mercoledì 20 febbraio 2019

La Preghiera che sgorga dal centro del Cuore


La preghiera: come funziona e a cosa serve sarebbe un fatto personale – si dice - ma non è così, dato che la preghiera cambia la vita. 
La nostra vita, quella familiare e quella pubblica.
Fin dall’antichità gli imperatori hanno richiesto ai religiosi la loro quotidiana preghiera di supporto ed è da sempre tradizione fondare un monastero dove c’è stata una sanguinosa battaglia.
Oggi sembra strano pensarci, oggi dove molti parlano di religione o spiritualità ma restano semplicemente materialisti perché quello gli è stato inculcato a forza, e dato che gli schiavi subiscono, vivendo annodati interiormente e deprivati di ogni facoltà.
E poi vanno alla santa messa, a fare zazen, a ripetere il daimoku, alla moschea o alla sinagoga.
Fino a che non ci libereremo dalle pastoie del materialismo riduzionista, come ci siamo liberati dalla religiosità buia e irragionevole, non potremo guardare i fatti, né quelli “materiali”, né quelli “spirituali”, sempre che ci sia una differenza fra i due.
Per questo anche nel buddhismo, religione sublime e gnostica dove si spacca ogni concetto e lo si porta all’origine, tuttavia, esiste la preghiera. Perché non è solo con la più nuda meditazione che riconosciamo la realtà vivente, ma è anche con l’intento, con quella proiezione della nostra volontà che resta silenziosa, che tace spalancata e immensa, sia che la concepiamo come sgorgante dal divino che è in noi, sia che la vediamo come proveniente dal trascendente; in fondo queste sono solo parole.
L’anelito silenzioso del cuore è la radice della preghiera. Mi raccontarono una storiella sufi che narra di un ciabattino così povero da dover lavorare tutto il giorno e da non poter permettersi un momento di pausa; era addolorato profondamente dal fatto di non riuscire ad andare alla moschea per la preghiera. Un giorno trovò il momento e alle prime luci dell’alba si alzò per prepararsi ad andare finalmente alla preghiera quando appare di colpo Shaitan in persona che gli dice: “presto, avanti, muoviti o farai tardi!”… Stupito il pio ciabattino gli chiede perché lo affrettasse, lui, il Diavolo in persona! Questi resistette per un po’ ma alle parole di esorcismo del ciabattino fu costretto a confessare: “Che tu vada a pregare mi disgusta… Ma ciò che mi uccide è il tuo continuo sospirare per la preghiera… Il tuo cuore che desidera così intimamente il divino non lo sopporto!”.
Questa storiella che cita categorie per me inusuali, tuttavia, ha molte e vere implicazioni. Cosa desidera intimamente il nostro cuore è realizzare quel mistero, quell’anelito sconfinato e ubiquo, da cui desideriamo l’eterno. Solo allora, trascendente o no, potremo vivere l’eterno.
Anche nel preciso istante in cui la meditazione di noi buddhisti, la più silenziosa e nuda, si volge verso il mondo io so che diventa preghiera anche se non recitiamo niente o nemmeno cantiamo i sutra; può essere preghiera anche l’azione, come lo è la contemplazione, la parola come la scrittura, l’arte, perfino il combattimento, ma prima deve essere quella sacra parola, quel suono o discorso che resta inarticolato pur essendo proferito, non avendo eco oppure, detto in altro modo, essendo una eco che è ovunque.
Proferendola si può diventare la parola, meditando diventare la meditazione, raccogliendo le noci per terra nel tramonto diventare il tramonto.
Se lo vedi lo sai, se pratichi sinceramente non sei un mero prete che ripete formule, ma un eremita che vive fra altri esseri umani.
La cosa inevitabile è che chiunque senta, veda e sappia di essere un sacerdos si attui di conseguenza, smettendo di essere l’ottuso braccio dell’oblio e dell’accanimento dell’essere umano addormentato. Il suo compito, chiunque egli o ella sia, è il radicarsi nella meditazione e nella preghiera. La contemplazione verrà di conseguenza attraverso il silenzio e il mondo diverrà una fontana di luce dentro al tuo stesso occhio, quando il tuo volto si spalancherà nel tutto.
Non si riesce a tornare indietro se la vita ci designa così, ed è bene affrettarsi se abbiamo ricevuto quell’unzione, perché così la gioia ci si spalanca in ogni istante.
Una meditazione inevitabilmente aperta e silenziosa, una preghiera affrancata da ogni pretesa, ma che si incentra nel più silenzioso senso interiore per creare miracoli di comunione col tutto. Quando questa emozione oceanica è creata si bussa e ci viene aperto simultaneamente. Non per disperazione o per formalità rituale ma quando il miracolo chiama il miracolo; così si realizza l’impossibile perché una gioia indicibile accende il mondo. Si accede all’innocenza del neonato, al momento che precede la creazione del mondo, dato che, infatti, si sta sempre creando.
In un antico grimorio magico, dove si trattava dell’incontro con l’angelo fu scritto “la tua preghiera deve sgorgare dal centro più profondo del tuo cuore”.
Mi fa venire in mente Hakuin, il Maestro zen che ritraeva se stesso come una divinità ammiccante e ridacchiante, o San Filippo Neri che si presentava all’Eternità dicendogli “Amore mio, qui è il tuo Pippo...”.
Partire per la battaglia corazzati di preghiera non è un tentativo, non stiamo sperando di avere pregato a sufficienza per poterci comportare come l’ultimo degli idioti o degli assassini, ovvero impunemente, non abbiamo pagato un dio con delle preghiere per evitare di maturare come uomini.
Solo quando rimaniamo ancorati a questo sacro vivente funzioniamo come sacerdos, gli altri facciano quello che devono fare, se noi faremo cose apparentemente simili le faremo con un altro volere e con una altra intensità, ma resta cruciale per il sacerdos la necessità di penetrare l’inconscio collettivo e perciò le menzogne del genere umano, anche quelle politiche, religiose e scientifiche, anche quelle che ci fanno comodo e che ci rendono ciechi; talvolta ci riusciamo con l’intelligenza, talvolta con la meditazione e talvolta con il silenzio e la solitudine perpetuati fino a ricevere la risposta.
Non ho altro da dire e la tua giornata ti chiama a quanto dovrai compiere con onore; se di battaglia si tratta non essere debole né confuso, porta con te l’arma del non-nato, del sentirti libero dalla nascita e dalla morte, come se ci fosse un solo istante eterno, perché solo quello c’è, infatti.
Se leggendo hai avuto in te un’alba, è stato a causa della vera profezia che ti attende da sempre e che da bambini celebravamo saltellando su e giù mentre guardavamo felici il mondo, pur restando il nostro sguardo fermo, immutabile.



Maestro Leonardo Anfolsi

Fonte 



© Tora Kan Dōjō



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