lunedì 20 dicembre 2010

Il Karate-do e il concetto di On






Qualche giorno fa ci è capitato sotto gli occhi l'interessante articolo che segue che è stato pubblicato sul Blog: Ispido Cafè che ringraziamo.

Il Karate-do e il concetto di On*

 
Se il Karate fosse quell'arte marziale in cui si usano pugni e calci per atterrare un avversario, non mi darei tanta pena nel ricercare ulteriori significati in qualcosa che ha significato univoco e inequivocabile.
Il Karate è Karate-do.
Più volte in questo blog sono ritornato sulle stesse considerazioni. E' segno che una ricerca è in atto. E' segno che c'è un bisogno che spinge a sapere, a comprendere.
Mi sono imbattuto recentemente nella trascrizione ( e traduzione) di alcuni interventi recenti del monaco buddista Mitsutaka Koso, intervenuto in alcune manifestazioni di Karate per relazionare sul Budo e sul Karate-do.
Leggo che "Il maestro Mitsutaka Koso è un monaco Buddista ed è stato invitato espressamente dal Maestro Shirai a tenere delle lezioni su materie spirituali e rituali.Partecipa agli stage Fikta e, attraverso la nostra pratica egli ci aiuta a sintetizzare tutta quella parte etico/morale/religiosa che la pratica del Karate-Dō ci fa perseguire.Nelle sue lezioni vengono a esposte diverse interpretazioni sul Dō, e sulla giusta via che, attraverso la pratica e la conoscenza del Sè si sperimentano e si ritrovano. Egli si colloca, in questo modo, come strumento di analisi conoscitiva in linea con il nostro persorso tecnico." e ne resto entusiasmato.
"Finalmente - mi dico - si inzia a valutare la dimensione del DO". Senza la quale anche il più appassionato dei karateka non è altro che uno che sferra pugni e calci più o meno consapevolmente.
Ho iniziato quindi ad analizzare alcuni interventi del monaco buddista rammaricandomi di non essere stato presente e di non aver potuto quindi cogliere le sfumature di un discorso che la relazione scritta ( e, ancora una volta, tradotta!!!) non riesce a rendere benissimo a mio avviso. Tuttavia, intendo procedere ugualmente nell'analisi: esiste talmente poco autorevole materiale sul  Karate e il Do che certamente non mi lascio  sfuggire l'occasione per saperne di più. Egli parla di:

La pratica del saluto

Che assurda cosa rammaricante, questa questione del saluto! Il M° Funakoshi aveva posto un assoluto nel Karate: "Il Karate inizia e termina con il saluto". Mi spiace profondamente dover constatare, nelle gare, nelle manifestazioni, nei dojo... come sia difficile tra i praticanti rispettare questo semplice precetto di cortesia. LO voglio ricordare a tutti coloro che a vario titolo (maestri, allievi...) praticano il Karate: il saluto non è un gesto formale, non finisce nel dojo. Il Karate si vive sempre: dentro e fuori del dojo. Il saluto si pratica ugualmente sempre.  Ho visto "amici", "conoscenti", "praticanti"  e "campioni" di Karate comportarsi come dilettanti quando hanno dimenticato la gentilezza, la cortesia...l'importanza intrinseca del saluto. Occorre correggersi immediatamente: non facciamo che sia un predicar bene per razzolare male! " Normalmente incontrando una persona per la prima volta curo particolarmente come mi presento esteticamente e la forma del mio linguaggio. Questo è un buono spirito e un buon atteggiamento". In India, e sappiamo bene quanto le arti marziali debbano alla cultura indiana, c'è un atto nobilissimo che sta nel congiungere le mani e pronunciare la parola "Namaste". Namasu significa "Ti prego, mi arrendo" ; te significa "tu, a te". Il saluto quindi significa che "io mi arrendo a te come forma di rispetto, perchè trovo in te qualcosa che potrebbe essere la manifestazione del Buddha."
Occorre riflettere per capire che negare il saluto è negare l'essenza del Karate!

Lo spirito del Budo

il M° Mitsutaka Koso dice che  "lo spirito del Budo è alla base dell'insegnamento del Buddha ed è stato sviluppato e tramandato in stretto rapporto al buddismo stesso".

Il M° Kase

"Io mi sento all'interno del giardino seminato dal M° Kase, che sta fiorendo"

Il concetto di ON

"ON si traduce nel sentimento di riconoscenza e ringraziamento verso colui che ha dato la strada per la crescita di un uomo e per il rispetto universale". Per noi occidentali è davvero difficile comprendere questo concetto che è invece fondamentale nella cultura nipponica. ON potrebbe tradursi con "obbligo, riconoscenza". Qualcosa che per noi occidentali implica un doveroso ricambiare. Per la cultura giapponese, invece, ON è un obbligo inestinguibile: una sentimento di riconoscenza insanabile. Contrarre un ON non è dissimile dall'incorrere in un debito di riconoscenza perenne. Accettare o avvantaggiarsi di un ON signbifica anche accettare che la persona alla quale noi dobbiamo riconoscenza divenga il nostro ON Jin: nei suoi riguardi saremo perennemente debitori. Naturalmente sono possibili molti On Jin e quindi avremo Ko On (siamo in debito verso l'imperatore per averci concesso di vivere in società),Oya On (siamo in debito verso i genitori che ci hanno messo al mondo), Mushi No On (siamo in debito verso chi ci offre lavoro, il capo, il superiore), Shi No On (siamo in debito verso il nostro maestro, l'istruttore, colui che ci insegna una disciplina). Naturalmente nn c'è altra soluzione, per ricambiare, che adottare un giusto comportamento. E anche qui, le nozioni si sprecano. Un giusto comportamento vero l'imperatore  (che ci ha favoriti con un Ko On) è il Chu, che esprime fedeltà assoluta all'imperatore. All'Oya On corrisponde il KO, fedeltà verso la famiglia; al Mushi No On corrispond eil Nummu, fedeltà ai propri compiti....
"Oggi sono qui grazie a tantissimi fattori;i mie genitori, gli amici, coloro che mi hanno invitato, coloro che mi hanno aiutato a crescere e così via. Vivere con il ringraziamento e riconoscenza verso tutti questi soggetti è il vero significato di ON(...). Se piove, se cadono le foglie, se fioriscono gli alberi ci sono due fattori: uno diretto e uno indiretto."
Una estensione notevole del concetto di On risiede in questa storiella raccontata dallo stesso M° Mitsutaka (adattata da me):
C'era una volta in Himalaya una tra i tanti alberi di fico in cui dimoravano solitamente molti pappagali. Avevano, questi animali, un re fiero e nobile con un becco rosso e gli occhi sfavillanti come pietre preziose.Era, soprattutto, un re nobile d'animo e generoso di cuore. Un brutto giorno il suo regale albero si seccò e mentre tutti i suoi sudditi svolazzavano a cercare frutti freschi, lui rimase  e dimorò ancora presso il suo amico albero, adattandosi a nutrirsi di poca roba:corteccia, muschio e acqua di fiume, senza mai perdere la contentezza.
Il dio Sacca venne a conoscenza di questo modo disinteressato di vivere e volle mettere ulteriormente alla prova il re pappagallo: seccò del tutto l'albero riducendolo ad uno scheletro e osservò il pappagallo. Addolorato, restava ancora a dimorare presso il suo amico albero e, trovando una strana forza in sé, continuava a cibarsi di quel che restava: corteccia e acqua di fiume. Il dio decise allora di trasformarsi in oca e di canzonre il povero re deridendolo della sua triste condizione. Ma anche questo tentativo fallì miseramente dal momento che il pappagallo non abbandonava la sua residenza e perseverava nel vivere vita felice. Allora il dio Sacca chiese direttamente  al pappagallo come mai persistesse in questa sua determinazione invece di cercare altrove una migliore condizione e cibo certamente più conveniente alla sua condizione di regnante. Il re-pappagallo rispose semplicemente che il senso di amiciza non muta con il mutare degli eventi e che aveva solo una speranza: che il suo amico albero ritrovasse il suo antico vigore. Il dio Sacca fu molto impressionato da questo profondo senso di rispetto (On) e lasciò che il fico mettesse nuovi e più rigogliosi frutti.

Toshodaiji

C'era una volta un monaco di nome Ganjin Osho (688-763), fondatore della città di Toshodaiji.
Ancora una volta occorre far caso ai nomi, ai suoni, alle parole. Toshodaiji è un monastero che si trova a Nara, vecchia capitale del Giappone, vicino Kyoto. La parola si compone di TO, antico nome della Cina, e SHODAI, ovvero "quattro direzioni, persona che proviene dai quattro angoli del mondo, cosmopolita, amicizia universale, e JI, tempio, dojo.
Ganjin Osho (Osho è un titolo onorifico), monaco cinese,  venne invitato dai monaci giapponesi affinchè insegnasse loro il buddismo. Il monaco Ganjin vide il questa richiesta la missione della sua vita, la maniera, forse, per onorare il suo On. C'erano pericoli enormi da superare, molte centinaia di chilometri di viaggio per mare..., ma accettò l'incarico. Fallì diverse volte non riuscendo per ben cinque volte a raggiungere la sua destinazione. I suoi compagni di viaggio e i discepoli che l'accompagnavano morirono nel corso dei vari viaggi. Lui giunse a destinazione dopo 10 anni: aveva ormai 65 anni anni ed era divenuto completamente cieco.

Budo

" Budo viene da Bujutsu che strettamente significa tecnica militare o di lotta o anche strategia di battaglia"

Bujutsu

" Bujutsu è dedicato alla pura tecnica per uccidere una persona. Questa pratica è povera e limitata e rischia di inaridire il proprio cuore portando sofferenza . (...) Si è sentito quindi il bisogno di una riflessione per migliorare lo spirito e la vita quotidiana. L'introduzione di come praticare la tecnica unita alla filosofia ha portato al raggiungimento del Budo. (...) La tecnica diventa filosofia."

Buddha spiega la vita attraverso la morte

"Sembra difficile e spiacevole parlare di morte ma la verità è che la comprensione delle arti marziali passa comunque dalla comprensione del suo significato"

Evitare lo scontro

"Anticamente il samurai prima dello scontro si presentava con un saluto che includeva il nome e il cognome, la provenienza e aggiungendo che purtroppo si doveva consumare il combattimento ma che si sarebbe sostenuto in maniera leale. Addirittura incontrando un giovane samurai si proponeva di evitare lo scontro, dicendo di non essersi mai incontrati"

Il vero vincitore

"Il praticante di arti marziali non si deve ostinare nel pensiero di vincere o perdere. Il suo obiettivo deve essere quello di andare oltre".
Non mi stancherò mai di indicare a Davide un "oltre" che nel Karate, come in ogni altra cosa, esiste ed è fondamentale. Difficile vedere, non significa che non esista o che non meriti attenzione e ricerca. Vedere oltre. Sentire oltre. Percepire oltre quel che i nostri sensi, già mendaci, ci dicono. Ecco perchè una sconfitta non è solo una sconfitta; e una vittoria non è tutto.
Circa il Buddha... egli evita lo scontro quando può perché: "Rispondendo con calma e moderazione si vince due volte, perchè mantenendo la calma si vince se stessi e l'altro. (...) Quindi rispondendo all'uomo di Baramon disse che evitando di rispondere ai suoi insulti questi sono rimasti suoi." Buddha ricordava che il vero vincitore non è "chi vince un milione di soldati, ma chi vince se stesso ". Leonardo da Vinci avrebbe detto "non v'è maggior o minor signoria che quella su sé medesimo".

Za Zen

"Normalmente durante la vita non poniamo particolare attenzione al respiro. Za Zen è una delle sei forme di pratica del buddismo. Il suo obiettivo è calmare, tranquillizzare il cuore ritrovando la forma primordiale. Za Zen è respirazione e concentrazione dello spirito. La respirazione la pratichiamo sin dalla nascita, ma Za Zen concentra la respirazione sulla parte addominale ponendo maggiore attenzione alla fase espiratoria"
 
 
 
 
*
Anche Sensei Taigō ha parlato del concetto di On in una lezione che tenuta al Dōjō Torakan sullo Shushōgi  dal titolo: Gyōji Hōon , Esercizio Costante e Gratitudine.
Hōon.

 
 

La ‘retribuzione’inerente all’esercizio (Sambhogakāya). La gratitudine come ragione del cuore che regola la nostra vita. Non un frutto del calcolo e della ragione ma che scaturisce dal cuore. Ha analizzato i caratteri radicali che compongono il Kanji On:
 
On: la gratitudine

 
 
La Ragione

 
Cuore

 

Alcuni estratti di quella lezione:
"I caratteri che compongono il titolo del V capitolo dello Shūshōgi esprimono chiaramente come la pratica quotidiana debba essere espressione della nostra gratitudine e come, di conseguenza la nostra gratitudine renda viva e preziosa la pratica quotidiana."
 “Tutto quello che facciamo con impegno e condivisione è ciò che nutre Hōnjin, il corpo di gloria e retribuzione. Più prestiamo attenzione e abbiamo cura, più siamo curati e attesi. Per questo rivolgiamo pensieri, sforzi, parole grate ai padri e ai padri dei padri, perché i loro amorevoli sacrifici non vadano perduti invano. se riflettiamo con un po’ di umiltà, ci accorgiamo che nelle nostre mani abbiamo tanto del passato e più facciamo attenzione, più ci discipliniamo, più avvertiamo questo, tanto più ci sentiamo assistiti”
(la versione integrale della lezione è disponibile qui)
 
 
 
 
 
© Tora Kan Dōjō








Nessun commento:

Posta un commento