sabato 28 luglio 2018

Sedere in Zazen è Pratica del ricordo

Pubblichiamo un articolo tratto da una lezione tenuta da Sensei Paolo Taigō Spongia presso il Tora Kan Dōjō durante la Pratica Zen. Le lezioni hanno un carattere colloquiale del quale tener conto durante la lettura.



Sensei Paolo Taigō Spongia in Zazen
Sedere in Zazen è Pratica del ricordo.
Concentrati sul momento presente abbandonando ogni illusione proiettata al passato e al futuro rammemoriamo la nostra unità, la nostra autentica pienezza….  
La principale causa della sofferenza il Buddha l’ha identificata nell’ignoranza.
Ignoranza in sanscrito si dice ‘Avidya’: A= privativo vidya= vedere.
Pertanto incapacità di vedere la realtà, mancanza di retta visione.
Soffriamo perché non siamo capaci di vedere.
Che cosa non siamo capaci di vedere? La nostra Unità con il tutto.
La mente, da strumento utile alla vita terrena nell’uomo diventa padrone con la pretesa rassicurante di misurare ogni cosa.
Ma il misurare divide, viviseziona la vita uccidendola.
Come nella metafora dell’onda e del mare: quando vediamo un’onda la nostra mente è portata a misurare e dire : quest’onda è più grande di quell’altra, è più potente, più veloce, più lenta, e questo incasellare quell’onda in una categoria ci fa perdere di vista il fatto che l’onda è tutto il mare. Non è neanche una parte del mare, è il movimento di tutto il mare, è il mare che ondeggia.
A causa della nostra mente che cataloga e misura, non siamo più capaci di vedere nella vita ordinaria quanto noi stessi non siamo altro che parte di un mare che ondeggia.
E’ sbagliato anche pensare “io sono una parte dell’universo”, tu non sei una parte dell’universo, tu sei un’azione dell’universo, sei l’universo che si muove.
E’ l’Universo intero che si manifesta nel tuo respiro, nella tua azione.
Se questa comprensione diviene intima e profonda la nostra azione assume tutt’altra rilevanza, assaporiamo la nostra pienezza.
Alla luce della comprensione profonda noi abbiamo la stessa consistenza di un gorgo d’acqua in un fiume… siamo né piu né meno che un gorgo d’acqua, un insieme di elementi che cause e condizioni mettono in movimento e che in questo preciso momento noi vediamo come un uomo e gli diamo un nome ed una fittizia identità. Se voi prendete un secchio e dite: “Adesso voglio tenere per me questo gorgo perché è così bello…” e lo tirate su  nel secchio, il gorgo interrompe il suo movimento e scompare diventando immediatamente acqua stagnante.
Il gorgo, nella sua forma, che i nostri occhi e i nostri sensi ci permettono di percepire, non è altro che il movimento del fiume generato da correnti, da caratteristiche morfologiche del letto del fiume, dalla velocità dell’acqua, dal vento, e se noi togliamo uno solo di questi elementi il gorgo non esiste più, scompare.
La stessa cosa accade per noi, il nostro corpo, la nostra mente sono un insieme di elementi che si muovono, e che in questo momento si manifestano ai nostri sensi in questa forma. E’ la nostra mente che vede e da un nome a queste forme a questi movimenti.
Se siamo capaci di guardare più in profondità, ad osservare  in profondità ogni fenomeno, riconosceremo che ogni fenomeno non è altro che l’universo intero che si muove e prende quella forma davanti ai nostri occhi, che poi scompare, riappare, scompare e riappare di nuovo. Cambia forma in una danza infinita!
Non siamo altro che l’espressione di una danza infinita, la danza dell’universo, che non ha uno scopo, non ha un fine se non lo stesso danzare.  Allora se questa comprensione diventa davvero parte di noi, la vita cambia completamente dimensione.
Non ci sarà più possibile attaccarci a qualcosa. L’attaccarsi a qualcosa che crediamo immutabile genera sofferenza. Se siamo capaci di vedere e danzare in questa trasformazione continua, di essere parte attiva, di essere protagonisti di questa danza, non ci potrà più essere attaccamento e pertanto sofferenza.
L’Insegnamento del Buddha è davvero tutto qua.



© Tora Kan Dōjō








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