giovedì 8 agosto 2019

Retto sforzo


Retto sforzo (samyak pradhāna), o retta diligenza, è il genere di energia che ci aiuta a realizzare il Nobile Ottuplice Sentiero. Se ci sforziamo per ottenere beni, cibo o sesso facile, quello sforzo non sarà retto; se lavoriamo ventiquattr'ore al giorno per il profitto o per la fama o per sfuggire alla nostra sofferenza, anche quello non sarà retto sforzo. Da fuori appariremo forse come persone diligenti, ma non si tratterà di retta diligenza. Lo stesso vale per la nostra pratica di meditazione: possiamo apparire diligenti nella pratica, ma se questa ci allontana dalla realtà o da coloro che amiamo il nostro non è retto sforzo. Praticare la meditazione seduta o camminata in modi che provochino sofferenza al corpo o alla mente non è retto sforzo e non si basa sulla retta visione. La nostra pratica dovrebbe essere intelligente, fondata sulla retta comprensione dell'insegnamento: non possiamo dire di praticare il retto sforzo semplicemente perché ce la mettiamo tutta. 
In Cina, durante la dinastia T'ang, c'era un monaco che praticava la meditazione seduta strenuamente, giorno e notte. Era convinto di praticare meglio di chiunque altro, e ne andava molto fiero. Sedeva giorno e notte, stabile come una roccia, ma la sua sofferenza non ne era trasformata. 
Un giorno un Maestro(1) gli chiese: 
"Perché pratichi tanto?", e il monaco gli rispose: "Per diventare un Buddha!". 
Il Maestro prese in mano una mattonella e cominciò a strofinarla; il monaco gli chiese: "Maestro, che fai?", e il Maestro rispose: "Sto facendo uno specchio". Il monaco domandò: "Come puoi di una mattonella fare uno specchio?", e il Maestro replicò: "E tu come puoi diventare un Buddha solo standotene seduto?". 

Le quattro pratiche che di solito si associano al retto sforzo sono: 

1) impedire ai semi non salutari non ancora manifesti, contenuti nella nostra coscienza-deposito, di manifestarsi;

2) aiutare i semi non salutari che si sono già manifestati a tornare nella nostra coscienza-deposito; 
3) trovare modi per innaffiare i semi salutari non ancora manifesti, contenuti nella nostra coscienza-deposito, e chiedere agli amici di fare altrettanto;
4) nutrire i semi salutari già sorti in modo che possano rimanere nella nostra coscienza mentale e rafforzarsi. 
Questo è detto il "Quadruplice retto sforzo".
"Non salutare" significa che non conduce alla liberazione o al Sentiero. 
Nella coscienza-deposito ci sono molti semi sfavorevoli alla nostra trasformazione: se vengono innaffiati si rafforzano sempre di più. Se l'avidità, l'odio, l'ignoranza e le opinioni erronee che nascono in noi vengono abbracciati con retta presenza mentale, prima o poi perdono la loro forza e ritornano nella coscienza-deposito. 
A loro volta, i semi salutari non ancora sorti possono venire innaffiati e aiutati a manifestarsi nella coscienza mentale. 
Dovremmo innaffiare ogni giorno quei semi di felicità, di amore, di lealtà e di riconciliazione: il farlo ci riempie di gioia e questo, a sua volta, incoraggia quei semi a rimanere più a lungo. Mantenere le formazioni mentali salutari nella nostra coscienza mentale è la quarta pratica del retto sforzo. 
Il Quadruplice retto sforzo si nutre di gioia e di interesse: se la pratica non ci dà gioia, vuol dire che non è corretta. 

Il Buddha chiese al monaco Sona: "E' vero che prima di farti monaco eri un musicista?" Sona rispose che era vero. Il Buddha gli domandò: "Che succede se una delle corde del tuo strumento è troppo poco tesa?" 
"Succede che pizzicandola non dà alcun suono", rispose Sona. 
"Che succede se la tendi troppo?"
"Si rompe". 
"Lo stesso vale per la pratica della Via", disse il Buddha. 

"Mantenetevi in buona salute. Siate gioiosi. 
Non forzatevi a fare cose che non potete fare".(2) 
È necessario conoscere i propri limiti fisici e psicologici. Non dovremmo forzarci a pratiche ascetiche né perderci nei piaceri dei sensi: il retto sforzo si trova nella Via di Mezzo, fra gli estremi dell'austerità e dell'indulgenza ai piaceri dei sensi. 
Gli insegnamenti dei Sette Fattori di Risveglio(3) fanno parte della pratica del retto sforzo. La gioia è un fattore di risveglio, e si trova proprio nel cuore del retto sforzo: anche l'agio, un altro fattore di risveglio, è essenziale per il retto sforzo. Di fatto non solo il retto sforzo ma anche la retta presenza mentale e la retta concentrazione hanno bisogno di gioia e agio. 
Retto sforzo non significa forzare se stessi. Se proviamo gioia, agio e interesse, lo sforzo verrà da sé, con naturalezza. Quando sentiamo la campana che ci invita alla meditazione camminata o seduta, avremo l'energia necessaria per parteciparvi solo se troviamo la meditazione interessante e gioiosa; se non ne abbiamo la forza è perché queste pratiche non ci danno gioia né ci trasformano, oppure non ne cogliamo ancora i benefici. 
Quando desideravo prendere i voti, la mia famiglia riteneva che per me la vita del monaco sarebbe stata troppo difficile. Io invece sapevo che quella era l'unica via per la felicità, e insistetti. Una volta divenuto un novizio, mi sono sentito felice e libero come un uccello nel cielo. Quando era tempo di salmodiare i sutra, mi sembrava di essere stato invitato a un concerto; a volte, nelle notti di luna, quando i monaci cantavano i sutra in piedi sulla riva del laghetto, pensavo di essere in paradiso ad ascoltare il canto degli angeli. Quando non potevo partecipare alla funzione del mattino perché avevo un altro compito da svolgere, mi bastava udire le parole dello Śūrangama Sūtra che provenivano dalla sala di meditazione per sentirmi felice. 



Al monastero Tu Hieu praticavano tutti con interesse, gioia, diligenza; non c'era alcun obbligo o sforzo, c'era solo l'affetto e il sostegno del maestro e dei fratelli nella pratica. 
A Plum Village i bambini partecipano alla meditazione seduta e camminata e ai pasti in silenzio. All'inizio lo fanno solo per rimanere con i loro amici che praticano, ma quando hanno gustato la pace e la gioia della meditazione continuano spontaneamente per conto proprio solo perché lo desiderano. A volte gli adulti impiegano quattro o cinque anni di pratica formale per gustare la vera gioia della pratica. 
Il Maestro Guishan ha detto: 
"Il tempo vola come una freccia. 
Se non viviamo profondamente, sprechiamo la nostra vita".(4) 
Chi può dedicare la vita alla pratica, chi ha la fortuna di vivere accanto al maestro e agli amici nella pratica ha una magnifica opportunità che lo può rendere molto felice. 
Se manchiamo di retto sforzo è perché non abbiamo ancora trovato un modo di praticare che sia appropriato per noi, o non abbiamo ancora sentito profondamente il bisogno di praticare. 
Vivere una vita intera in presenza mentale può essere bellissimo. 

Svegliandomi, stamane, sorrido:
Ho davanti ventiquattro ore nuove di zecca.
Faccio voto di vivere pienamente ogni momento e di guardare tutti gli esseri con gli occhi della compassione.

Recitare questa gāthā ci può dare l'energia per vivere bene la giornata. 
Ventiquattro ore sono un tesoro, uno scrigno pieno di gioielli: se le sprechiamo, sprechiamo la nostra vita. Praticare è sorridere appena svegli, riconoscendo quella giornata come un'opportunità di pratica: non sprecarla dipende da noi. Quando guardiamo tutti gli esseri con gli occhi dell'amore e con compassione ci sentiamo benissimo. 
L'energia della presenza mentale rende ancora più prezioso lavare i piatti, spazzare il pavimento o praticare la meditazione seduta o camminata. 



La sofferenza può spingerci alla pratica: quando siamo ansiosi o tristi, constatare che la pratica ci fa stare meglio ci invoglia a continuare. Occorre una certa energia per guardare la sofferenza e vedere a che punto ci abbia portato; questa comprensione risvegliata ci farà capire come mettere fine alla sofferenza e quale sia il sentiero da percorrere per farlo. 
Quando abbracciamo la nostra sofferenza ne comprendiamo le origini e capiamo che essa può finire, perché c'è un sentiero al centro del quale si trova proprio la sofferenza. 
Guardando il compost possiamo vedere i fiori; guardando il mare di fuoco, vediamo un loto. Il sentiero che non fugge la sofferenza ma la abbraccia è quello che ci condurrà alla liberazione. 
Non sempre è necessario trattare direttamente con la nostra sofferenza; a volte possiamo limitarci a lasciarla giacere latente nella coscienza-deposito e possiamo sfruttare l'occasione per metterci in contatto, grazie alla presenza mentale, con gli elementi salutari e curativi in noi e intorno a noi. 
Questi si prenderanno cura della sofferenza, come gli anticorpi si prendono cura degli elementi estranei entrati nel flusso sanguigno. Una volta manifestati i semi non salutari, dobbiamo occuparci di loro; quando invece sono ospiti, è nostro compito aiutarli a dormire in pace e fare in modo che si trasformino radicalmente. 



La retta visione ci fa vedere la strada da percorrere, e il fatto stesso di vederla ci dà fiducia ed energia. Se ci sentiamo meglio dopo aver praticato la meditazione camminata per un'ora, questo ci darà la determinazione a continuare la pratica; quando ci rendiamo conto di quanto la meditazione camminata porti pace anche agli altri, la nostra fiducia nella pratica si accresce. Possiamo scoprire poco a poco, con pazienza, le gioie della vita che abbiamo intorno, che ci daranno più energia, più interesse e più diligenza. 
La pratica del vivere in presenza mentale dovrebbe essere piacevole e piena di gioia. 
Se inspiri ed espiri e provi gioia e pace, quello è retto sforzo. Se ti reprimi, se praticare ti fa soffrire, probabilmente il tuo sforzo non è retto: esamina la tua pratica e vedi che cosa ti dà una gioia e una felicità di qualche consistenza. 
Cerca di passare del tempo con un Sangha, con fratello e sorelle che creano un campo di energia consapevole che possa facilitare la tua pratica. 
Lavora insieme a un maestro e agli amici per trasformare la tua sofferenza in compassione, pace e comprensione, e fallo con agio e gioia: questo è retto sforzo.





Note al Lavoro:
(1) Il Maestro Huairang (667-744)
(2) Vinaya Mahāvagga Khuddaka Nikāya, 5 (v. anche in Thich Nhat Hanh, Vita di Siddharta il Buddha, Roma, Ubaldini, 1992, p.333, N.d.T.)
(3) I Sette Fattori di Risveglio (o “d’Illuminazione”) sono: consapevolezza, investigazione dei fenomeni, diligenza, gioia, agio ed equanimità o “lasciar andare”.
(4) Guishan (771-853) fu uno dei grandi maestri di meditazione della dinastia T’ang. 




Thich Nhat Hanh
Tratto da “Il Cuore dell’Insegnamento del Buddha
Traduzione di D. Petech
Ed. Neri Pozza, 2000.


© Tora Kan Dōjō




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