sabato 8 settembre 2018

Lo Zen e L'Arte di aprire una porta aperta


Pubblichiamo l'introduzione al nuovo lavoro del Maestro Bruno Ballardini, "Lo Zen e l'arte di aprire una porta aperta", edito da Piemme. Nelle prossime settimane pubblicheremo altri brevi estratti, Per chi volesse invece acquistare il libro, qui può già trovarlo online: clicca qui
Riflessioni pre liminari

Un tempo avevamo riti che scandivano i momenti più importanti della nostra esistenza e ci consentivano di rinascere in uno stadio evolutivo nuovo rispetto a quelli precedenti, più consapevoli, più maturi, capaci di vedere il mondo con occhi nuovi. Erano i cosiddetti riti di passaggio, che stabilivano ad esempio il passaggio dall’adolescenza all’età giovanile o dalla gioventù all’età adulta, dalla maturità alla vecchiaia. Un patrimonio che ormai è andato perso, a parte alcuni modelli moderni già totalmente svalutati come il servizio militare (finché c’era l’obbligo della leva), il fidanzamento, lo scoutismo, i riti religiosi come quelli del battesimo e della cresima, o i riti esoterici delle varie sette di moda oggi. Sopravvive ancora qualche traccia della loro funzione originale negli esami universitari e nella festa di laurea, nel test d’assunzione, nell’addio al celibato, nel matrimonio e nel funerale (ovviamente, per chi resta). Ma l’umanità di oggi, persi quei riti, resta sospesa in un’eterna condizione infantile, non avendo più chiaro quando debba avvenire il passaggio nell’età adulta, e senza più una chiara consapevolezza dei ruoli che deve ricoprire nelle varie stagioni della vita, con l’assunzione di responsabilità che comporta.

I riti di passaggio erano incentrati prevalentemente sulla simbologia della soglia: una porta, un cancello o in generale un confine, che doveva essere attraversato morendo a se stessi per poi rinascere. Tutto sembrava cambiare, eppure tutto restava come prima: eravamo noi ad aver cambiato condizione, avendo in quel passaggio acquisito un ruolo diverso, riconosciuto dalla società. Era come aprire gli occhi di nuovo per la prima volta. In effetti, la pratica dello Zen consiste in un percorso analogo che produce un grande cambiamento proprio nella nostra visione del mondo. C’è un famoso aneddoto a questo riguardo. Una volta fu chiesto a Daisetz Teitaro Suzuki, uno degli ultimi grandi maestri e studiosi Zen dell’epoca moderna, quale fosse il risultato della pratica. Lui disse: «Prima di studiare lo Zen gli uomini sono uomini e le montagne sono montagne. Studiando lo Zen le cose si confondono un poco. Dopo aver studiato Zen gli uomini sono di nuovo uomini e le montagne montagne». Gli fu chiesto allora quale sia la differenza tra il prima e il dopo. E Suzuki rispose: «Nessuna differenza, solo che dopo i piedi sono un tantino staccati da terra». Il processo cui accennava Suzuki coincide esattamente con la descrizione che gli antropologi fanno dei riti di passaggio, suddividendoli in tre fasi. Una fase pre liminare in cui avviene la preparazione alla separazione dal mondo e l’ingresso nella realtà rituale, ovvero la fase in cui ci si accinge ad attraversare la soglia e l’attimo stesso in cui viene attraversata. Poi, una fase liminare in cui si svolge il rito, in cui tutta la nostra visione del mondo viene sconvolta e rimessa in discussione. E infine, una fase post liminare con il ritorno e la reintegrazione del soggetto nella sua vita ordinaria. Ora, siccome in realtà lo Zen tende a far diventare meditazione ogni momento della nostra vita quotidiana, si può dire che in un certo senso ci sottoponga a un unico continuo rito di passaggio, facendoci attraversare un numero illimitato di soglie – cioè di morti e di rinascite, tutte qui e ora – fino a farci trovare al cospetto della grande porta di cui parla questo libro. La vera differenza con i riti di passaggio consiste nel fatto che nello Zen questo cammino va compiuto individualmente e interiormente. Non c’è nessuna cerimonia, nessuna festa né prima né dopo, non c’è la comunità ad applaudirci, e questo passaggio non può essere riconosciuto da nessuno al di fuori di noi, a parte un maestro. Cosa si vedrà una volta varcata la soglia non può essere detto. Non avrebbe senso. Ma se per tutta la vita ci eserciteremo a farlo, potremo sconfiggere perfino la morte lasciando in eredità ciò che abbiamo scoperto a chi verrà dopo di noi.

Impariamo a fare un piccolo gesto rivoluzionario che può cambiare tutto: cambiando la nostra visione del mondo, cambieremo noi stessi, cambiando noi stessi, cambieremo il mondo. Questo certamente non si può apprendere leggendo un libro: i libri non insegnano nulla, possono al massimo suggerire un modo diverso di rapportarci col mondo e ispirare l’intenzione di sperimentarlo. Il resto dobbiamo farlo noi, rischiando in prima persona. Queste pagine sono in fondo soltanto un lungo pre liminare che vi auguro di lasciarvi presto alle spalle.

Bruno Ballardini


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