domenica 1 settembre 2019

La Stanza del Silenzio




Nella mia casa, c’è una stanza, né grande né piccola, vuota. È cosí da trentadue anni.
Ci entro soltanto per sedermi in silenzio da sola e due volte a settimana con altre persone. Il pavimento è coperto da una moquette, un po’ vecchia, azzurra, le pareti sono bianche, c’è una fila di cuscini su un lato della stanza, ci sono due finestre, poggiata a un supporto alto circa un metro, la testa di un Buddha di origine cambogiana simile a un Pierrot gentile e sereno, per terra due candele e una ciotola per l’incenso. In effetti, questa stanza è nata intorno a un gesto. Il gesto di inchinarsi, di poggiare la fronte a terra. Di scendere. È bello avere un gesto che si ripete ogni giorno, è come avere una cornice che resta ferma e al suo interno possiamo notare come tutto cambi, dentro e fuori di noi. Tenendo fermo il gesto, notiamo che un giorno lo facciamo con commozione, un giorno con rabbia, un giorno di fretta, un giorno siamo innamorati e un’altra volta non lo siamo piú, la vita ci ha toccato a fondo, la vita sembra trascurarci, e con tutto questo scorrere di eventi e di stati d’animo, insieme a tutto questo, noi c’inchiniamo.
Avere in casa una stanza cosí cambia un po’ l’esistenza, rende tutta la casa un po’ diversa. In qualche modo, una parte di me sa che c’è uno spazio in casa dove si coltiva la fiducia. Fondamentalmente è questo che la frequentazione del silenzio e del lasciar essere le cose cosí come sono crea: fiducia. Non ha molta importanza in cosa, una fiducia radicale e insieme minimale, anche solo che ci sia un sentiero e che sia percorribile, che ci sia una stanza, che ci si possa sedere, che il dolore o la gioia possano stare seduti con noi, in noi, nella stanza, che possano essere compresi. Mi è capitato, in momenti di profonda sofferenza, di entrare semplicemente nella stanza e di percepire tutte le ore passate lí seduta a coltivare la fiducia, era come se mi corressero incontro e mi abbracciassero. Quelle ore in quei momenti mi hanno confortata e sorretta.
C’è un silenzio che da quella stanza esce e tocca le altre stanze. Spesso le persone che mi vengono a trovare sentono quel silenzio, lo notano, come qualcosa di sereno. Non è il mio silenzio e non è il silenzio di qualcun altro, ma incontrarsi e fare insieme silenzio fa nascere qualcosa. Qualcosa che resta. Il luogo lo registra, lo assorbe, si può sentirlo. Fa parte della pratica di meditazione buddhista non separare i mondi, non dividere quel che consideriamo spirituale da quel che riteniamo ordinario, cosí i gesti quotidiani di cucinare, lavare i piatti, telefonare, pulire, lavarsi, leggere, scrivere possono diventare forme di preghiera, nel senso di contatto con il silenzio, con la trascendenza: sono semplici gesti, sono solo quello che sono, eppure… Avere in casa un luogo della meditazione accende la consapevolezza piú spesso; c’è un silenzio pieno, vitale, felice che da lí dilaga e ricorda che il momento giusto è ora. Ti sveglia a praticare, proprio in questo momento, il saper di essere viva e aprirsi al suo mistero.

tratto da: Candiani, Chandra Livia. Il silenzio è cosa viva: L'arte della meditazione. Einaudi.



© Tora Kan Dōjō





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