Federico Dainin Jôkô Senseï |
Quando celebriamo un rito, in realtà, non c'è nulla di sacro. Niente di magico.
Nessun soprannaturale, nessuna surrealtà. Quando celebriamo un rito, nello Zen, è il nostro corpo che si dispiega e si apre all'universo, paradiso ritrovato; la nostra mente diventa la “Terra Promessa” e ogni nostro gesto lo sbocciare di un miracolo.
Quando celebriamo un rito, siamo il tempo pulsante e non c'è posto dove non siamo. Diventiamo eternità in questo presente pienamente espresso.
Quando celebriamo un
rito, diventiamo preghiera, siamo lode.
In un istante, uno
solo, tutto è unificato nella precisione, nella bellezza e l'armonia del gesto.
Tutto è possibile in
questo istante perché l’ “Io" svanisce e lascia il posto al Tutto. È in questo Tutto che possiamo toccare e sostenere
l'essere sofferente, o unirci alla gioia del mondo.
Se celebriamo con fede,
allora con il tempo, tutta la nostra vita sarà celebrare i nostri riti.
Nel cuore del rito non
c'è più bisogno di cercare il volto di Dio, perché nel nostro corpo offerto alla
celebrazione vi è il corpo dell’Al-di-Là-di-Tutto che cambia, si muove, canta, grida, si prostra e si inchina, tace, piange
e sorride.
Quando celebriamo,
diventiamo la bellezza di coloro le cui vite sono segnate, diventiamo la voce
di coloro che non hanno voce, diventiamo la dignità di coloro a cui è stata
tolta la dignità, diventiamo il canto di chi ha il cuore troppo pesante per
cantare, diventiamo la leggerezza di coloro che la vita ha abbattuto,
diventiamo la presenza di coloro che si sono persi, diventiamo l'armonia di
coloro i cui giorni sono stati devastati, diventiamo la gioia di chi non ha più
gioia.
E il nostro corpo
diventa nutrimento per chi ha fame, tutto il nostro corpo diventa acqua fresca (per coloro che sono assetati. Questo è festeggiare!
Non c'è nessuna cerimonia che inizia o finisce. Non facciamo altro che attraversare, penetrare avanti e indietro nella Cerimonia senza inizio e senza fine che è la vita del cosmo.
Foto di Alessio Trafeli
Versione in Francese:
Lorsque nous célébrons
un rite nous sommes le temps palpitant et il n'est aucun lieu où nous ne sommes
pas nous devenons éternité dans ce présent pleinement exprimé.
Lorsque nous célébrons
un rite, nous devenons prière, nous sommes louange.
En un instant, un seul,
tout est unifié dans la précision, la beauté et l'harmonie du geste.
Tout est possible à cet
instant car le "moi" disparait et laisse la place au Tout. C'est dans
ce Tout que nous pouvons toucher et relever l'être souffrant, ou nous joindre à
la joie du monde.
Si nous célébrons avec
foi, alors avec le temps, notre vie toute entière ressemblera à la célébration
de nos rites.
Au coeur du rite il
n'est alors plus besoin de chercher le visage de Dieu car dans notre corps
offert à la célébration c'est le corps de l'Au-de-Là-de-Tout qui bouge, se
meut, chante, crie, se prosterne et s'incline, se tait, pleure et sourit.
Quand nous célébrons,
nous devenons la beauté des êtres dont la vie est marquée, nous devenons la
voix de ceux qui n'ont pas de voix, nous devenons la dignité de ceux à qui on a
enlevé la dignité, nous devenons le chant de cet être qui a le coeur trop lourd
pour chanter, nous devenons la légèreté de ceux que la vie a terrassé, nous
devenons la présence de ceux qui se sont perdus, nous devenons l'harmonie de
ceux dont les jours ont été dévastées, nous devenons la joie de ceux qui n'ont
plus de joie.
Et notre corps devient
la nourriture pour ceux qui ont faim, tout notre corps devient l'eau fraîche
pour ceux qui sont assoiffés. Cest cela célébrer !
Il n'y a aucune
cérémonie qui commence ni qui se termine. Nous ne faisons que traverser,
pénétrer aller et venir dans la Cérémonie sans commencement et sans fin qu'est
la vie du cosmos.
Photos Alessio Trafeli
© Tora Kan Dōjō
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