Il seguente articolo, a firma di sensei Paolo Taigō
Spongia, è stato appena pubblicato nel n. 7 della prestigiosa Rivista/Libro ‘Night
Italia’ diretta da Marco Flores Fioramanti e Anton Perich lo riproponiamo qui per
i nostri lettori ringraziando Night Italia per la disponibilità.
EVANESCENCE
“Praticare
è conoscere sé stessi.
Conoscere
sé stessi è abbandonare sé stessi (shin jin datsu raku)
Abbandonare
sé stessi è riconoscersi in ogni esistenza”
Dōgen
Zenji (1200-1253)
Evanescence…,
l’abbandono di sé… eppure l’abbandono di sé non può che avvenire conoscendo sé
stessi e non c’è nulla di meno evanescente, è materia fatta di carne, sangue,
sudore… Forma, sensazione, percezione, volontà e coscienza.
Mi
avvicinai alle arti marziali subendone immediatamente un fascino irresistibile,
inevitabile l’incontro con lo Zen nella ricerca delle chiavi di accesso ad una
comprensione profonda dell’esercizio che si potesse estendere, concretamente,
ad ogni momento di vita quotidiana.
Non
credo allo sport che ‘toglie i ragazzi dalla strada’ ma ad una pratica che li
restituisca alla strada capaci di orientamento e di essere guida ad altri.
Non
mi interessava lo sport inteso come distrazione, valvola di sfogo, e anche la
competizione, in quel momento unica esperienza possibile, la vidi come
occasione di confronto con quel me stesso pavido e insicuro, costringendolo ad
uscire allo scoperto.
Incontrai lo Zen leggendo le gesta di Deshimaru Roshi, Primo Patriarca Zen d’Europa:
Incontrai lo Zen leggendo le gesta di Deshimaru Roshi, Primo Patriarca Zen d’Europa:
“Come rischiarare il proprio spirito, guidare
la propria condotta, diventare saggi?
Dall'alba della sua storia,
l'essere umano ha manifestato il desiderio di superarsi in forza e saggezza,
aspirando in verità, a raggiungere la più grande forza e la più alta saggezza.
Ma , attraverso quale mezzo si
può diventare forti e saggi contemporaneamente? In Giappone vi si prova
attraverso la pratica delle arti marziali, o Budō, e attraverso la Via dello
Zen.” Taisen Deshimaru
Mi misi in cammino e incontrai il
mio Maestro, che succedeva allo stesso Deshimaru nella linea di sangue che dal
Buddha arriva ai nostri giorni.
Lo incontrai che avevo già
percorso un ragguardevole tratto di strada sulla Via del Karate-Dō, dopo 17
anni di pratica avevo fondato il mio Dōjō, avevo allievi che ancora oggi
condividono il mio cammino.
L’incontro fu devastante per il
mio ego.
La corazza di certezze dietro le
quali si nascondeva il bambino impaurito mascherato da guerriero crollò al
primo sguardo, alle prime esortazioni.
Rimisi tutto in gioco e fui
ri-educato, de-programmato, doloroso ma necessario passaggio per la porta stretta.
Io che avevo fatto l'esperienza
del combattimento, di duri allenamenti ed esami in Giappone, mi ritrovai inerme
di fronte all’educazione Zen, raffinata ed affilata come una spada.
Divenne estremamente chiaro il
concetto di Zanshin (presenza totale, totale immersione nel momento presente)
nel fare l'esperienza della vita del Tempio scandita da continui 'Kata' e dalla
ricerca di un gesto puntuale ed intuitivo, del gesto che si consuma fino in
fondo.
Nell’azione compiuta fino in
fondo, Ippō
Gūjin, c’è tutto il Cosmo e il Cosmo intero è in un solo gesto.
“…è grazie all’esercizio
quotidiano che il sole, la luna e le stelle si muovono e che esistono la terra
e il vasto spazio…” (Dōgen
Zenji, Shōbōgenzō, cap. Gyoji)
Il Kata, la forma dell’azione
come porta verso la completa libertà.
“…La ripetizione rituale, ciò che
esalta la forma e l’ordine è, dunque, la protezione che consente di
attraversare il sacro in quanto crisi, ma al tempo stesso è ciò che lo
imbriglia e lo doma…ma la ripetizione rituale ha anch’essa una doppia facciata:
da un lato è ordine e ritmo, ritorno all’identico; dall’altro può giungere alla
soglia critica di un cambiamento di stato… Nella ripetizione c’è questa doppia
potenzialità: di stabilità e di trasformazione.
(Stefano Levi
Della Torre, Zone di Turbolenza)
Il Samu, il lavoro manuale, aspetto
fondamentale della pratica, svolto a stretto contatto col mio Maestro, fu altro
aspetto illuminante dell'esperienza Zen.
Un lavoro non asservito al
profitto ma esperienza totale della complessa relazione tra causa ed effetto.
La ricerca dell'azione armoniosa
ed efficace prima che il pensiero possa frapporsi tra intuizione ed azione sono
alla base dell'Insegnamento e della pratica Zen.
E l'essenza dell'Insegnamento
passa da Maestro a Discepolo 'come l'acqua si versa da un contenitore
all'altro' I Shin Den Shin (da cuore a cuore) attraverso la condivisione di vita
quotidiana e questo significato profondo si dovrà rinnovare, ridire, poterlo
riesprimere con nuove parole.
Niente a che vedere con la conoscenza
libresca, con il Kōan come masturbazione intellettuale.
Bensì Genjō Kōan, la vita
quotidiana, supremo Kōan, che ci interroga sulla Grande Questione (Dai-ji) del
nascere e morire.
Le nostre vite, vanno ben oltre
quel che semplicemente pensiamo ci costituisca o quel che semplicemente
riusciamo a vedere di noi.
Mi furono offerte le chiavi per trasporre
all’azione quotidiana i principi dell’Arte.
Arte come non-fabbricazione, opera
d’arte vivente, arte
della vita, espressione dell’essere e del fare che lo Zen definisce come: ‘il
modo infinito di fare cose finite’.
Non credo all’arte svincolata da
una domanda irrisolvibile che metta in gioco la propria vita altrimenti si
tratta, ancora una volta, di modesta fabbricazione umana, semplice commercio.
Così come lo Zen oggi viene
‘venduto’ come pratica di rilassamento, di ‘miglioramento di sé’.
Niente di più lontano dallo
spirito di Bodhidharma.
Sedere in Zazen è essere disposti
a perdersi nella totale presenza, essere capaci di abbracciare ogni contraddizione
e vedersi quel che già si è e a cui nulla è necessario aggiungere, dei Buddha.
Arte come Pratica, come
restituzione gioiosa di un debito inestinguibile.
Così come
il vero spirito religioso non appartiene al bisogno ma all’incontenibile
abbondanza.
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