Ho
incontrato Sensei Bakkies Laubscher per la prima volta a Stoccolma
nel 2000, nel corso del Gasshuku Europeo IOGKF. Era il primo
assistente di Sensei Higaonna e fece parte della commissione d’esame
che mi esaminò per il secondo dan: durante la pratica mi aveva colpito per
la pacatezza dei modi e per la morbidezza dei movimenti, inusuali per una
persona della sua stazza.
A luglio dell’anno
scorso, Sensei Bakkies ha fatto parte della commissione d’esame che
mi ha esaminato per il quinto dan, sono passati 17 anni in cui le nostre
strade si sono incrociate più e più volte nei dōjō e nei tatami di
tutto il mondo.
Praga, luglio 2017 |
E sono passati 15 anni dalla sua prima visita come
insegnante in Italia, era maggio del 2003. Quella che segue è la trascrizione
dell’intervista che ci concesse in quell’occasione.
Quando e perché ha iniziato la pratica del karate-do?
Ho iniziato a praticare nel 1964, mia madre
possedeva una residenza per studenti universitari, io frequentavo le scuole
superiori, ogni sera, alle nove, si beveva il tè tutti insieme e poi si
praticava la boxe, così ho cominciato a boxare anch’io, ma loro erano più
grandi me! Ad un certo punto cominciammo a praticare una cosa nuova,
chiamata karate. Capisci, ero appena riuscito a “sopravvivere” boxando e
adesso il karate!Cominciai ad andare al club dell’università, frequentavo
le superiori, avevo 16 anni e il karate era una cosa nuova per il Sud
Africa.
Che stile di karate praticava, se si
poteva parlare di stile?
All’inizio si praticava lo stile kyokushinkai, imparando
dalle riviste, dai libri e dai marinai giapponesi. Città del Capo era un porto
molto importante e quindi si praticava quello che praticava il marinaio
giapponese “di passaggio”, anche lo shito ryu e lo shotokan.
Quando e come ha iniziato a praticare il Gōjū
Ryū di Okinawa?
Nel 1964 il mio
insegnante cominciò a praticare e insegnare lo Shotokan JKA. L’anno
successivo, nel 1965, quattro maestri della JKA, Enoeda, Kanawaza, Kase e
Shirai vennero in Sud Africa, Sensei Shirai rimase a Città del Capo
per circa sei mesi e mi allenai con lui fino ad ottenere la cintura nera, shodan dello
Shotokan JKA.Sensei Enoeda, Kanazawa, Kase, Shirai, 1965 |
Nel 1966, terminata la scuola
superiore, fui chiamato per l’anno di militare: proprio quell’anno, in Sud
Africa, la JKA ebbe dei problemi. SenseiJames Rousseau decise di
andare in Giappone alla ricerca di qualcosa di diverso dallo Shotokan.
Credo, non sono sicuro, che fosse “sponsorizzato” da Donn Draeger. Sia come
sia, andò a praticare allo Yōyōgi dōjō, con Sensei Morio
Higaonna e Teruo Chinen, che gli faceva da assistente.
Senesei Higaonna, Sensei Chinen |
Dal Giappone Sensei Rousseau scrisse
al mio insegnante, Hugh St. John Thompson, dicendogli di raggiungerlo. Lui andò
e praticò anche lui allo Yōyōgi dōjō. Quando tornò in Sud Africa, alla
fine del 1966, avevo appena terminato il servizio militare e imparai il mio
primo kata di Gōjū Ryū.
Allenamento al makiwara, 1968 |
Quindi ha continuato a praticare con Sensei Thompson
fino alla sua prima visita in Giappone?
Sono andato per la prima
volta in Giappone nel 1973. Nel 1972 facevo parte della squadra nazionale
sudafricana che partecipò ai Campionati Mondiali WUKO a Parigi. Ad osservare i
campionati c’era anche Sensei Higaonna, che poi venne in Sud Africa
per quattro o cinque mesi. Poi nel 1973 lo raggiunsi in Giappone, un viaggio in
nave di 25 giorni!
Sensei Higaonna, Sensei Bakkies, 1972 |
Qual è stata la sua prima impressione di Sensei Higaonna?
Molto forte, veloce, una pratica con ore e ore
di kihon e condizionamento del corpo. La sessione di pratica
allo Yōyōgi dōjō durava due ore, due ore con Sensei Higaonna
mi sembravano come sei ore di un “normale” allenamento. Alle otto di sera
terminava l’ultima classe formale, proprio a quell’ora arrivavano i senior,
usciti dal lavoro, e iniziava l’allenamento individuale, con Sensei Higaonna
a disposizione per consigliare, spronare, risolvere dubbi.
Quando ho iniziato a praticare, nel 1964, nonostante
mia madre possedesse la residenza universitaria, non avevamo soldi per pagare
la mia frequenza al club universitario di karate, allora costava cinque
ren. Beh, per pagarmi la frequenza pulivo le scarpe degli ospiti della
residenza, e mi rimaneva anche qualche spicciolo in tasca.
Al giorno d’oggi sembra
tutto più semplice, hai tutto per niente, e i giovani non sanno sacrificarsi.
Quali erano i senior di Sensei Higaonna in
quel periodo?
Yozo Ito era il sempai, Tomiaki Tadano, Teruo
Chinen era già negli Stati Uniti… Un altro senior era Tomonori Namiki, ora è un
arbitro della WKF. Poi c’era Juichi Kokubo, allora era nidan uchi deshi,
ora è in Perù. Si occupava del dōjō, era molto duro, un “samurai”,
nel tempo si è “ingentilito”. Non gli piacevano molto gli occidentali, forse
era passato relativamente poco tempo dalla fine della guerra.
C’erano parecchi occidentali in quel periodo e
tutti, indipendentemente dal grado, dovevano provare il loro valore,
occupandosi del dōjō, e con la pratica. Il rispetto bisognava
guadagnarselo, non c’era diploma o certificato che valeva più dell’esempio.
Forse si è perso un po’ di quello spirito, ma per me è rimasto sempre lo
stesso.
Se vuoi giudicarmi, guardami e pratica con me
il karate, non guardare ai diplomi appesi alla parete.
Ci può dire qualcosa dei suoi ricordi di Donn
Draeger?
Terry O’Neill, il direttore della rivista Fighting
Arts International, era in Giappone nello stesso periodo della mia prima
visita. La JKA teneva una competizione e andavamo insieme a vederla, lui in
realtà era nella squadra inglese. Poi ci allenavamo insieme allo Yōyōgi
dōjō con Sensei Higaonna.
O’Neill, come direttore
della rivista, non scriveva solo di karate, ma anche di tutte le altre
arti marziali. Era stato anche ad Okinawa dove si era allenato allo Jundokan di Sensei Miyazato. Sensei Higaonna
mi aveva aiutato a trovare una sistemazione, Terry, dopo la competizione JKA,
rimase altre due settimane a Tokyo e si sistemò nella mia stanza.
Sensei O'Neill, Sensei Bakkies, 1973 |
Terry aveva collaborato parecchie volte con Draeger.
Un giorno, allo Yōyōgi dōjō, al termine dell’allenamento, Terry mi
presentò Draeger. Draeger aveva assistito all’allenamento insieme ad altri
giapponesi e, con tono piacevole, mi disse che avevo smentito gli osservatori
giapponesi che, vedendomi grande e grosso, pensavano fossi lento e scoordinato.
Durante lo yakosoku kumite li avevo sorpresi con la mia velocità
e tecnica che superavano quella di molti giapponesi!
Due o tre giorni dopo andammo nella zona di Tokyo
dove abitava Draeger, vicino all’aeroporto di Narita, e da lì con lui andammo a
trovare uno dei suoi insegnanti di budo, non mi ricordo il nome ma credo
che in uno dei libri di Draeger ci sia una sua foto. Mentre parlava sembrava
non si reggesse in piedi, ma appena messo piede nel dōjō, che cambiamento,
un portamento, una fierezza, veloce, preciso, i piedi sembrava non toccassero
mai terra, ma scivolavano. E’ la prima volta che ho pensato come vere quelle
storie dell’anziano maestro che combatte con tanti avversari e vince.
Donn raccontava tante storie interessanti, era un
5° dan di Judo Kodokan e praticava anche il karate
Shotokan, quando Kanawaza ed Enoeda erano ancora cinture bianche! Un giorno mi
disse che con l’introduzione del karate nelle università giapponesi e
quindi con lo spostamento dell’interesse verso le competizioni, il karate si
stava allontanando dal concetto di budo che tanto faticosamente i
padri fondatori avevano auspicato e raggiunto.
Ci parli dello Yōyōgi dōjō.
Oh, il pavimento era ruvido, con delle grosse
tavole e dei chiodi sporgenti, prima dell’allenamento dovevano “martellarli”,
se no rischiavamo di tagliarci i piedi. Le docce non erano delle vere docce, un
tubo di gomma dietro una tenda, vi lascio immaginare la mia sorpresa dopo il
primo allenamento, faceva molto caldo e non vedevo l’ora di fare la doccia!!
Quando è stata la sua prima visita ad Okinawa?
Nello stesso anno, nel 1973. Ci fu una cerimonia per
commemorare il ventesimo anniversario della morte del maestro Miyagi. Alla
cerimonia partecipò anche un gruppo di studenti dello Yōyōgi dōjō, guidati
da Sensei Higaonna.
Io dimostrai delle tecniche per difesa da attacchi
di coltello, insieme a un marine americano, che era stato in Vietnam e
praticava Gōjū Ryū con Ken Ogawa in Florida. Ogawa era stato uchi
deshi allo Yōyōgi dōjō prima di Kokubo.
(Sensei Spongia) Ho letto un articolo su Ken
Ogawa, si parlava di lui come del possibile successore di Sensei Higaonna.
Ogawa era, a quanto pare, molto forte, mi hanno
raccontato che nessuno voleva combattere con lui perché sembrava di combattere
contro l’acciaio, a colpirlo ci si faceva male. E’ morto per un incidente…
Ci preparammo alla dimostrazione allenandoci
allo Jundokan, mi ricordo Sensei Higaonna che praticava i kata, kururunfa,
tensho, solo più tardi ho cominciato ad apprezzare quello che ho visto in quel
periodo.
(Spongia) Com’era la pratica allo Jundokan?
Nello Jundokan non c’erano classi formali,
con orari fissi voglio dire, ci si allenava per lo più da soli, con i sempai per
chiedere consigli, molto sanchin, chishi, gli altri kata. Ognuno
praticava i kata in maniera differente, mi ricordo una volta un
gruppo di sei o sette rokudan praticare il kata seipai, ognuno in modo
differente e poi, scherzosamente, discutere tra loro quale fosse il modo
giusto.
Com’è la sua pratica oggigiorno, la stessa di
come praticava in passato?
Attualmente pratico tutte le mattine, qualche volta
anche la domenica; i lunedì, mercoledì e venerdì pratico il makiwara, il
sacco, il chishi, il kongoken, sanchin, tensho, una volta
più kata, altre volte mi concentro su un unico kata, cinque o
quindici volte, dipendo da come mi sento. Gli altri giorni alleno la forza e la
resistenza, andando in bicicletta, allenandomi con i pesi, andando avanti con
la pratica dedico sempre più tempo allo stretching.
(Spongia) Si allena anche nel pomeriggio o la sera?
Beh, di solito ho tre sessioni al giorno, cerco di
allenarmi con la sessione dei senior, l’ultima sessione della giornata. Ogni
giovedì poi l’ultima sessione è dedicata alle cinture nere.
Insegna come si allena personalmente?
No, quasi
mai. Cerco di insegnare quello che ritengo utile per gli allievi, molto
allenamento di base…
(Spongia) Il rischio è quello di insegnare quello
che chiedono gli allievi.
Sarebbe facile farli felici, ma non è detto che sia
quello che gli serve.
Quali sono le qualità più importanti per un karateka?
Rimanere uno studente, quando pensi di sapere
qualcosa è il momento che non sai niente. Essere aperto, pronto a cambiare
idea, flessibile, auto disciplina, una qualità importante, equilibrio nella pratica,
troppo karate non va bene, ma neanche troppo poco karate va bene.
Un buon equilibrio nella pratica si trasforma in un buon equilibrio nella vita,
così si migliora come persona e come karateka.
(Spongia) E le qualità più importanti per un
insegnante?
Essere sempre
aggiornato: vuoi stare al caldo? Devi stare vicino al fuoco! Questo significa
praticare con il tuo maestro, praticare con gli altri studenti, partecipare
ai gasshuku. Poi bisogna essere in grado di capire gli studenti, le cose
cambiano, le persone cambiano, magari fargli capire perché devono fare
determinati esercizi.
Sensei Bakkies, Sensei Miyagi, Sensei Higaonna, 1981 |
Higaonna dōjō, 2004, seduti da destra, Sensei Bakkies, Sensei Miyagi, Sensei Higaonna; in piedi a destra, Sensei Spongia |
(Spongia) Magari qualche volta e con qualche
studente si può dire di fare una cosa senza troppe spiegazioni!
Eh, si, dipende dallo studente, non tutti sono
uguali!
Qual è la sua opinione riguardo alla pratica
del makiwara?
La pratica con il makiwara va bene, se
il makiwara è un buon makiwara. Non serve per fare i calli sulle
nocche, io mi alleno tre volta alla settimana con il makiwara, duecento
ripetizioni per mano, e non ho i calli alla mano (n.d.a. le mani di Sensei Bakkies
sono decisamente robuste!!). Le nocche ingrossate possono dare l’impressione di
una mano molto robusta, ma la pratica del makiwara deve irrobustire
“dentro”, tutto il corpo deve partecipare al colpo, mano, polso, avambraccio,
gomito, ecc. E bisogna evitare lo “shock” del ritorno, Sensei Higaonna
ci dice sempre di rimanere qualche istante a contatto dopo il colpo. E’
importante anche alternare il makiwara con il sacco pesante.
Cosa ne pensa della pratica dei bunkai?
E’ l’essenza del karate,
la pratica corretta dei bunkai, che presuppone una pratica corretta
del kata, può portare al miglioramento delle qualità necessarie
nell’autodifesa.
Qual è la sua opinione sui gasshuku?
I gasshuku sono veramente molto
importanti: spesso il vedere un altro praticare un esercizio o una tecnica,
magari fatto mille volte, può dare lo spunto per migliorarne la comprensione. E
poi l’atmosfera è molto importante, ci si allena per ore, poi si beve qualcosa
insieme e si può parlare ancora per ore. Il Sud Africa è lontano e i gasshuku internazionali
ci mancano!
Dopo circa quarant’anni di pratica del karate,
avrà trovato un significato, ce lo vuole spiegare?
Penso che dopo aver praticato per quarant’anni,
sarei stupido a terminare la mia pratica adesso! Devo ancora scoprire molto con
la pratica del karate, sto ancora imparando molto, ogni volta che pratico.
Inoltre mi tiene in salute, mi piace, provo soddisfazione nel praticare. Una
gran motivazione la trovo anche nella pratica dei miei maestri, Sensei Higaonna,
An’ichi Miyagi, li vedo praticare e sono motivato a mia volta.
Ha mai usato il karate nella vita reale?
Non ancora! In tanti mi hanno fatto questa domanda
nel corso degli anni. Ma posso affermare che la pratica del karate ha
influenzato molto nella mia vita. Quando sono passato da militare
semi-professionista (part-time) a professionista (tempo pieno), ho dovuto fare
l’addestramento di base di nuovo, con delle persone molto più giovani di me,
sui diciotto anni, io ne avevo 35. Una parte dell’allenamento consisteva nel
correre per qualche miglio e poi infilarsi in tubo molto lungo e percorrerlo
strisciando fino all’altra estremità. Il tubo era così lungo che non si vedeva
la luce dell’altra estremità, il gruppo era molto numeroso, una ventina di
persone, la situazione non mi piaceva per nulla. Quando eravamo tutti dentro il
tubo, ci siamo accorti che un altro gruppo di persone stava strisciando nella
direzione opposta alla nostra! Eravamo costretti a superarci dentro il tubo! A
un certo punto ho sentito una delle persone davanti a me urlare che qualcuno si
era sentito male e respirava a fatica, si diffuse il panico! Ordinai alla
persona dietro di me di dire, con un passaparola, di fermarsi, stessa cosa per
quelli davanti a me. Poi dissi alla persona davanti a me di oltrepassare il
soldato svenuto e poi afferrarlo per le braccia, mentre io lo spingevo da
dietro, ci abbiamo messo ventiminuti per uscire, senza vedere niente, non
vedevo neanche la persona che stavo spingendo. Fu un’esperienza terribile, e
posso affermare che se non avessi mantenuto il controllo e la concentrazione,
frutto della mia pratica del karate, forse non ne sarei uscito vivo.
(Spongia) Il mio maestro zen mi ha detto
che si può allenare uno tzuki cento, mille volte, mantenendo la
concentrazione e la tecnica corretta, e il risultato di questa pratica sarà che
il gesto che ti salverà la vita potrebbe essere il gettare un caffè in faccia
all’assalitore!
(Spongia) Quando al dōjō mi chiedono di insegnarli l’autodifesa, e poi vedono che insisto con il karate non capiscono, ma la concentrazione, la fiducia, aumentano il “capire” la situazione di pericolo, ed evitarla. Questa è autodifesa!
Credo che il vero significato di “karate ni sente
nashi”, non esiste il primo attacco nel karate, sia proprio “non metterti
nelle condizioni di dover attaccare o essere attaccato”.
Qual è la sua opinione sul futuro del Gōjū Ryū di
Okinawa?
Sensei Bakkies, Sensei Higaonna, Sensei Nakamura, 2016 |
Il futuro del karate è legato
indissolubilmente ai maestri giapponesi?
Beh, il karate non è stato creato dai
giapponesi! Loro e noi abbiamo due mani, due piedi, un cervello.
Un’ultima domanda, come l’apartheid ha influenzato
la sua pratica del karate?
Ho cominciato a insegnare karate nel 1967,
e fin da allora ho avuto allievi di colore. Non potevo avere classi “miste”,
era contro la legge, e quindi il corso del venerdì era esclusivamente per le
persone di colore. All’inizio la polizia veniva a vedere le lezioni e chiedeva
cosa stesse succedendo, affermando che stavo insegnando ai neri come uccidere i
poliziotti, ma la mia risposta è sempre stata che li tenevo lontani dalla
strada, se erano nel dōjō non potevano essere nella strada. La
polizia alla fine mi lasciò continuare. Oggi il mio studente più anziano è di
colore, mentre sono qui in Italia lui conduce le lezioni al mio dōjō!
Quando era nella squadra nazionale sudafricana, nel
1972 a Parigi e nel 1975 a Los Angeles, siamo stati oggetto di minacce, ci
dovette proteggere l’FBI, ci seguivano ovunque. Poi inizio il boicottaggio, e
per noi fu difficile. Mi ricordo che nel 1981 la IOGKF organizzò un gasshuku e
un torneo a Okinawa. Il team sudafricano era molto numeroso, ma le autorità non
ci fecero partecipare al torneo, perché uno dei partecipanti, un neozelandese,
protestò per la nostra presenza con la polizia. Ho ricevuto tantissimi inviti
per insegnare in tante nazioni e spesso non ottenevo il visto. Nel 1990 in
Nuova Zelanda, nel 1986 per un gasshuku a Suzuka non ho potuto
portare neanche il gi, e sono dovuto entrare con un visto turistico! Sono stati
tempi difficili, ma li abbiamo accettati e ora le cose sono cambiate.
La IOGKF è sempre stata aperta, fin dalla sua
fondazione, nel 1979 a Poole, in Inghilterra. I rappresentanti sudafricani,
guidati da James Rousseau (ora non insegna e vive facendo il chiropratico in
Inghilterra) erano di colore in gran numero.
© 2018,
Roberto Ugolini
© Tora Kan Dōjō
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