mercoledì 6 giugno 2018

Il Vero Zen

                                          
Lo Zen, per molti, non è che una religione asiatica tra le altre. In realtà, pur essendosi sviluppato in seno alla più antica tradizione del Buddhismo, lo Zen è come l'acqua viva, che incessantemente si rinnova e zampilla sempre limpida.
Lo Zen può trasmettere luce e forza all'umanità. Deve divenire, nel nuovo secolo che sta per aprirsi, l'idea guida in grado di favorirne la crescita e di donargli la pace.
Il mondo attuale è dominato da sconvolgimenti, tutti esteriori, tesi al raggiungimento di un maggior benessere, di maggiori agi, di possessi sempre più vasti. Così l'ego si riconferma e si rafforza.
L'autentica rivoluzione è invece tutta interiore. É la rivoluzione dei nostri spiriti, generata dalla pratica dello Zen. La pace e la libertà sono i suoi frutti.
Lo Zen è una profonda filosofia la cui essenza non può essere attinta con il pensiero. La saggezza suprema può esser raggiunta solo attraverso la pratica, che diviene allora una forza motrice possente, un'arte del vivere, una maniera d'essere. Lo Zen è stato tutto questo nel corso di lunghi secoli per i popoli asiatici e in particolar modo per i giapponesi. Attualmente si rivolge all'intero mondo. Lo Zen può e deve divenire una grande forza di pace. L'autentica pace, nel suo significato reale, positivo, deve avere come fine la creazione delle basi su cui fondare una civiltà che si addica all'umanità intera. Tutti gli Stati, nell'ora attuale, devono superare l'unilateralità dell'ideologia e del particolarismo, abolendo le barriere nazionalistiche e razziali. 
Dobbiamo tendere a un fine comune: quello di un cammino universale. Dobbiamo estendere e armonizzare le nostre concezioni, con uno spirito aperto al senso dell'universale. Lo spirito moderno deve liberarsi dalle vecchie superstizioni, dalle credenze, dai contrasti e dalle incomprensioni morali. Al relativo e al dualismo, fondamenti necessari, dobbiamo aggiungere il senso dell'universale. Questi due aspetti devono essere unificati, sino a formare il senso religioso dell'assoluto, dell'unità.
Nello Zen la conoscenza di sé costituisce il problema decisivo. Questa conoscenza fu ed è la base dell'insegnamento di un gran numero di filosofi, anche in Occidente. Ma questa ricerca con il trascorrere del tempo è degenerata, portando a un rafforzamento dell'ego e all'individualismo, soprattutto nel mondo occidentale, dove domina una morale egocentrica, fondata sull'adorazione di un Dio personale alla cui perfezione è necessario tendere.
Per lo Zen, invece, il mondo del Satori, che è la verità, l'assoluto, può essere raggiunto soltanto attraverso il superamento dell'individualità. Una tale ricerca non esige condizioni straordinarie, soprannaturali, misteriose dello spirito, essendo, molto semplicemente, una via verso un «ritorno alla normalità» dell'essere.
Concezioni simili esistevano già in Oriente prima del Buddhismo. Ma è Nagarjuna che ha organizzato e sistematizzato la filosofia del vuoto. Egli fu monaco in India, prima di Bodhidharma, e si situa all'origine del Buddhismo Mahayana e dello Zen.
Quest'uomo mirabile scrisse numerosi libri, il più importante dei quali è il Prajna Paramita Sastra (Il trattato della virtù della grande saggezza). Il Buddhismo Mahayana conobbe, per il suo impulso, una grande diffusione.
La saggezza e la verità, secondo Nagarjuna, esistono su due piani: l'assoluto e il relativo. Tra di essi si situa la «Via del mezzo» che predica il vuoto. E in tutta l'Asia, partendo dall'India per giungere al Giappone attraverso la Cina, la pratica di questa filosofia del vuoto è fiorita generando la saggezza dell'Oriente.
Ed è proprio da questa filosofia del vuoto che lo Zen si è sviluppato. Ha donato agli uomini la saggezza più alta, originale, il sentimento di una religione della conoscenza, sempre attuale e forte. Lo Zen ha proposto in ogni tempo e in ogni luogo questa suprema saggezza come il giudizio più profondo e la scelta più alta.
Soprattutto in Giappone, libero dal misticismo indiano e dall'astrazione metafisica, come dal paradosso taoista di Lao-Tzue dal pragmatismo di Confucio, lo Zen assunse le qualità tipicamente giapponesi dell'esattezza, della precisione, della semplicità.
Origine e fondamento delle arti e della cultura, lo Zen ispirò la cerimonia del tè (chano-yu o cha-do), l'arte di disporre i fiori (ikebana), l'arte della calligrafia (sho-do), la pittura (zen-ga), il teatro (no), l'arte culinaria (zen ryori, shojin ryori, fucha ryori). Lo Zen è ugualmente alla base delle arti marziali: tiro con l'arco (kyudo), spada (kendo), judo, aikido.
Decisiva è stata la funzione del Maestro Dōgen nell'insegnamento della filosofia zen. Nella sua grande opera, lo Shōbōgenzō, egli enuncia la sua dottrina del tempo e dello spazio.
Considerando il presente come la particella più infinitesimale del tempo, nel punto d'incontro tra passato e futuro, e lo spazio come un'infinitesimale parte dell'atomo, la più piccola che ci sia dato cogliere, il Maestro Dōgen spiega la realtà dell'universo.
Il nostro spirito, afferma, contiene l'universo. Deve fondersi nell'universale, al di là dell'ego, che è la falsa coscienza dell'essere separato. Questo sentimento di unità universale è, nel Buddhismo, alla base dell'amore.
Il Maestro Dōgen dice anche, nello Shōbōgenzō, che corpo e spirito sono uno stesso assoluto, non dualistico. Lo Zen non è una filosofia della ragione, come la maggior parte delle filosofie occidentali, ma una filosofia della vita, dell'intuizione, al di là della ragione, una filosofia totale.
Se ci concentriamo incessantemente sull'attimo presente, la nostra intera vita, attraverso la successione di questi istanti, sino alla morte, è concentrata, è vissuta. Se viviamo attraverso il pensiero, sia nel passato che nel futuro, non possiamo cogliere il «reale», e la nostra vita non è «realmente» vissuta.
É per questo che il Maestro Dōgen ha parlato lungamente dell'importanza dei gesti quotidiani, indicando dettagliatamente come eseguire le funzioni elementari della vita. Conferire un significato a funzioni in apparenza banali, ma la cui perfetta esecuzione permette di concentrarsi sull'istante presente: ecco la chiave di volta del suo insegnamento.
La pratica raggiunge così la filosofia e la supera in importanza o, più esattamente, la precede, essendo quest'ultima conoscibile solo attraverso la pratica. Secondo l'esempio ben noto, non è possibile conoscere una mela contemplandola in un quadro. Bisogna mangiarla per apprezzarne il valore e le qualità, e per sapere realmente cosa sia.
Ho voluto portare dal Giappone questa «vera mela» o, detto altrimenti, la dottrina vivente. Mi auguro che un giorno gli occidentali giungano a unificare ciò che essi erroneamente contrappongono, ossia spirito e materia, religione e scienza, soggettività individuale e oggettività fenomenica, razionale e non razionale. Ho incontrato numerosi occidentali ferventi nella loro ricerca, sinceri e pieni di speranza: questo libro è destinato a loro.
Sappiate infine che lo Zen si è sempre trasmesso in un modo particolare: i shin den shin (secondo il linguaggio antico), oppure kokoro kara kokoro (secondo il linguaggio moderno), ossia «dalla mia anima alla tua anima», da cuore a cuore, da intuizione a intuizione. Così Bodhidharma insegnò lo Zen a Eka, il suo primo, celebre discepolo cinese, che non parlava la sua stessa lingua. Così Buddha, sulla montagna di Radjgir: dopo aver concluso uno dei suoi famosi discorsi, prese un fiore, lo fece delicatamente ruotare tra le dita e con un sorriso guardò i suoi discepoli.
Solo Mahakashyapa gli sorrise: lui solo aveva capito. Lui solo ebbe il fiore.

Luglio 1971
Taisen Deshimaru Rōshi (弟子丸泰仙)
Tratto da: Il Vero Zen
Titolo originale: Vrai Zen
Traduzione di Guido Alberti,
Piccola Enciclopedia, ©1993
© Tora Kan Dōjō



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