDA: ha più speranza nella società di oggi, oppure in quella in cui è vissuto trent’anni fa? 

RISPOSTA: ci sono cose migliori ed altre peggiori. Migliori: una certa  tolleranza e conoscenza degli altri che non si possono eliminare, né bruciare. Peggiori : l’ipocrisia, il potere, le guerre e la tecnocrazia.



© Tora Kan Dōjō
www.iogkf.it







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