Competizione sì, competizione no
L’opinione del Maestro
Paolo Taigō Spongia
Vorrei una volta per
tutte chiarire il mio pensiero riguardo l'esperienza competitiva nella pratica
del Karate.
Spesso sono stato molto
netto nelle mie affermazioni al punto che molti hanno pensato che io sia
completamente contrario alla competizione in qualsiasi forma.
Non è affatto così.
Io stesso ho partecipato
fin dall'adolescenza a moltissime competizioni di Karate e poi di Kick Boxing
full contact.
Nel Full Contact la mia
ultima competizione fu nel 1988, quando avevo 26 anni e già fondato il Tora Kan
Dojo, a Bergamo in cui mi confrontai al Campionato Italiano (vedi foto al
termine dell’articolo).
Ho passato quasi tutti i
fine settimana della mia giventù nei palazzetti dello sport a prenderle e a darle.
L'esperienza competitiva,
specie nella fase adolescenziale, mi è molto servita per confrontarmi con le
mie paure, insicurezze etc... e gareggiavo solo per quello, il risultato mi
interessava molto meno.
D'altronde in quegli anni
era l’unica esperienza che offriva il mondo del Karate italiano, il vero Karate
di Okinawa era ancora un lontano miraggio (anche se già quindicenne ero
convinto che prima o poi avrei incontrato il vero Karate che non poteva essere
quello che mi vendevano allora).
Sin dalle prime
esperienze di gara adolescenziali rimasi molto perplesso sia dai regolamenti,
che mi sembravano estremamente limitanti nell'espressione tecnica e combattiva
del Karate, sia nei confronti dell'ambiente che le federazioni avevano
coltivato intorno al mondo delle gare :
- arbitri molto spesso
impreparati, in genere era la pippa della palestra, quello che non era
all'altezza di essere un buon agonista o un sufficiente tecnico che veniva
scelto e motivato per fare la carriera arbitrale, e peraltro molti di questi si
sono poi anche ritrovati scandalosamente graduati e qualificati ad insegnare
per convenienze politico-federali.
- arbitri impreparati
appunto e che proprio per questo subivano facilmente la manipolazione e il
condizionamento dei maestroni di turno e delle politiche federali diventando
degli esecutori delle ‘direttive superiori’ sulla pelle dei ragazzi che si
scontravano in gara dopo tanti sacrifici.
- la politica federale
che era sempre dietro ai risultati agonistici e che condizionava pesantemente i
risultati di gara grazie, come detto, alla condiscendenza arbitrale e al
regolamento che offriva una discrezionalità assoluta da parte dell’arbitro sull’esito
di un incontro.
- i maestri di quel
genere di Karate che pur di vincere medaglie per la loro palestra erano
disposti a sotterfugi, a manovre politiche a intrallazzi arbitrali... per non
parlare delle scene che si vedevano puntualmente con atteggiamenti irrispettosi
e rissosi nei confronti degli arbitri sia da parte dei ‘maestri’ che degli
atleti. Insomma tutto fuorchè un ambiente che rispettava i principi morali ed
etici nonché educativi che dovrebbero essere basilari per un Karateka.
- Infine gli 'atleti'
(non chiamiamoli Karateka per favore) che sapevano portare due o tre tecniche
in cui si erano specializzati, per lo più gyaku zuki, uraken uchi, mawashi geri
e poco altro, qualcuno, anche tra i campioni non l'ho mai visto tirare altro
che gyaku zuki.
Inoltre le simulazioni
erano uno strumento utilizzatissimo per guadagnare punti e ammonizioni per
l'avversario che spesso facevano la differenza tra la vittoria e la sconfitta, ovvero
vincevi prendendole o simulando di averle prese… alla faccia dello spirito
guerriero.
Una roba che mi faceva
orrore e disgusto, a me che pur essendo un ragazzo fondamentalmente insicuro
non solo accettavo di competere dovunque proprio per affrontare i miei limiti
ma che mi sarei vergognato come un ladro se avessi guadagnato un solo punto
disonestamente e che rimanevo impassibile mentre il sangue mi colava dal naso
per un colpo non controllato perché l’errore per me era stato il mio che mi ero
fatto sorprendere e non dell’avversario...
Ho visto vincere
campionati italiani e mondiali da atleti che guadagnavano almeno 1 punto ad
ogni combattimento grazie alle simulazioni (agevolate dalla suddetta incapacità
arbitrale) e altri punti portando solo una tecnica...
Detto questo, frutto di
diretta esperienza da atleta e insegnante, la competizione nella forma che ho
descritto, e che è quella che ancora impera nel mondo del Karate-sport, è a mio
parere non solo l’espressione di uno sport da combattimento con tali limiti e
aberrazioni da far fatica a rientrare dignitosamente nel novero dei suddetti
sport (la continua esclusione dagli sport olimpici ne è la prova evidente) ma è
assolutamente antieducativa sia sotto il profilo tecnico che quello etico e
morale.
Fatta questa lunga ma
necessaria premessa ecco il mio pensiero riguardo alla competizione:
L'esperienza competitiva
può essere per i più giovani un importante strumento educativo e formativo,
specie per quel che riguarda le qualità psicologiche ed emotive del Karateka.
Ma alle seguenti
condizioni:
- Il regolamento di gara
deve essere studiato e distillato da parte di Maestri molto esperti nell'ambito
del programma tecnico e didattico della stessa Scuola e deve far sì che il
Karateka non debba sacrificare alcun aspetto della propria preparazione globale
nel vasto curriculum tecnico del Karate tradizionale di Okinawa al fine di
specializzarsi in poche tecniche che fruttano punteggio.
Per far questo la
competizione deve prevedere, per quel che riguarda il combattimento, se non il
contatto pieno, quantomeno un significativo contatto (ad evitare tutte le
aberrazioni e manipolazioni facilitate dal cosiddetto fantomatico e strumentale
'controllo dei colpi'), deve inoltre prevedere tutte le distanze del
combattimento fin'anche la lotta a terra (entro certi limiti) in modo da
ampliare il bagaglio dell'esperienza tecnica e strategica del Karateka e
costringerlo a sviluppare una tecnica da combattimento vasta e completa e il
più possibile vicina ad una situazione di combattimento reale.
Le gare di Kata le
eviterei ma se proprio si volessero organizzare gli allievi dovrebbero essere
premiati perchè eseguono il Kata qualitativamente e tecnicamente secondo i rigorosi
canoni di valutazione che sarebbero adottati in occasione di un esame di
passaggio di grado nell’ambito della stessa Scuola. Pertanto le competizioni di
Kata dovrebbero essere solo nell'ambito dello stesso stile e della stessa
scuola (altrimenti i parametri potrebbero variare di molto e si ricadrebbe in
quella discrezionalità che favorisce le aberrazioni di cui sopra).
Nella IOGKF Italia e
internazionale abbiamo sperimentato in alcune occasioni delle formule di gara
che prevedevano il confronto nel combattimento e nel Kata durante ogni
incontro, pertanto chi vinceva la gara doveva essere senza dubbio molto
preparato in entrambe le espressioni di esercizio primarie del Karate: il Kata
e il combattimento.
- I competitori devono
essere valutati dagli stessi Maestri nell'ambito della stessa scuola con i
parametri suddetti e la competenza richiesta e non ultima l'onestà e assoluta imparzialità
del giudizio.
Vi assicuro che non è
un'utopia.
Nella IOGKF Italia, non
solo i giudizi sono stati sempre imparziali e corretti ma addirittura a volte
ero costretto ad ammonire alcuni Maestri che tendevano a penalizzare
eccessivamente i propri stessi allievi perchè non esprimevano il meglio di loro
stessi nell'incontro...
Ma questo atteggiamento
onesto e neutrale può esserci solo nell'ambito di una Scuola seria ed onesta,
composta da veri Maestri e praticanti che si rispettano e stimano e che hanno a
cuore il far fare un'esperienza formativa ed educativa ai propri allievi, Non
può essere contemplata nessun'altra finalità e questo non può certamente
avvenire in un ambiente ibrido federale dove la politica e gli interessi
economici sono la finalità dell'organizzazione delle gare.
Per concludere ritengo
che l'esperienza competitiva, se espressa nell'ambito da me descritto e secondo
i severi parametri che ho illustrato, sia un'esperienza certamente positiva e
uno degli strumenti da poter utilizzare per la formazione ed educazione dei
giovani e non toglierebbe nulla alla preparazione completa e rigorosa del
praticante di Karate tradizionale.
Lo spirito dovrebbe
essere quello espresso dal termine 'Shiai' ovvero: mi confronto con l'altro,
grazie all'altro, per confrontarmi con me stesso, a prescindere dal risultato.
Tanto che e gare potrebbero
anche essere organizzate a porte chiuse, senza pubblico (che porta sempre ad
una ricerca di spettacolarizzazione fine a sé stessa), come tentò di fare il
Maestro Barioli per il suo Judo-Educazione
Ma se la competizione
assume le forme aberranti e diseducative che ho descritto lungamente all'inizio
di questo articolo allora se ne può tranquillamente fare a meno, anzi se ne
deve fare a meno, sfruttando appieno altri strumenti educativi nel Dojo...
Mi aspetto già
l'obiezione da parte di qualche insegnante di 'Karate Tradizionale' (che con
ogni probabilità non ha mai fatto l'esperienza della competizione e di un confronto reale) che
l'arte marziale punta al combattimento reale e che quello di gara non potrà mai
essere un
combattimento reale, per ovvi motivi di salvaguardia dei combattenti.
Verissimo, ma è anche
vero che nel Dojo di Karate Tradizionale si adottano già varie forme di esercizio che puntano
all'esecuzione di tecniche adatte ad un combattimento reale e pertanto
l'esercizio competitivo, dello Shiai, nella forma più completa possibile che ho
sopra descritto, servirebbe come esrecizio per confrontarsi con alcuni aspetti psicologici ed
emotivi con i quali è difficile confrontarsi nell'ambiente familiare del Dojo,
per quanto possa essere dura e realistica la pratica, e che sono determinanti
anche in una situazione di cosiddetta ‘difesa personale’ o ‘combattimento reale’.
Solo un Maestro di grande esperienza e personalità, che a sua volta sia stato educato con tali mezzi (e non ne vedo molti in giro), può essere in grado
di portare gli allievi nel Dojo a toccare quel limite e quella profondità di
esperienza psico-emotiva che viene dall'aleatorietà e rischio di una situazione
come quella competitiva.
Ricordate che quello che
fa la differenza in un combattimento, ancor più in una situazione reale, è
l'atteggiamento mentale, la capacità di controllare l'emozione quando si è
sotto pressione di fronte all'aleatorietà e al rischio reale di rimanere feriti se non uccisi e
conterà per l'80% al fine del risultato, la tecnica conterà il 20%... il resto
sono chiacchiere e scuse per coprire la propria mancanza di esperienza.
Sono certo che un gran
numero di cinture nere di karate e maestri che non si sono confrontati con sé
stessi a sufficienza in situazioni in cui questi aspetti psicologici diventano
predominanti, in una situazione di reale rischio rimarrebbero bloccati o comunque
non sarebbero in grado di esprimere pienamente il potenziale che sono convinti
di possedere e soccomberebbero.
Né è anche la prova il
complesso di inferiorità che dimostrano i karateka che si dicono
tradizionalisti nei confronti di discipline di combattimento in cui ci si
confronta duramente come ad esempio le mma (che considero assai discutibili
sotto il profilo educativo) come quando condividono sui
social video di tali combattimenti nell'intento di dimostrare che nei loro
Kata ci sono anche quelle tecniche… la dice lunga sull'insufficienza della loro
preparazione di cui sono pienamente consapevoli, pur non ammettendolo per ovvi
interessi di mercato.
"Puoi combattere
solo nel modo in cui ti sei allenato..."
affermava Miyamoto
Musashi
Spero di aver chiarito il mio pensiero al riguardo una volta per tutte.
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Le foto che seguono sono state scattate a Bergamo durante le semifinali e finali del Campionato Italiano di Kick Boxing Full Contact Wako del 1988. Spongia Sensei è quello in pantaloni blu. Il suo avversario in semifinale (quello in pantaloni bianchi) sei
mesi dopo vinse i giochi del Mediterraneo e meno di un anno dopo divenne
campione del mondo dei mediomassimi …in gara il valore degli avversari e la
sincerità dello scontro sono fondamentali per il valore dell’esperienza.
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