Pubblichiamo un
estratto da una lezione tenuta da Sensei Paolo Taigō Spongia presso il Tora Kan
Dōjō durante la Pratica Zen. Le lezioni hanno un carattere colloquiale del
quale tener conto durante la lettura.
Sono molto felice di vedervi tutti presenti nel Dōjō
questa mattina all'alba è una cosa molto importante, per tutti noi.
La tendenza oggi è quella di promuovere uno Zen
solitario, fai da te, che si può vendere on-line, ma in realtà l’essenza della
Pratica Zen non può essere trovata al di fuori della condivisione.
Non esiste uno “Zen fai da te”, non esiste
un’esperienza Zen che si può vivere in modo egoistico e solitario, una sorta di
‘autoerotismo spirituale’ come l’aveva definito Papa Ratzinger.
Bisogna stringersi gli uni agli altri, contaminarsi
con gli altri.
Bisogna uscire dal proprio isolamento, dal proprio essere autoreferenziali, dal proprio egoismo, dall’arroganza del pensiero che si può bastare a sé stessi.
Bisogna uscire dal proprio isolamento, dal proprio essere autoreferenziali, dal proprio egoismo, dall’arroganza del pensiero che si può bastare a sé stessi.
A tutti noi piace pensare che questi difetti non ci
appartengano, ma quando entriamo nel Dōjō ci accorgiamo immediatamente di
quanto siamo rozzi, presuntuosi, pieni di pregiudizi, di rigidità e
condizionamenti… e prendere coscienza di questo è veramente il primo passo
sulla Via, il primo passo della Pratica.
E’ una constatazione
dolorosa di fronte alla quale si è portati a reagire con la fuga.Pasto formale ad Eiheiji |
Non sono molti quelli che hanno il coraggio e la
determinazione sufficienti per rimanere di fronte all’immagine
del loro vero volto che nel Dōjō si riflette in ogni oggetto che
utilizziamo, in ogni sguardo o gesto dei compagni di pratica, in ogni
esortazione dell’insegnante.
Non fuggire e accettare di restare di fronte all’immagine riflessa di noi stessi è l’unico vero modo per conoscersi davvero, profondamente, e per scoprire che ci sono offerte altre possibilità, altre prospettive, al di là dei condizionamenti e della paura che ci hanno guidato fino ad oggi.
Non fuggire e accettare di restare di fronte all’immagine riflessa di noi stessi è l’unico vero modo per conoscersi davvero, profondamente, e per scoprire che ci sono offerte altre possibilità, altre prospettive, al di là dei condizionamenti e della paura che ci hanno guidato fino ad oggi.
La condivisione è fondamentale. E’ respirare
insieme, prenderci cura insieme del luogo che ci ospita, mangiare insieme,
esprimere parole di gratitudine recitando Sutra insieme, si tratta di un
nutrimento fondamentale per lo spirito.
Penso che in ogni pratica cosiddetta religiosa o
spirituale sia assolutamente necessaria la condivisione; diffidate di chi
promuove una pratica solitaria e autoreferenziale, di chi vuole
convincervi che potete praticare lo Zen isolandovi ‘comodamente’ nelle vostre
abitudini e rassicuranti certezze.
Allo stesso tempo questa esigenza primaria di
condivisione richiede una grande capacità critica, perché come ho tante volte
ripetuto, il riunirsi può anche diventare un modo per confortarsi a vicenda rinforzando
le proprie illusioni invece di essere occasione di liberazione, è facile
riunirsi solo in cerca di un conforto momentaneo, di conferme ai propri
pregiudizi e questo è molto pericoloso.
Conduce nella direzione diametralmente opposta alla
Liberazione verso la quale ci guida il Dharma di Buddha.
Si trasforma in quella follia o stupidità di gruppo dalla quale mette continuamente in guarda Sawaki Roshi e che fa gioco alle cosiddette ‘guide spirituali’ poco oneste e in cerca di autoaffermazione.
Si trasforma in quella follia o stupidità di gruppo dalla quale mette continuamente in guarda Sawaki Roshi e che fa gioco alle cosiddette ‘guide spirituali’ poco oneste e in cerca di autoaffermazione.
La vera esperienza religiosa, la vera Pratica,
inizia nel momento in cui sentiamo la necessità impellente di condividere e di
offrire ad altri quello che stiamo ricevendo, la necessità di condividere la
nostra pienezza. Non può essere soltanto una ricerca di conforto e di sostegno
personale come compensazione di una mancanza, se si riduce a questo non si
tratta di una Pratica religiosa e spirituale, è qualcos’altro.
Sedere insieme in silenzio, muoversi in sintonia,
respirare insieme avendo cura di sostenere gli altri senza essere di disturbo,
l’incoraggiare gli altri senza essere invadenti, sviluppa una sensibilità e una
delicatezza d’animo che sono molto rari oggi, molto preziosi proprio perché
rari.
Il Dōjō è un luogo in cui ci si ri-educa ad una
sensibilità e consapevolezza profonda.
Assumere responsabilità nel Dōjō , prendersi cura
degli altri con attenzione, concentrazione, sicurezza; questo tipo di approccio
alla Pratica, alla vita del Dōjō, trasforma la nostra vita… non può essere
altrimenti.
E dev’essere un ritrovarsi
gioioso ad ogni occasione di Pratica.
Cantando, scherzando, elemosinando pietre, condividevano tutto mentre lavoravano duramente per ricostruire la Porziuncola e con essa ricostruire sé stessi.
Samu (lavoro manuale) Monastero Zen Fudenji,1999 |
Per quanto la Pratica possa essere in alcune
occasioni severa, rigorosa, anche dura, ci deve essere un fondo di entusiasmo
gioioso quando ci si incontra per praticare.
Si deve incontrare una comunità di buoni amici, di fratelli, che condividono un cammino comune, entusiasticamente e gioiosamente condiviso.
Come i primi frati-amici
che si riunirono attorno a Francesco d’Assisi nel ricostruire mattone su
mattone la chiesetta diroccata.Si deve incontrare una comunità di buoni amici, di fratelli, che condividono un cammino comune, entusiasticamente e gioiosamente condiviso.
Cantando, scherzando, elemosinando pietre, condividevano tutto mentre lavoravano duramente per ricostruire la Porziuncola e con essa ricostruire sé stessi.
© Tora Kan Dōjō
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