mercoledì 29 marzo 2017

Voce dal Vuoto (Kangeiko 2017)

Il testo che segue è tratto dalle parole pronunciate da Sensei Paolo Taigō Spongia durante la fase dedicata allo Zazen  nell'ambito del Kangeiko (periodo di pratica marziale che si svolge all'alba nei giorni più freddi dell'anno) che si è svolto al Tora Kan Dōjō nel Febbraio 2017.



La postura è tutto per lo Zazen.
Concentratevi bene sui punti che vi ho indicato. E' una postura che si tramanda da migliaia di anni, da prima ancora che Shakyamuni Buddha la praticasse e insegnasse.
Dovete rettificare costantemente il giusto tono della postura, delle parti del corpo che devono rimanere distese, rilassate e delle parti del corpo che invece devono mantenere un costante tono.
Il respiro si approfondisce da solo grazie alla postura. Questo perfetto equilibrio permette alla mente di liberarsi.
Non vi dovete preoccupare di cosa pensare durante Zazen, preoccupatevi della postura: il rettificare costantemente la postura deve essere un'attività intensa, energica, nulla a che vedere con un passivo esercizio di rilassamento, una fuga dalla realtà.
Allora la corretta postura diventa la rupe di una montagna da cui possiamo osservare il vasto panorama, un privilegiato punto di osservazione.
E quel panorama siamo noi, tutto quello che passa attraverso di noi: pensieri, sensazioni, emozioni, percezioni... osserviamo senza giudicare, vediamo, spesso per la prima volta.
L'osservazione è una delle dinamiche più trasformative, terapeutiche. Bisogna sviluppare la capacità di osservare, di sentire, di percepire.


Viviamo in una civiltà anestetizzata, dove si fugge ogni occasione di incontro con sé stessi, con gli elementi della natura, si rimuove costantemente l’incontro con il caldo, con il freddo. Il dolore viene rimosso fin dal suo apparire, rifiutato il più piccolo disagio... e questa rimozione che può essere apparentemente scambiata per una condizione positiva in realtà è diventata una malattia, una patologia molto grave, che rende l'uomo completamente anestetizzato nei confronti di sé e di ciò che lo circonda.
Ecco che la pratica del Budo, delle arti marziali e dello Zazen hanno come effetto primario quella di risvegliare i sensi, rivitalizzare, restituire sensibilità, rendere capaci di osservazione e sensibilità.
Anche questo trasforma quello che rischierebbe di essere solo un rozzo e ottuso picchiatore in un guerriero. Il Budo non ha nulla a che vedere con l'addestrare dei rozzi e ottusi picchiatori, ha a che vedere con la riscoperta piena della propria umanità che rende molto sensibili, attenti, ricettivi, rivitalizzando anche la propria natura 'animale'.
Osservate una tigre: non è assolutamente una rozza picchiatrice, tutt'altro. Si muove come un fantasma, leggera nonostante pesi centinaia di chili... silenziosa, attenta:

"La tigre cammina lentamente attraverso la giungla, con attenzione.
Ma è rilassata. Dalla punta del naso alla punta della coda non c'è un solo fremito.
I suoi movimenti assomigliano a onde; nuota nella giungla.
La sua circospezione è accompagnata da rilassatezza e sicurezza.
È questa l'analogia con la sicurezza del guerriero."

Chögyam Trungpa



Per questo è uno degli animali simbolo della nostra pratica e ha dato il nome e l’emblema al nostro Dōjō. 

Fate attenzione a non sollevare la fronte, la testa è ben diritta e il mento è rientrato. Le vostre posture sono già molto diverse da quelle che avete assunto il primo giorno...Forse voi non ve ne rendete conto ma si vede chiaramente.
Kōdō Sawaki Roshi, un grande Maestro Zen, era solito dire: "La pratica non è niente di eccezionale. È come camminare nella nebbia, sembra che non accada nulla ma dopo un po' di tempo ci si ritrova bagnati."
Anche quest'anno siamo giunti al termine del nostro Kangeiko.
Non era così ovvio che ci saremmo riusciti, sia ad organizzarlo sia a praticarlo. Non è mai ovvio. Il Kangeiko, così come qualsiasi altro momento della pratica, non esiste di per sé come un ‘momento istituzionale’, esiste nel momento in cui viene animato, reso vivo, dal cuore di chi partecipa.
Pratichiamo il Kangeiko da più di vent’anni e non ricordo di aver mai perso un giorno. Non è ‘ovvio’, non è mai ovvio che al mattino ci si risvegli al nuovo giorno e si possa varcare quella soglia per celebrare insieme un nuovo inverno di vita.
Vi ringrazio tutti, chi ha accolto il mio invito per la prima volta e chi per la ventesima, per avermi accompagnato in quest’esperienza anche quest'anno.
Nel Dōjō ci si sostiene vicendevolmente. Da soli tutto diventa molto difficile se non impossibile. Anche se poi in fondo il Kangeiko non è niente di straordinario... Non dobbiamo pensare orgogliosamente di aver fatto qualcosa di eroico. C'è chi tutti i giorni si alza prima dell'alba per andare al lavoro e affronta il freddo e la fatica. Il vero eroismo è nel coraggio quotidiano con cui si affronta la vita, con fiducia, onestà, vigore, generosità…
Quello che è speciale e importante, potente, efficace e trasformativo nell’esperienza del Kangeiko è l'avere avuto il coraggio di scuotere le proprie abitudini.
Questo è il punto di valore di questo tipo di esperienza, è proprio da qui che inizia la pratica, nel momento in cui si scuotono le proprie abitudini, si accetta di abbandonare le proprie comodità, le proprie rassicuranti certezze e ci si lascia andare in mare aperto, si lascia la presa.

Quindi anche se questa non è un'impresa straordinaria è comunque un atto di coraggio, di decisione che senz'altro aggiunge valore alla nostra pratica, al nostro esercizio. E questo lascia un segno profondo perché nel momento in cui siete stati in grado di scuotervi, di vincere la pigrizia, il timore, la paura, la fatica, questo sicuramente ha determinato in voi una trasformazione, un seme che darà frutti.
Il vostro compito come praticanti in un Dōjō è anche quello di incoraggiare, aiutare i vostri compagni a scuotersi. Quando vedete un compagno intimorito, pigro, scuotetelo con compassione ed energia, è un gran dono. La vera pratica si nutre nella difficoltà, non perché la pratica debba essere particolarmente difficoltosa o richiedere sacrificio, ma perché la vera pratica dimostra la sua solidità nel momento in cui siamo in difficoltà.
Io aspetto al varco i miei allievi... Son tutti bravi a praticare quando non hanno niente di meglio da fare e la vita scorre tranquilla, ma li osservo attentamente quando vivono un momento di difficoltà... Quando ci si ammala, ci si sposa, si divorzia, nascono figli, si è impegnati col lavoro... quelli sono i momenti in cui li osservo per verificare se hanno davvero mai iniziato a praticare con il giusto spirito e confermo la mia fiducia.
E la pratica che ci sostiene nel momento di difficoltà, ci può davvero salvare anche nelle condizioni più drammatiche ma solo se facciamo sì che sia davvero la base della nostra vita, il terreno nel quale affondare le nostre radici, altrimenti è solo un nuovo diversivo, una distrazione, un hobby... nella migliore delle ipotesi.
Quindi il mio invito a voi in occasione di questo Kangeiko è quello di fare sempre della vostra pratica il solido punto di partenza dal quale affrontare la vita, al quale ritornare costantemente per rigenerarvi, rinforzarvi, riprendere slancio e saltare per superare ogni ostacolo.






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