Storicamente lo Zen
affonda le sue radici nel lungo viaggio che il buddhismo indiano delle origini
fa attraverso la Cina, assorbendo posizioni del pensiero taoista e penetrando
successivamente in Giappone. La sua nascita è quindi nella confluenza di
due tradizioni antiche: quella indiana e quella cinese e infine nel suo
permanere all'interno della cultura giapponese. Questa complicata genesi è già
una prima difficoltà ad addentrarsi nelle questioni che la sua visione
affronta. La seconda difficoltà per un occidentale, è che lo zen, sebbene
indichi una via di salvezza, non è propriamente né una religione, né una
filosofia, sebbene in qualche modo intrecci aspetti della ricerca sia
filosofica che religiosa. Non lo è, anche perché lo zen pone - a suo fondamento
- un approccio di mente-corpo-cuore e proprio ai modi consueti di catalogare la
realtà, allo stesso sentire in termini dualistici, contrappone quella natura
originaria che precede le convenzioni del linguaggio, apprese crescendo. Si
potrebbe dire che l'edificazione delle certezze, a partire da una
discriminazione, è precisamente quanto la pratica zen vuole mettere in crisi.
Forse Proust lo spiega bene quando nella Recherche, tentando di descrivere le
sorprendenti prospettive e i giochi di luce del pittore Elstir dice: I nomi che
designano le cose rispondono sempre ad una nozione di intelligenza, estranea
alle nostre autentiche impressioni e che ci obbliga a eliminare da esse quanto
non abbia rapporto con tale nozione. Ora se il Padreterno aveva creato le cose
nominandole. Elstir le ricreava togliendo loro ti nome o dandone un altro (. .
.) e lo sforzo che faceva per spogliarsi in presenza della realtà di tutte le
nozioni della sua intelligenza era tanto più ammirevole in quanto quest'uomo
che, prima di dipingere si faceva ignorante e dimenticava ogni cosa, aveva in
effetti un 'intelligenza eccezionalmente coltivata" E' proprio a queste'
autentiche impressioni', che lo zen tenta di accedere, facendo come il pittore
lo sforzo di spogliarsi dalla realtà e anche da un certo tipo di intelletto. In
questo cambio di prospettiva, il nucleo di esistenza solitamente attribuito
all'essere, all'identità, al tempo... si fa molto più fluido, non si tratta di
un aut aut, ma di un et et, non di sostanze ma di relazioni, di cogliere
simultaneamente lati contrari, il punto in cui le cose si generano
in-distintamente. Questo punto è espresso dalla nozione del 'Vuoto', cioè
dall'intreccio mutevole di quanto continuamente compare, scompare, muta, si
dissolve; una forma dunque estremamente mobile a cui illusoriamente attribuiamo
una rigidità, certe precise qualità, una durata. Tale' errore' o attitudine a
voler scorgere permanenza laddove non c'è, genera come conseguenza un
attaccamento che è fonte di continua smentita. Inoltre il pensare in termini
di: bene/male, giusto/ingiusto, vero/ falso ... porta a voler perseguire solo
un lato della della medaglia e ad evitarsene il rovescio, tentativo non solo
frustrato, ma che fa ricadere sempre negli stessi lacci di: profitto o perdita,
pena del domani che non viene, dell'ieri che troppo presto è passato ... Per
spezzare questa associazione meccanica, la nozione del vuoto viene espressa dal
silenzio o da un ribaltamento dei luoghi comuni del linguaggio. Da qui le
risposte proverbiali e paradossali che i maestri davano al discepolo incartato
in un concetto che, facendo da filtro, offuscava la sua più autentica
percezione. Lo sguardo che lo zen tenta, è dunque una contemplazione del
'così', prima dell'abitudine, del giudizio o della volontà secondo quel
giudizio. Questo graduale spogliarsi, avviene attraverso una via eminentemente
pratica: la postura dello zazen (del sedersi) e l'attenzione cerimoniale ai
gesti più consueti. La postura è la fede che a partire dalle ossa, dal respiro,
si potrà indebolire la presunzione della mente di concepirsi intorno ad un'idea
di sé; che dando voce all'apprendimento muto e antico del corpo, si metterà a
tacere il rumoroso impero dei propri preconcetti. Presupposto alla fatica e
tensione dello zazen è questa forma vuota, che intreccia e disfa molte certezze
e di cui la liberazione (ma potremmo anche dire la -libertà) è allo stesso
tempo principio e fine. (Forse quando Eleonora Pimentel Fonseca, scriveva sul
Monitore, durante i pochi mesi di vita della Repubblica partenopea: "La
libertà l'hanno solo i popoli liberi" enunciava, aldilà dell' apparente
tautologia, la stessa profonda verità, giacché nessuna libertà arriva a essere
davvero ri-voluzione, se non è prima sentita come uno stato, uno spazio.) Della
pratica zen fa parte anche la scansione rituale del tempo, che include la
quotidianità del dormire, del mangiare, del lavoro... ed è rigoroso
apprendistato a compiere - data l'infinita intersezione che ci com-prende -
gesti accorti. Questa educazione o buon governo di terrestre e irreale pretende
la pratica di una vita, un allenamento dei sensi contrario al 'guarda e passa',
il più amoroso fermarsi. Nasce anche dalla consapevolezza che non esiste
intervento innocuo, che ogni azione pianta radici, getta semi, influenza
profondamente. Proprio l'attenzione è infine all' origine della com-passione,
del con-sentire... essa porta a quel sentimento di solitudine interrotta e
attraversata dal tessuto di molti inesplicabili 'accanto'. In una delle sue
tante e tanto trascurate intuizioni, Anna Maria Orte se, descrive questo vasto
sfondo di cui percepiamo appena una vaga presenza, scrivendo: 'Torse lo spirito
non è nave, ma solo continente che viaggia, continente sommerso! Nascosto!
Sembra debole nave solo perché viaggia e poco ne emerge. Ma è continente
grandioso!" Smemorati, passeggiamo in una sera di primavera al crepuscolo.
L'ultima striscia malva in fondo al cielo, la prospettiva degli alberi, il
tempo che succede al tempo. Sono state previste le ore di sole e d'ombra, l'inverno
e l'estate, il disegno dei diversi rami... la breve strada che si snoda tra
palazzi nemmeno tanto amabili di una qualsiasi città, è strada di firmamento...
tutto immensamente predisposto, dall' erba alla nuvola, all'orizzonte dove è
apparsa la prima timida stella... Sentire tutto questo con-temporaneamente...
come un mendicante che si trovi all'improvviso un diamante in tasca o uno che
si è risvegliato dallo stare sveglio...
Tiziana Verde
© Tora Kan Dōjō
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