venerdì 24 dicembre 2010

Intervista a Sensei Spongia


Pubblichiamo l'intervista rilasciata qualche mese fa da Sensei Spongia per Newbushido.it a beneficio dei lettori del nostro Blog.



Newbushido.it: A chi consiglierebbe la pratica del Karate?

Sensei Spongia:
A tutti indifferentemente.
Sembra una domanda dalla risposta scontata e propagandistica invece la ritengo una domanda fondamentale.
Metterei però in guardia sul fatto che  il Karate-Do è per tutti e per nessuno.
Ovvero la pratica del Karate-Do, naturalmente nella sua accezione più completa, offre un’infinita gamma di strumenti ed esperienze formative che, sapientemente somministrate da un Insegnante preparato, possono permettere a chiunque, a qualsiasi età, di raggiungere la propria pienezza sia sotto il profilo psicofisico che morale.
Però, come ogni arte che si rispetti, richiede, specie dopo un certo livello di approfondimento, una sincera dedizione.
Il che significa fare del Karate-do il fondamento della propria vita e trasporne efficacemente i principi nella vita quotidiana.
Con dedizione non intendo un impegno full time e una mania monotematica, assolutamente il contrario, chi mi conosce sa bene che il mio ‘modello’ di Insegnante di Karate-Do non è solo uno specialista di calci e pugni ma un uomo completo in ogni ambito capace di comprendere ed applicare in ogni momento della vita quotidiana i principi dell’arte.
Ma si deve andare a fondo nello studio della Disciplina, offrendogli il tempo, la passione e l’impegno necessari altrimenti i risultati non potranno che essere limitati, come in qualsivoglia arte.
A tutti piace dire di praticare ‘l’arte del Karate’ ma qualsiasi arte che si rispetti richiede passione, dedizione e disciplina nonché creatività e intuizione (che paradossalmente sono proprio frutto dalla disciplina) altrimenti diventa, nella migliore delle ipotesi, un hobby tra i tanti con un efficacia di gran lunga minore anzi, a volte con effetti deleteri, perché l’atteggiamento hobbystico e disimpegnato, caratteristico dei nostri tempi è all’origine di molte malattie della nostra Società.
Per concludere la risposta: il mare è immenso, ma se andrai  con un cucchiaio raccoglierai solo un cucchiaio d’acqua …
Mi permetta di aggiungere un annotazione riguardo alla pratica dei bambini che considero un  capitolo a sé.
La pratica rivolta ai bambini deve avere un’impostazione propedeutica.
Ovvero lavorare su ogni qualità motoria e psicologica del bambino offrendogli gli strumenti per crescere in modo completo sfruttando però al massimo gli strumenti  educativi, mitici e simbolici, che ci offre a piene mani la nostra disciplina e che parlano profondamente alla psiche del bambino.
Sono contrario ad un certo approccio ‘sportivo’ che ha epurato il Karate-Do proposto ai bambini di questi preziosi elementi rendendolo un insipido giochino sportivo che ha perso tutto il suo potere mitico e simbolico.

Newbushido.it: Lei quando e perché ha iniziato a praticarlo?

Sensei Spongia:
Ho iniziato all’età di 13 anni.
Giocavo a tennis dall’età di sette anni e scoprii il Karate, come spesso accade, perché un amico, che già praticava, mi portò ad assistere ad una lezione… fu una folgorazione, ricordo ancora l’odore del Dojo, mi sembrò di essere tornato a casa.
Per un paio d’anni frequentai il Dojo pur continuando a giocare a tennis a livello agonistico poi verso i 15 anni dovetti decidere in che direzione riversare le mie energie e non ebbi dubbi nello scegliere il Karate-Do; sentivo che mi poteva offrire, come è stato, gli strumenti per diventare un uomo, ben oltre il fare un punto gettando una pallina al di là della rete.
Scelsi il Karate-Do perché capii che lo potevo portare con me nella vita di tutti i giorni e non farne un’esperienza limitata al campo di gioco.



Newbushido.it: Il Goju-Ryu è forse il più tradizionale tra gli stili di Karate, affonda pesantemente le sue radici nell'isola di Okinawa, quali sono le differenze principali con gli altri stili di Karate.

Sensei Spongia:
Sinceramente non mi sento di fare paragoni qualitativi.
Credo di conoscere abbastanza bene il mio stile, non abbastanza gli altri per poterne parlare.
E’ indubbio che il Karate-Do che è stato importato e si è diffuso in Giappone abbia subito delle trasformazioni notevoli, rispetto al Karate originario di Okinawa, sia dal punto di vista tecnico/stilistico che da quello degli obiettivi.
La sportivizzazione poi ha fatto il resto.
In ambito sportivo penso che non abbia più senso parlare di stili.
Lo stesso Goju-Ryu ha subito una profonda trasformazione nella sua importazione da Okinawa al Giappone tanto che alcune metodiche di allenamento sono state completamente abbandonate e gli stessi kata hanno subito importanti modificazioni.
Io penso che uno stile, praticato con la giusta dedizione e sotto una guida competente, debba offrire un programma completo e collaudato da una lunga esperienza che viene da una successione di Maestri.
Uno stile deve essere ‘efficace’ e con questo termine non intendo solo l’efficacia nel combattimento, aspetto senz’altro fondamentale, ma anche efficacia nel lavoro sull’energia e su tutti gli aspetti psicofisici che permettono al praticante di ottenere benessere dal suo esercizio.
Insomma si devono raccogliere i frutti, si devono vedere concretamente i risultati del proprio esercizio, sia in termini marziali che di benessere.
Altrimenti si hanno tutte quelle aberrazioni in cui si ricerca il benessere attraverso un esercizio molle e accomodante alla richiesta del pubblico, che a mio parere, al di là di un sollievo momentaneo, è totalmente inefficace ad una formazione profonda e duratura, oppure, in cui si ricerca la fatidica ‘efficacia’ in combattimento, raggiungendo, in qualche raro caso, una certa efficacia a breve termine ma che inesorabilmente crolla con l’avanzare dell’età lasciandoci in eredità un corpo martoriato.
Troppo spesso si vedono spacciare dei prodotti improbabili, commistioni di tecniche ed esercizi senza alcuna connessione tra di loro.
Prima di incontrare il Goju-Ryu del Maestro Higaonna pur praticando come adesso con grande impegno, ero tormentato da numerosi dubbi perché non riuscivo a raccogliere i frutti promessi, non vedevo risultati concreti, adeguati al mio sforzo e allora ho continuato a cercare, a cercare, fino all’incontro con il mio Maestro che ha fugato ogni dubbio.
Tornando a parlare del Goju-Ryu che pratico, ritengo che sia uno stile completo nel senso più pieno del termine. Tutte le forme di esercizio da noi utilizzate dal Junbi Undo all’Hojo Undo, dal Kakie all’Irikumi, dal Kata al Bunkai… collimano nel risultato finale, constatabile concretamente: la formazione globale del praticante sia dal punto di vista marziale che della formazione psicofisica e del benessere.
Se si trascura anche solo un aspetto della pratica il risultato finale sarà di gran lunga diverso.

Newbushido.it: Sensei Higaonna è una leggenda vivente del Karate, ci può descrivere che tipo di  Maestro è?

Sensei Spongia:
Higaonna Sensei è l’esempio vivente della dedizione alla pratica.
E’ un uomo di grande disponibilità e dolcezza ma che sul tatami fa paura.
E’ un Maestro severo ed esigente che, a quelli che considera i suoi allievi diretti, non fa sconti, come è giusto che sia.
Quando sono ad Okinawa, insieme ad Higaonna Sensei ci rechiamo all’alba a Kozenji, il tempio Zen a Shuri dove insegna e vive Sakiyama Sogen Roshi, novantenne, grande Maestro Zen Rinzai, in gioventù allievo di Chojun Miyagi Sensei; pratichiamo Zazen sotto la sua guida, poi si torna al dojo a praticare il Goju-Ryu, a volte alle 23 di notte Higaonna Sensei è ancora lì ad incitarci all’ennesima ripetizione con ‘Mo ichi do’ (ancora una volta).
Quando Higaonna Sensei fu mio ospite per la prima volta a Roma, ricordo che dovetti ricorrere ad un trabocchetto per riuscire a portarlo, una sera, a vedere almeno il Foro Romano, di fronte al quale, affascinato ed ispirato, cominciò a parlarmi della tradizione.
Nei giorni precedenti non eravamo mai usciti dal mio Dojo e ad ogni mio tentativo di proporgli una breve visita alla Città Eterna rispondeva con un secco: ‘ima keiko, ora allenamento’…
Era lì per me, per permettermi di sfruttare al massimo l’occasione della sua presenza e si offriva totalmente senza concedersi pause né distrazioni.
Al termine della sua permanenza, eravamo seduti al tavolo di casa mia  e mi disse: ‘chiedimi quel che vuoi, chiedimi di insegnarti quel che vuoi, il mio corpo è il tuo…’.
Non dimenticherò mai quelle parole che sono state il sigillo di una relazione inestimabile.
Il rapporto personale con un Insegnante depositario di una tradizione è essenziale alla trasmissione di un’Arte.

Newbushido.it: ci racconta qualche altro anedoto su Senesei Higaonna?
Sensei Spongia:
Mi fa piacere raccontarvi altri divertenti ed inediti episodi per darvi idea del carattere e della gentilezza del Maestro.
Eravamo a Firenze per un breve, meritato riposo dopo le fatiche del XIX Gasshuku Europeo da noi organizzato in Italia, e ogni giorno, mentre pranzavamo o cenavamo al ristorante, Higaonna Sensei ad ogni portata non perdeva occasione per fare i complimenti e ringraziare il cameriere per i piatti ‘deliziosi’.
Anche in quella occasione dopo aver visto ed apprezzato il David di Michelangelo (di cui apprezzò l’equilibrio e la postura) decise che era stato sufficiente e che era il caso di tornare in Albergo ad allenarci…
Oppure quando si faceva rincorrere da mio figlio, che allora aveva 4 anni, attorno al tavolo del soggiorno, conservo gelosamente quel filmato.



Newbushido.it: Lei va spesso ad allenarsi ad Okinawa, ci sono differenze tra un allenamento in un dojo italiano e uno in dojo Giapponese ?

Sensei Spongia:
Il Dojo ad Okinawa è considerato come la propria seconda casa non come una palestra dove andare a comprare un prodotto.
Gli allievi se ne prendono cura e arrivano un po’ prima delle lezioni per provvedere alla pulizia e alla manutenzione.
Io penso che questo sia un aspetto fondamentale, difficile da far passare in Occidente.
Fa una grande differenza tra il vivere il Dojo da padroni di casa o da clienti.
Una volta il mio Maestro Zen disse: ‘non è un Dojo un luogo dove qualcuno è pagato per pulire’ e ancora: ‘ gli allievi sono quelli che aprono la porta dall’interno, i clienti sono quelli che se la fanno aprire…’.
Ho fatta mia questa filosofia spontaneamente fin dalla fondazione del Tora Kan Dojo (Honbu Dojo d’Italia IOGKF), 25 anni fa, e ho sempre provveduto personalmente alla sua pulizia, oggi affiancato da qualche allievo che dopo lo Zazen dell’alba rimane a fare del Samu (lavoro manuale espresso nello spirito Zen).
Quando pulisco il Dojo ripulisco il mio spirito e mi predispongo alla pratica ed all’insegnamento.
Il tatami che al mattino ho pulito strofinandolo in ginocchio, la sera mi restituisce tutta l’energia di cui son capace quando lo percorro insegnando.
Tutti gli allievi, al termine di ogni lezione, passano degli stracci sul tatami per lasciarlo pulito per chi viene dopo.
In un Dojo si impara a prendersi cura di tutto, degli oggetti come di sé stessi, di sé come degli altri.
Proprio qualche giorno fa un mio allievo di circa 60 anni, un famoso medico primario, dopo aver strofinato in ginocchio il tatami insieme ai suoi compagni mi esprimeva la sua commozione per il sentimento di comunione che provava nel condividere questo semplice gesto con i suoi compagni di pratica di ogni estrazione sociale ed età.
Sono azioni che hanno una valenza simbolica ed educativa straordinaria che spesso non si ha il coraggio di proporre in Occidente per paura di perdere il consenso… ma l’educazione è un rischio e non si è dei veri maestri se non si è capaci di correre questo rischio.
Pensate che valenza educativa potrebbe avere se nelle nostre scuole, sin dalle elementari, per una mezz’ora si permettesse ai bambini ed ai ragazzi di prendersi cura della pulizia dei locali che li ospitano. Ma chi avrebbe il coraggio oggi di proporre questo?
Il Dojo ad Okinawa ha un’impostazione più familiare rispetto ad un Dojo giapponese, più stile cinese.
Gli allievi aprono il Dojo e come detto se ne prendono cura e cominciano ad allenarsi.
Ci sono oggi classi ufficiali a certi orari ma spesso capita che mentre ci si allena da soli Higaonna Sensei, che abita sopra, scenda, ti veda nel Dojo e cominci ad insegnarti in una estemporanea quanto preziosa lezione.
La pratica nel Dojo, ad Okinawa, è un tornare alla fonte per rinnovare lo spirito e raffinare la tecnica.
E’ come lucidare ed affilare una spada, è una pratica quotidiana, altrimenti la lama diventa opaca e perde il filo.
Praticando da soli, senza una guida, senza un confronto, anche se si hanno delle buone basi, è facile prendere notevoli deviazioni.
‘Nessuno vede le proprie sopracciglia’ ama ripetere Higaonna Sensei per sottolineare quanto sia importante avere questo feedback dal confronto col proprio insegnante e con altri praticanti.
Nel Dojo di Higaonna Sensei ho avuto anche la preziosa occasione di praticare, sotto la guida degli insegnanti del mio Maestro: An’Ichi Miyagi Sensei (morto lo scorso anno) e Shuichi Aragaki Sensei, entrambi discepoli del fondatore del Goju-Ryu.
Inoltre, altro aspetto fondamentale, nel Dojo è possibile vedere il proprio Maestro mentre si allena.
Vedere all’opera Higaonna Sensei e questi Maestri, ormai ultrasettantenni, è la prova evidente dell’efficacia di una pratica corretta e quotidiana del Goju-Ryu Karate-Do tradizionale ed è per me motivo di continua ispirazione.

Newbushido.it: Lei pratica anche Zen, quale rapporto c'è tra l'Arte Marziale e la spiritualità?

Sensei Spongia:
Lei mi fa delle domande interessanti che meriterebbero ognuna una conferenza come risposta e mi piace essere generoso nella mia risposta.Spero ci sia sufficiente spazio nel vostro Portale.
Se parliamo davvero di arte marziale allora l’aspetto spirituale emerge potentissimo.
Deshimaru Roshi (Patriarca dello Zen Europeo) Maestro del mio Maestro diceva:
‘…Evidentemente nei tornei non si lotta per la propria vita o la morte, ma per un punteggio: la forza del corpo quindi, e della tecnica sono allora sufficienti. Ma nei tempi antichi era completamente differente visto che era la vita a trovarsi in gioco: era l’intuizione allora a decidere tutto, come ultima risorsa. Oggi si dovrebbe ritrovare questo: comportarsi nel Dojo in ogni azione, come se la vita vi fosse coinvolta. Le arti marziali, allora, ritroverebbero il loro vero posto: la pratica della Via. Altrimenti non sarebbe che un gioco…
Forza del corpo, della tecnica e dello spirito, sono in effetti più o meno uguali, ma è sempre Shin lo spirito che decide l’esito del combattimento.’
La pratica dell’arte marziale, come dello Zen, deve portare a confrontarsi con la questione fondamentale del nascere-morire.
Potrei citare ancora, Dogen Zenji, Patriarca dello Zen Soto, vissuto in Giappone nel 1200 che disse:
‘Praticare è conoscere sé stessi, conoscere sé stessi è abbandonare sé stessi, abbandonare sé stessi è riconoscersi in ogni esistenza’.
L’esperienza religiosa è un’esperienza estetica (coinvolge tutti i sensi) attivata dal rito.
La pratica dell’arte marziale tradizionale è impregnata di rito e di esperienza estetica e, raggiunta una certa profondità, avvicina all’esperienza religiosa.
Nel mio caso, l’Insegnamento Zen, e, in particolare quella che è definita ‘educazione Zen’ mi ha aiutato a cogliere aspetti della pratica del Karate-Do che altrimenti mi sarebbero sfuggiti e ha permesso alla mia pratica di raggiungere una profondità che forse non avrei mai sperimentato.
Nella mia vita l’incontro con lo Zen è stato determinante.
Penso che sia impossibile raggiungere le profondità dell’Arte solo con l’apprendimento tecnico. L’approccio educativo (e si può essere educati ad ogni età), da sempre essenziale nell’insegnamento delle arti marziali e nella trasmissione del loro spirito più autentico è oggi totalmente dimenticato.
Già all’inizio della mia pratica del Karate-Do, a 13 anni, avevo intuito che l’apprendimento tecnico racchiudeva un’essenza che doveva coivolgere ogni ambito della vita umana e mi chiedevo, sin da allora, come trasporre i principi del Karate-Do alla mia vita quotidiana, lo Zen mi ha dato la chiave per risolvere questo dilemma.
Mi tornano alla mente le parole di un altro grande Maestro Zen e Maestro di Budo, Omori Sogen Roshi: 'Lo Zen senza l’esperienza fisica che lo deve accompagnare non è altro che vuote chiacchiere. Tutte le vie marziali senza una veritiera realizzazione della Mente Universale [cioè del Vero Corpo dell’Uomo] in altro non consistono se non in comportamenti bestiali. '
Proprio domani inizieremo un raduno che ho denominato da più di 13 anni Ken Zen Ichinyo Gasshuku (il Gasshuku del Karate e Zen come una cosa sola) in un Dojo di Roma dove la pratica della meditazione ed educazione Zen e del Goju-Ryu Karate-Do si alterneranno armoniosamente allo studio e alla comunione di vita in un ritito di 3 giorni.
Ho condotto questo genere di raduni per 12 anni nel monastero Zen Fudenji sia per 4 volte in Olanda ed ora alla sua diciassettesima edizione, nella mia città.
Sono convinto che questo genere di esperienza permetta di assaporare una profondità dell’esercizio che potrà permettere di orientare correttamente la propria pratica e la propria vita.

Newbushido.it
: Il suo Dojo non è una semplice 'palestra' ma è arredato appunto come un autentico dojo, quanto è importante il giusto ambiente e la giusta atmosfera per la pratica?

Sensei Spongia:
L’ambiente è molto importante.
Parla direttamente al nostro inconscio e ci costringe ad un certa qualità di comportamento e presenza.
Allo stesso tempo però non si tratta solo di disporre della mobilia in un ambiente.
Il Dojo è costruito dallo spirito della pratica che vi si svolge che, a poco a poco, da forma anche allo spazio e viceversa.
Il mio piccolo Dojo si è trasformato in questi 25 anni riflettendo costantemente la pratica che lo ha abitato.
La pratica nel Dojo deve portare ad affinare la sensibilità per riconoscere il Dojo in ogni luogo.

Newbushido.it: Ci descrive un suo allenamento tipo?

Sensei Spongia:
Inizierei col dire che l’allenamento nel Dojo è solo un aspetto della pratica che cerco di approfondire in ogni momento della mia vita quotidiana.
Non saprei dunque troppo distinguere un momento privilegiato per il mio esercizio.
Se Lei intende la specifica pratica tecnica del Goju-Ryu allora posso risponderle che pratico tutti i giorni.
La sera insegnando nel mio Dojo mi alleno insieme ai miei allievi ma questo non è sufficiente e la mattina o in appositi spazi nel pomeriggio dedico delle ore per il mio personale studio ed approfondimento.
Durante le lezioni, con i miei allievi, alleno in particolare il Junbi Undo ed Hojo Undo (esercizi preparatori e supplementari di condizionamento e potenziamento), il Kakie, l’iri Kumi (combattimento) ed il bunkai.
Da solo alleno molto il Kata, mi alleno al sacco pesante e al makiwara.
Ritengo inoltre che nella mia esperienza di pratica sia stato fondamentale e continui ad esserlo la
pratica nell’ambito del Gasshuku.
La pratica nel Dojo e la partecipazione ai Gasshuku sono complementari nella mia pratica.
Da molti anni oltre a recarmi ad Okinawa, ‘inseguo’ per il mondo il mio Maestro per riceverne l’Insegnamento durante i Gasshuku da Lui condotti.
L’esperienza del Gasshuku permette di vivere, oltre all’insegnamento del Maestro e dei suoi allievi più avanzati, un fruttuoso confronto con altri insegnanti di tutto il mondo.
Permette di non cadere nel pericoloso vizio, così diffuso nel mondo delle arti marziali, di isolarsi, di non accettare il confronto, non inteso come competizione, bensì come intensa pratica comunitaria.
Chi inizia ad insegnare spesso si isola, si crea una piccola isola felice nel proprio dojo e sfugge ogni occasione di confronto e verifica nascondendosi dietro un’immagine troppo spesso costruita sul nulla, sulla propaganda.
Partecipare al Gasshuku permette di coltivare quell’attitudine essenziale al continuo apprendimento che i giapponesi definiscono Shoshin, la mente del principiante.
Altro aspetto di particolare valore educativo consiste nel fatto che durante un Gasshuku gli allievi hanno l’occasione di vedere il proprio insegnante nella veste di allievo.
Non c’è modo migliore per un allievo per imparare a rapportarsi ad un maestro, cosa niente affatto semplice per la nostra formazione culturale ed educativa, che vedere il proprio insegnante nella relazione col suo maestro. Questo è un punto nodale ed è drammaticamente assente, tranne rarissime eccezioni, nel mondo del Karate italiano.




Newbushido.it: Come molti stili Giapponesi anche la storia del Goju-Ryu inizia in Cina, che rapporto c'è tra l'esercizio del Kakie e altri metodi di allenamento simili come ad esempio il Tui shou del taijiquan? Ci spiega come funziona e a cosa serve questo metodo di allenamento?

Sensei Spongia:
E’ interessante che proprio di recente nelle Scuole del Fuzhou, nel sud della Cina, dove ha avuto origine il Goju-Ryu, sia stato intodotto l’insegnamento del Goju-Ryu della scuola del Maestro Higaonna.
Credo che sia la prima volta che in Cina accada qualcosa di simile con uno stile di Karate ‘giapponese’.
In una delle sue numerose visite in Cina alla ricerca delle origini del Goju-Ryu, sulle orme di Kanryo Higaonna Sensei, il Maestro Morio Higaonna ed i suoi allievi hanno mostrato i nostri kata e i Maestri cinesi si sono commossi affermando che le antiche forme che si erano perse in Cina si sono preservate ad Okinawa…
Il Kakie è un’esercizio fondamentale del Goju-Ryu di Okinawa.
Credo che abbia numerose affinità con l’esercizio del Tui shou del Taijiquan e con il Chisao del Wing chun.
L’influenza dello stile della Gru bianca è evidente in questo esercizio.
Nel Kakie ci si esercita alla sensibilità al contatto con le braccia ed il corpo dell’avversario per intuire la sua intenzione ed applicare leve, proiezioni e colpi alla corta distanza.
Naturalmente si tratta, come detto poc’anzi, di un esercizio che per quanto fondamentale, deve integrarsi e completarsi con altri esercizi del sistema Goju-Ryu.



Newbushido.it: Quale è la sua opinione sulla pratica sportiva del karate?

Sensei Spongia:
Io penso che ci sia spazio per tutto.
Ma si deve essere onesti.
Lo sport è una cosa l’arte marziale è tutt’altro.
A parte chi fa l’esperienza della gara, peraltro molto limitata nei suoi contenuti tecnici, e comunque un numero limitato di atleti, agli altri, e agli stessi agonisti al termine della loro carriera, alla fine, cosa rimane oltre alle medaglie che comunque arrugginiscono ?
L’esperienza della competizione può essere senz’altro importante per un giovane, io stesso ho calcato i quadrati di gara per molti anni (anche perché allora non c’era molta altra scelta) e so dunque di cosa parlo, ma va proposta con molta attenzione, onestà e coerenza in modo che il giovane praticante non debba snaturare la propria pratica per ottenere il successo in gara.
I valori etici, morali e tecnici espressi nella pratica del dojo dovrebbero riflettersi nella prestazione competitiva. Si tratta dello Shiai, inteso come verifica di alcune capacità tecniche e psicologiche acquisite attraverso la pratica, grazie al confronto con l’avversario che, specie se di valore, permette un’efficace verifica.
Si è invece andati, mi sembra, molto lontano da questa impostazione, in tutt’altra direzione, con un totale abbandono non solo della valenza ed efficacia tecnica dell’Arte Marziale ma anche e soprattutto dei suoi aspetti educativi ed etici.
La nostra scuola, la IOGKF, non ha finalità agonistiche.
Quando abbiamo azzardato a proporre un’ esperienza competitiva ai nostri ragazzi siamo stati molto, molto attenti alla formula da adottare.
L’abbiamo studiata e perfezionata in modo che potesse permettere una sana ed efficace occasione di verifica delle qualità psicofisiche e tecniche con delle prove che richiedessero al praticante una preparazione completa e non specialistica e che fosse fedelissima al programma didattico e all’impostazione educativa del Dojo.
I nostri allievi, ragazzi ed adulti, si allenano duramente e con grande entusiasmo senza aver bisogno di motivare la propria pratica con l’obiettivo della medaglia.
Per non parlare poi del trattamento riservato dal mondo del karate sportivo ai cosiddetti ‘amatori’ o ‘non agonisti’, che sembrano essere considerati solo ‘carne da affiliazioni’ e che invece nella scuola tradizionale costituiscono i pilastri dei dojo e della Scuola.
Paradossalmente i grandi Maestri del Budo, compreso Higaonna Sensei, che non sono stati dei campioni sportivi, sarebbero considerati dei praticanti ‘amatoriali’.
E a questi praticanti amatoriali, considerati praticanti di serie b, si dà il contentino del grado dan, che va a sostituire la medaglia.
Altrimenti che senso hanno quelle patetiche sessioni d’esame a cintura nera di vario dan, alle quali ho purtroppo assistito nelle federazioni sportive, se non a dare un contentino a chi ama appendere un diplomino al muro invece che praticare per davvero?
Anche nel mondo puramente sportivo, se vuoi giocare a tennis con qualcuno devi saper gettare la palla al di là della rete, così se ti presenti all’esame per acquisire un brevetto di nuoto e, a metà vasca, vai a fondo miseramente, nessun istruttore si sognerà mai di riconoscerti un brevetto.
Invece questo è accaduto nel mondo del Karate sportivo con degli effetti devastanti sulla reputazione del Karate non solo come arte marziale ma anche come semplice sport.
Oggi sembra ci sia un’inversione di tendenza, visto il fallimento dell’approccio sportivo, e cominciano a ‘riaffiorare’ un po’ ovunque fantomatici Insegnanti di Karate-Do tradizionale…
Ma, quando si parla di Karate-Do tradizionale non si intende mica, come è comunemente e comodamente interpretato, usare una terminologia giapponese e scimmiottare pedissequamente dei gesti considerati ‘antichi’ senza comprenderne l’essenza.
La tradizione è solo nella trasmissione dello spirito e delle profondità di un’arte, I shin den Shin, da cuore a cuore, si dice nello Zen, in un lignaggio ininterotto di uomini che hanno saputo dedicare la propria vita allo studio e alla ricerca. E in questo passaggio l’arte si arricchisce di nuove intuizioni grazie all’unicità, all’alchimia inedita, di ogni relazione maestro/allievo che se è autentica, ha come risultato la maturazione dell’allievo, che non sarà un clone del maestro, ma saprà a sua volta dare una fresca interpretazione che arricchirà l’arte.
Hanno invece illuso, e continua a lasciarsi illudere chi vuole avere le cose a buon mercato, che si possa ottenere una conoscenza del Budo solo attraverso la frequentazione di corsi ed esami federali.
Il risultato è che in Italia sono tutti maestri dai dan altisonanti, spesso senza aver mai avuto davvero un maestro, senza aver mai veramente iniziato un autentico percorso formativo attraverso l’impegnativa relazione umana con un Insegnante depositario di una tradizione.
Mentre la trasmissione della conoscenza, nella Via del Budo così come nello Zen, passa proprio esclusivamente da questa relazione personale che coinvolge ogni aspetto della propria vita.
Non è solo questione di tecnica è lo spirito che deve essere trasmesso.
Senza di esso, quando va bene, si tratta solo di uno sport.



Newbushido.it: la Iogkf ha in programma delle manifestazioni in Italia nel prossimo futuro?

Sensei Spongia:
La nostra Scuola ha un calendario di attività di pratica nutritissimo.
Ormai da più di 15 anni, ogni anno il nostro calendario vede in programma 3 seminari, una dimostrazione annuale che riunisce tutte le scuole, due Gasshuku di formazione ed aggiornamento degli Insegnanti IOGKF Italia, un Ken Zen Ichinyo Gasshuku e uno stage nazionale condotto da un grande Maestro straniero della IOGKF (abbiamo avuto negli anni in Italia oltre allo stesso Higaonna Sensei, Nakamura Sensei, Bakkies, Kuramoto, Sudo, Molineux, Nunes, Leijenhorst…) per la prossima stagione stiamo decidendo chi invitare e il livello della scuola italiana è ormai tale da richiedere la presenza dei più grandi Senior Instructors della IOGKF.
Stiamo poi già guardando al 2013 che ci vedrà ospitare in Italia il prestigioso Gasshuku Europeo IOGKF che riunirà praticanti da tutto il mondo per una settimana di intensa pratica sotto la guida di Higaonna Sensei e dei suoi più anziani allievi.

Concludendo la ringrazio per avermi invitato ad esprimere queste mie considerazioni a ‘ruota libera’ per il vostro nuovo Portale delle Arti Marziali al quale auguro ogni fortuna. Newbushido.it

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