venerdì 22 novembre 2024

Il Pensiero prima del Pensiero

 

Pubblichiamo l'estratto di un Insegnamento offerto da Taigō Sensei durante la Pratica Zen al Tora Kan Dojo.

Tornate al vostro respiro, alla postura, e attraverso questo tornare abbandonate quella mente che tenta di afferrare. “Aprite la mano del pensiero”, esortava Uchiyama Roshi.
Abbandoniamo quella modalità con cui di solito usiamo il pensiero, o meglio, quella modalità che ci porta ad essere usati dal pensiero. Non si tratta di non pensare, si tratta di pensare dal fondo profondo del non pensiero, ‘Hishiryo’.
La mente è come un oceano, se noi ci immergiamo nelle profondità della mente, come quando ci immergiamo nelle profondità dell’oceano, guardando in alto possiamo vedere come in superficie sia un continuo movimento di onde piccole e grandi, vortici, correnti … ma nella profondità tutto si acquieta.
Eppure è la stessa mente.
Quando siamo in superficie siamo coinvolti, a volte travolti dalle onde e dalle tempeste, dalle correnti che agitano la nostra mente, ma se noi attraverso il respiro, la postura, il nostro Zazen, riusciamo ad installarci nelle profondità di questo fondo di non pensiero, possiamo osservare serenamente tutte le tempeste che agitano il nostro pensiero.
Spesso accade che quando sediamo è come se la nostra mente si ribellasse al nostro tentativo di non volerci fermare alla superficie, al voler andare in profondità … allora lo stare solo semplicemente seduti, ‘Shikantaza’, appare noioso, poco attraente, ma questo pensiero sorge nel momento in cui è avvenuta una disconnessione, non siamo più connessi con la nostra postura, con lo Zazen; solo allora possiamo trovarlo poco interessante, noioso. Finché siamo unificati pienamente nell’azione del sedere non ci sarà spazio né tempo per annoiarsi e questo accade in ogni momento della nostra esistenza quotidiana.
Se noi troviamo noioso il lavare una scodella è perché in quel momento siamo disconnessi da quello che stiamo facendo e vivendo, dal lavare la scodella, da quello che percepiamo.
La nostra mente è già fuggita altrove, nel passato o nel futuro e allora subentra la noia, subentrano tanti aspetti che non ci permettono di vivere pienamente quell’esperienza. Eppure quel gesto è sempre nuovo, le sensazioni sono sempre diverse. Lavare una scodella può essere ogni giorno una nuova avventura, un’esplorazione nel percepire i nostri gesti in relazione a quell’oggetto, le sensazioni che ci ritornano.
I gesti che compiamo quotidianamente possono essere sempre più raffinati ed efficaci.
La nostra vita quotidiana diviene il nostro ‘laboratorio spirituale’.
Che differenza c’è tra il far girare una scodella tra le mani nel lavarla ed il compiere un passo di danza? Perché dobbiamo pensare che un gesto sia più nobile di un altro, o che compiere un passo di danza ci rimandi ad una consapevolezza ed una presa di coscienza più profondi o diversi dal tenere in mano una scodella e delicatamente prenderci cura di questa nel lavarla? Non è assolutamente così; diffiderei di un ballerino che non danza mentre lava una ciotola. Avrei seri dubbi sulla sua comprensione di cosa sia davvero la danza.
Quando c’è implicazione, trasporto, presenza, c’è anche bellezza. Senza ombra di dubbio. Quando ricerchiamo la bellezza dobbiamo necessariamente muoverci nella direzione dell’equilibrio, dell’armonia, dell’efficacia.
Ecco perché il ricercare la bellezza e l’armonia nel Dōjō, e quindi nella vita quotidiana, è indissolubilmente legato alla qualità del nostro pensiero e della nostra consapevolezza, della nostra capacità di unificare il corpo e la mente nell’azione. Implica sia un aspetto interiore che un aspetto esteriore che in qualche modo devono fondersi nella nostra azione. Anche quando sediamo in Zazen, c’è un aspetto interiore in cui i contorni si sfumano fino a confondersi … esteriorità ed interiorità si condizionano vicendevolmente.
Ecco perché il mio maestro diceva “l’abito fa il monaco”. Quell’abito, che è innanzi tutto un abito mentale, ti costringe a rivedere tutto il tuo modo di pensare, muoverti, interagire con lo spazio e le cose, ti costringe ad un’altra qualità di presenza. Quindi non è un accessorio che possiamo indossare e dismettere a piacimento.
Sediamo in Zazen prendendoci cura di quella che apparentemente può sembrare un’immagine esteriore: la postura ben diritta, ma il nostro tendere verso quell’immagine ideale, quello sforzo interiore che non si vede dall’esterno, è quello che fa il nostro Zazen.
Ecco perché Dōgen Zenji dopo aver descritto scrupolosamente la postura di Zazen, facendo un lungo elenco che comprende anche le caratteristiche del luogo dove ci sediamo, addirittura la temperatura della stanza, alla fine dice: ma attenti perchè lo Zazen non è solo sedere. Dobbiamo essere in grado di essere in Zazen anche mentre laviamo una scodella.. È molto importante comprendere questo perché lo Zazen non diventi una tecnica che sarebbe una completa deviazione da quello che è lo Zazen del Buddha.
Questo ‘Installarsi’nel pensiero Hishiryo, accedere alla dimensione più profonda della mente permette di osservare in profondità.
Pensate ad esempio quando vi alzate al mattino e magari resistete all’idea di sedervi in Zazen e quando poi invece vi sedete su quel cuscino riuscite a realizzare quanto la vostra mente sia agitata, stia rincorrendo passato e futuro … ma il fatto che voi seduti in Zazen  vedete questo chiaramente è già la realizzazione, è già trasformativo. Quei pensieri che si rincorrono non sono più gli stessi pensieri, la loro qualità si è già trasformata. Quando si dice che Zazen è Hishiryo non significa che il pensiero scompare, ma che cambia il modo in cui noi siamo consapevoli del nostro pensiero, lo osserviamo e non ne siamo più condizionati.
Allora, vi capiterà anche quando state in fila all’ufficio postale, che in un momento torniate alla vostra postura e al respiro, e vedrete la vostra mente riflessa come in uno specchio … e probabilmente un sorriso apparirà sul vostro viso, perché avrete capito che voi non siete quella mente e non può più ingannarvi, intrappolarvi nelle sue illusioni.
Potrete accogliere allora il pensiero, qualunque pensiero, come si accoglie un soffio di vento che attraversa la nostra stanza che magari in quel momento fa volare i nostri fogli, ma noi sappiamo che basterà chinarci a raccoglierli.

Trascrizione a cura di Monica Tainin

















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