martedì 7 luglio 2020

Lo stato naturale in assenza dell'io

Una volta mi chiesero: “L’osservare, non è una pratica dualistica? 
Quando osserviamo, qualcosa sta osservando qualcos’altro”. In realtà non è dualistica, perché l’osservatore è vuoto. Invece di un osservatore, potremmo parlare con più precisione di un semplice osservare. Non c’è nessuno che ode, c’è soltanto l’udire. Non c’è nessuno che vede, c’è soltanto il vedere. Ma non lo capiamo. Una pratica intensa insegna che, non solo l’osservatore è vuoto, ma è vuota anche la cosa osservata. A questo punto l’osservatore, o il testimone, scompare. È lo stadio terminale della pratica, non preoccupiamocene troppo presto. Perché l’osservatore alla fine scompare? Quando niente vede niente, cosa resta? 
La meraviglia della vita. Nessuno è separato da nulla. C’è soltanto la vita che vive: udire, toccare, vedere, odorare, pensare. È lo stato dell’amore, o compassione. Non ‘Sono io’ ma ‘Sei tu’. Perciò, la pratica che ho trovato più efficace è la crescita dell’osservatore. Ogni volta che ci adiriamo l’abbiamo perso, perché l’osservatore non può adirarsi. Il ‘niente’ non può adirarsi. Se siamo l’osservatore, possiamo osservare qualunque spettacolo con interesse e con affetto, senza alcun turbamento. Non conosco nessuno che si sia assorbito totalmente nell’osservare, ma c’è una rimarchevole differenza tra chi sa osservare per la maggior parte del tempo e chi lo fa sporadicamente. Scopo della pratica è allargare questo spazio impersonale. Anche se sembra freddo, e nella viva pratica è freddo, non produce persone fredde. Tutto il contrario. Quando arriviamo allo stadio in cui il testimone scompare, incominciamo a conoscere la vita. Non immaginate qualcosa di spettrale; significa solo che, guardando un altro, lo guardo realmente, senza aggiungere diecimila congetture a ciò che vedo. Questa è la spaziosità della compassione. Non dobbiamo affannarci a cercarla: è lo stato naturale in assenza dell’io.
Siamo diventati esseri assai poco naturali. Ma, nonostante tutti i problemi, abbiamo una possibilità che gli animali non hanno. Un gatto è meraviglia ma non lo sa, la vive semplicemente. Come esseri umani, abbiamo la possibilità di saperlo. Per quanto ne so, siamo le uniche creature sulla faccia della terra in grado di farlo. Essendoci data questa possibilità (essere fatti a immagine di Dio), dovremmo provare una gratitudine infinita di poter capire cos’è la vita e chi siamo noi.

Charlotte Joko Beck 
tratto da ‘Zen quotidiano’ ed. Ubaldini


© Tora Kan Dōjō















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