domenica 5 maggio 2013

Evanescence



Il seguente articolo, a firma di sensei Paolo Taigō Spongia, è stato appena pubblicato nel n. 7 della prestigiosa Rivista/Libro ‘Night Italia’ diretta da Marco Flores Fioramanti e Anton Perich lo riproponiamo qui per i nostri lettori ringraziando Night Italia per la disponibilità.



EVANESCENCE


“Praticare è conoscere sé stessi.
Conoscere sé stessi è abbandonare sé stessi (shin jin datsu raku)
Abbandonare sé stessi è riconoscersi in ogni esistenza”

Dōgen Zenji (1200-1253)

Evanescence…, l’abbandono di sé… eppure l’abbandono di sé non può che avvenire conoscendo sé stessi e non c’è nulla di meno evanescente, è materia fatta di carne, sangue, sudore… Forma, sensazione, percezione, volontà e coscienza.
Mi avvicinai alle arti marziali subendone immediatamente un fascino irresistibile, inevitabile l’incontro con lo Zen nella ricerca delle chiavi di accesso ad una comprensione profonda dell’esercizio che si potesse estendere, concretamente, ad ogni momento di vita quotidiana.
Non credo allo sport che ‘toglie i ragazzi dalla strada’ ma ad una pratica che li restituisca alla strada capaci di orientamento e di essere guida ad altri.
Non mi interessava lo sport inteso come distrazione, valvola di sfogo, e anche la competizione, in quel momento unica esperienza possibile, la vidi come occasione di confronto con quel me stesso pavido e insicuro, costringendolo ad uscire allo scoperto.
Incontrai lo Zen leggendo le gesta di Deshimaru Roshi, Primo Patriarca Zen d’Europa:
 “Come rischiarare il proprio spirito, guidare la propria condotta, diventare saggi?
Dall'alba della sua storia, l'essere umano ha manifestato il desiderio di superarsi in forza e saggezza, aspirando in verità, a raggiungere la più grande forza e la più alta saggezza.
Ma , attraverso quale mezzo si può diventare forti e saggi contemporaneamente? In Giappone vi si prova attraverso la pratica delle arti marziali, o Budō, e attraverso la Via dello Zen.” Taisen Deshimaru
Mi misi in cammino e incontrai il mio Maestro, che succedeva allo stesso Deshimaru nella linea di sangue che dal Buddha arriva ai nostri giorni.


 Lo incontrai che avevo già percorso un ragguardevole tratto di strada sulla Via del Karate-Dō, dopo 17 anni di pratica avevo fondato il mio Dōjō, avevo allievi che ancora oggi condividono il mio cammino.
L’incontro fu devastante per il mio ego.
La corazza di certezze dietro le quali si nascondeva il bambino impaurito mascherato da guerriero crollò al primo sguardo, alle prime esortazioni.
Rimisi tutto in gioco e fui ri-educato, de-programmato, doloroso ma necessario passaggio per la porta stretta.
Io che avevo fatto l'esperienza del combattimento, di duri allenamenti ed esami in Giappone, mi ritrovai inerme di fronte all’educazione Zen, raffinata ed affilata come una spada.
Divenne estremamente chiaro il concetto di Zanshin (presenza totale, totale immersione nel momento presente) nel fare l'esperienza della vita del Tempio scandita da continui 'Kata' e dalla ricerca di un gesto puntuale ed intuitivo, del gesto che si consuma fino in fondo.
Nell’azione compiuta fino in fondo, Ippō Gūjin, c’è tutto il Cosmo e il Cosmo intero è in un solo gesto.



“…è grazie all’esercizio quotidiano che il sole, la luna e le stelle si muovono e che esistono la terra e il vasto spazio…” (Dōgen Zenji, Shōbōgenzō, cap. Gyoji)
Il Kata, la forma dell’azione come porta verso la completa libertà.
“…La ripetizione rituale, ciò che esalta la forma e l’ordine è, dunque, la protezione che consente di attraversare il sacro in quanto crisi, ma al tempo stesso è ciò che lo imbriglia e lo doma…ma la ripetizione rituale ha anch’essa una doppia facciata: da un lato è ordine e ritmo, ritorno all’identico; dall’altro può giungere alla soglia critica di un cambiamento di stato… Nella ripetizione c’è questa doppia potenzialità: di stabilità e di trasformazione.
(Stefano Levi Della Torre, Zone di Turbolenza)
Il Samu, il lavoro manuale, aspetto fondamentale della pratica, svolto a stretto contatto col mio Maestro, fu altro aspetto illuminante dell'esperienza Zen.
Un lavoro non asservito al profitto ma esperienza totale della complessa relazione tra causa ed effetto.

La ricerca dell'azione armoniosa ed efficace prima che il pensiero possa frapporsi tra intuizione ed azione sono alla base dell'Insegnamento e della pratica Zen.
E l'essenza dell'Insegnamento passa da Maestro a Discepolo 'come l'acqua si versa da un contenitore all'altro' I Shin Den Shin (da cuore a cuore) attraverso la condivisione di vita quotidiana e questo significato profondo si dovrà rinnovare, ridire, poterlo riesprimere con nuove parole.
Niente a che vedere con la conoscenza libresca, con il Kōan come masturbazione intellettuale.
Bensì Genjō Kōan, la vita quotidiana, supremo Kōan, che ci interroga sulla Grande Questione (Dai-ji) del nascere e morire.
Le nostre vite, vanno ben oltre quel che semplicemente pensiamo ci costituisca o quel che semplicemente riusciamo a vedere di noi.
 Mi furono offerte le chiavi per trasporre all’azione quotidiana i principi dell’Arte.
Arte come non-fabbricazione, opera d’arte vivente, arte della vita, espressione dell’essere e del fare che lo Zen definisce come: ‘il modo infinito di fare cose finite’.
Non credo all’arte svincolata da una domanda irrisolvibile che metta in gioco la propria vita altrimenti si tratta, ancora una volta, di modesta fabbricazione umana, semplice commercio.
Così come lo Zen oggi viene ‘venduto’ come pratica di rilassamento, di ‘miglioramento di sé’.
Niente di più lontano dallo spirito di Bodhidharma.
Sedere in Zazen è essere disposti a perdersi nella totale presenza, essere capaci di abbracciare ogni contraddizione e vedersi quel che già si è e a cui nulla è necessario aggiungere, dei Buddha.
Arte come Pratica, come restituzione gioiosa di un debito inestinguibile.
Così come il vero spirito religioso non appartiene al bisogno ma all’incontenibile abbondanza.





 

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