mercoledì 21 novembre 2018

Essere uomo significa essere responsabile

Essere uomo significa appunto essere responsabile. Significa provare vergogna in presenza d’una miseria che pur non sembra dipendere da noi. Esser fieri d’una vittoria conseguita dai compagni. Sentire che, posando la propria pietra, si contribuisce a costruire il mondo.

Si vuol confondere uomini simili con i toreri o i giocatori. Si loda il loro disprezzo della morte. Ma del disprezzo della morte non so che farmene. Se esso non ha radice in una responsabilità consapevolmente accettata, è indice unicamente di povertà o d’eccesso giovanile. Ho conosciuto un giovane suicida. Fu spinto, da non so più qual pena d’amore, a spararsi con cura una pallottola nel cuore. S’era infilato un paio di guanti bianchi, e non so a qual tentazione letteraria avesse ceduto; ma ricordo d’aver provato, di fronte a quella triste esibizione, un’impressione non di nobiltà ma di miseria. Dietro quel viso simpatico, sotto quel cranio d’uomo, non c’era stato dunque niente, proprio un ben niente. Tranne l’immagine di non so qual sciocchina simile ad altre.

Di fronte a quella sorte meschina ricordai una vera morte da uomo. Quella di un giardiniere che mi diceva: “Sa... talvolta faticavo a vangare e avevo le fitte dei reumatismi nella gamba. Imprecavo contro quella schiavitù. Oggi invece vorrei vangare, vangare nel terreno. Mi sembra così bello, vangare! Si è così liberi, vangando! E poi, anche i miei alberi, chi li poterà?”. Egli lasciava un terreno incolto. Era vincolato amorosamente a tutti i terreni ed alberi della terra. Il generoso, il prodigo, il gran signore, era lui!"


Da “Terra degli uomini” (il racconto di Guillaumet)
di Antoine de Saint-Exupéry



© Tora Kan Dōjō






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