domenica 24 dicembre 2023

Competizione sì, competizione no

 Competizione sì, competizione no

L’opinione del Maestro Paolo Taigō Spongia

 


Vorrei una volta per tutte chiarire il mio pensiero riguardo l'esperienza competitiva nella pratica del Karate.
Spesso sono stato molto netto nelle mie affermazioni al punto che molti hanno pensato che io sia completamente contrario alla competizione in qualsiasi forma.
Non è affatto così.
Io stesso ho partecipato fin dall'adolescenza a moltissime competizioni di Karate e poi di Kick Boxing full contact.
Nel Full Contact la mia ultima competizione fu nel 1988, quando avevo 26 anni e già fondato il Tora Kan Dojo, a Bergamo in cui mi confrontai al Campionato Italiano (vedi foto al termine dell’articolo).
Ho passato quasi tutti i fine settimana della mia giventù nei palazzetti dello sport a prenderle e a darle.
L'esperienza competitiva, specie nella fase adolescenziale, mi è molto servita per confrontarmi con le mie paure, insicurezze etc... e gareggiavo solo per quello, il risultato mi interessava molto meno.
D'altronde in quegli anni era l’unica esperienza che offriva il mondo del Karate italiano, il vero Karate di Okinawa era ancora un lontano miraggio (anche se già quindicenne ero convinto che prima o poi avrei incontrato il vero Karate che non poteva essere quello che mi vendevano allora).

Sin dalle prime esperienze di gara adolescenziali rimasi molto perplesso sia dai regolamenti, che mi sembravano estremamente limitanti nell'espressione tecnica e combattiva del Karate, sia nei confronti dell'ambiente che le federazioni avevano coltivato intorno al mondo delle gare :

- arbitri molto spesso impreparati, in genere era la pippa della palestra, quello che non era all'altezza di essere un buon agonista o un sufficiente tecnico che veniva scelto e motivato per fare la carriera arbitrale, e peraltro molti di questi si sono poi anche ritrovati scandalosamente graduati e qualificati ad insegnare per convenienze politico-federali.

- arbitri impreparati appunto e che proprio per questo subivano facilmente la manipolazione e il condizionamento dei maestroni di turno e delle politiche federali diventando degli esecutori delle ‘direttive superiori’ sulla pelle dei ragazzi che si scontravano in gara dopo tanti sacrifici.

- la politica federale che era sempre dietro ai risultati agonistici e che condizionava pesantemente i risultati di gara grazie, come detto, alla condiscendenza arbitrale e al regolamento che offriva una discrezionalità assoluta da parte dell’arbitro sull’esito di un incontro.

- i maestri di quel genere di Karate che pur di vincere medaglie per la loro palestra erano disposti a sotterfugi, a manovre politiche a intrallazzi arbitrali... per non parlare delle scene che si vedevano puntualmente con atteggiamenti irrispettosi e rissosi nei confronti degli arbitri sia da parte dei ‘maestri’ che degli atleti. Insomma tutto fuorchè un ambiente che rispettava i principi morali ed etici nonché educativi che dovrebbero essere basilari per un Karateka.

- Infine gli 'atleti' (non chiamiamoli Karateka per favore) che sapevano portare due o tre tecniche in cui si erano specializzati, per lo più gyaku zuki, uraken uchi, mawashi geri e poco altro, qualcuno, anche tra i campioni non l'ho mai visto tirare altro che gyaku zuki.
Inoltre le simulazioni erano uno strumento utilizzatissimo per guadagnare punti e ammonizioni per l'avversario che spesso facevano la differenza tra la vittoria e la sconfitta, ovvero vincevi prendendole o simulando di averle prese… alla faccia dello spirito guerriero.
Una roba che mi faceva orrore e disgusto, a me che pur essendo un ragazzo fondamentalmente insicuro non solo accettavo di competere dovunque proprio per affrontare i miei limiti ma che mi sarei vergognato come un ladro se avessi guadagnato un solo punto disonestamente e che rimanevo impassibile mentre il sangue mi colava dal naso per un colpo non controllato perché l’errore per me era stato il mio che mi ero fatto sorprendere e non dell’avversario...
Ho visto vincere campionati italiani e mondiali da atleti che guadagnavano almeno 1 punto ad ogni combattimento grazie alle simulazioni (agevolate dalla suddetta incapacità arbitrale) e altri punti portando solo una tecnica...

Detto questo, frutto di diretta esperienza da atleta e insegnante, la competizione nella forma che ho descritto, e che è quella che ancora impera nel mondo del Karate-sport, è a mio parere non solo l’espressione di uno sport da combattimento con tali limiti e aberrazioni da far fatica a rientrare dignitosamente nel novero dei suddetti sport (la continua esclusione dagli sport olimpici ne è la prova evidente) ma è assolutamente antieducativa sia sotto il profilo tecnico che quello etico e morale.

Fatta questa lunga ma necessaria premessa ecco il mio pensiero riguardo alla competizione:

L'esperienza competitiva può essere per i più giovani un importante strumento educativo e formativo, specie per quel che riguarda le qualità psicologiche ed emotive del Karateka.

Ma alle seguenti condizioni:

- Il regolamento di gara deve essere studiato e distillato da parte di Maestri molto esperti nell'ambito del programma tecnico e didattico della stessa Scuola e deve far sì che il Karateka non debba sacrificare alcun aspetto della propria preparazione globale nel vasto curriculum tecnico del Karate tradizionale di Okinawa al fine di specializzarsi in poche tecniche che fruttano punteggio.
Per far questo la competizione deve prevedere, per quel che riguarda il combattimento, se non il contatto pieno, quantomeno un significativo contatto (ad evitare tutte le aberrazioni e manipolazioni facilitate dal cosiddetto fantomatico e strumentale 'controllo dei colpi'), deve inoltre prevedere tutte le distanze del combattimento fin'anche la lotta a terra (entro certi limiti) in modo da ampliare il bagaglio dell'esperienza tecnica e strategica del Karateka e costringerlo a sviluppare una tecnica da combattimento vasta e completa e il più possibile vicina ad una situazione di combattimento reale.
Le gare di Kata le eviterei ma se proprio si volessero organizzare gli allievi dovrebbero essere premiati perchè eseguono il Kata qualitativamente e tecnicamente secondo i rigorosi canoni di valutazione che sarebbero adottati in occasione di un esame di passaggio di grado nell’ambito della stessa Scuola. Pertanto le competizioni di Kata dovrebbero essere solo nell'ambito dello stesso stile e della stessa scuola (altrimenti i parametri potrebbero variare di molto e si ricadrebbe in quella discrezionalità che favorisce le aberrazioni di cui sopra).
Nella IOGKF Italia e internazionale abbiamo sperimentato in alcune occasioni delle formule di gara che prevedevano il confronto nel combattimento e nel Kata durante ogni incontro, pertanto chi vinceva la gara doveva essere senza dubbio molto preparato in entrambe le espressioni di esercizio primarie del Karate: il Kata e il combattimento.

- I competitori devono essere valutati dagli stessi Maestri nell'ambito della stessa scuola con i parametri suddetti e la competenza richiesta e non ultima l'onestà e assoluta imparzialità del giudizio.

Vi assicuro che non è un'utopia.

Nella IOGKF Italia, non solo i giudizi sono stati sempre imparziali e corretti ma addirittura a volte ero costretto ad ammonire alcuni Maestri che tendevano a penalizzare eccessivamente i propri stessi allievi perchè non esprimevano il meglio di loro stessi nell'incontro...
Ma questo atteggiamento onesto e neutrale può esserci solo nell'ambito di una Scuola seria ed onesta, composta da veri Maestri e praticanti che si rispettano e stimano e che hanno a cuore il far fare un'esperienza formativa ed educativa ai propri allievi, Non può essere contemplata nessun'altra finalità e questo non può certamente avvenire in un ambiente ibrido federale dove la politica e gli interessi economici sono la finalità dell'organizzazione delle gare.

Per concludere ritengo che l'esperienza competitiva, se espressa nell'ambito da me descritto e secondo i severi parametri che ho illustrato, sia un'esperienza certamente positiva e uno degli strumenti da poter utilizzare per la formazione ed educazione dei giovani e non toglierebbe nulla alla preparazione completa e rigorosa del praticante di Karate tradizionale.

Lo spirito dovrebbe essere quello espresso dal termine 'Shiai' ovvero: mi confronto con l'altro, grazie all'altro, per confrontarmi con me stesso, a prescindere dal risultato.
Tanto che e gare potrebbero anche essere organizzate a porte chiuse, senza pubblico (che porta sempre ad una ricerca di spettacolarizzazione fine a sé stessa), come tentò di fare il Maestro Barioli per il suo Judo-Educazione

Ma se la competizione assume le forme aberranti e diseducative che ho descritto lungamente all'inizio di questo articolo allora se ne può tranquillamente fare a meno, anzi se ne deve fare a meno, sfruttando appieno altri strumenti educativi nel Dojo...

Mi aspetto già l'obiezione da parte di qualche insegnante di 'Karate Tradizionale' (che con ogni probabilità non ha mai fatto l'esperienza della competizione e di un confronto reale) che l'arte marziale punta al combattimento reale e che quello di gara non potrà mai essere un
combattimento reale, per ovvi motivi di salvaguardia dei combattenti.
Verissimo, ma è anche vero che nel Dojo di Karate Tradizionale si adottano già varie forme di esercizio che puntano all'esecuzione di tecniche adatte ad un combattimento reale e pertanto l'esercizio competitivo, dello Shiai, nella forma più completa possibile che ho sopra descritto, servirebbe come esrecizio per confrontarsi con alcuni aspetti psicologici ed emotivi con i quali è difficile confrontarsi nell'ambiente familiare del Dojo, per quanto possa essere dura e realistica la pratica, e che sono determinanti anche in una situazione di cosiddetta ‘difesa personale’ o ‘combattimento reale’.
Solo un Maestro di grande esperienza e personalità, che a sua volta sia stato educato con tali mezzi (e non ne vedo molti in giro), può essere in grado di portare gli allievi nel Dojo a toccare quel limite e quella profondità di esperienza psico-emotiva che viene dall'aleatorietà e rischio di una situazione come quella competitiva.

Ricordate che quello che fa la differenza in un combattimento, ancor più in una situazione reale, è l'atteggiamento mentale, la capacità di controllare l'emozione quando si è sotto pressione di fronte all'aleatorietà e al rischio reale di rimanere feriti se non uccisi e conterà per l'80% al fine del risultato, la tecnica conterà il 20%... il resto sono chiacchiere e scuse per coprire la propria mancanza di esperienza.

Sono certo che un gran numero di cinture nere di karate e maestri che non si sono confrontati con sé stessi a sufficienza in situazioni in cui questi aspetti psicologici diventano predominanti, in una situazione di reale rischio rimarrebbero bloccati o comunque non sarebbero in grado di esprimere pienamente il potenziale che sono convinti di possedere e soccomberebbero.
Né è anche la prova il complesso di inferiorità che dimostrano i karateka che si dicono tradizionalisti nei confronti di discipline di combattimento in cui ci si confronta duramente come ad esempio le mma (che considero assai discutibili sotto il profilo educativo) come quando condividono sui social video di tali combattimenti nell'intento di dimostrare che nei loro Kata ci sono anche quelle tecniche… la dice lunga sull'insufficienza della loro preparazione di cui sono pienamente consapevoli, pur non ammettendolo per ovvi interessi di mercato.

"Puoi combattere solo nel modo in cui ti sei allenato..."
affermava Miyamoto Musashi

Spero di aver chiarito il mio pensiero al riguardo una volta per tutte.

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Le foto che seguono sono state scattate a Bergamo durante le semifinali e finali del Campionato Italiano di Kick Boxing Full Contact Wako del 1988. Spongia Sensei è quello in pantaloni blu. I
l suo avversario in semifinale (quello in pantaloni bianchi) sei mesi dopo vinse i giochi del Mediterraneo e meno di un anno dopo divenne campione del mondo dei mediomassimi …in gara il valore degli avversari e la sincerità dello scontro sono fondamentali per il valore dell’esperienza. 






 

© Tora Kan Dōjō















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