mercoledì 29 marzo 2017

Voce dal Vuoto (Kangeiko 2017)

Il testo che segue è tratto dalle parole pronunciate da Sensei Paolo Taigō Spongia durante la fase dedicata allo Zazen  nell'ambito del Kangeiko (periodo di pratica marziale che si svolge all'alba nei giorni più freddi dell'anno) che si è svolto al Tora Kan Dōjō nel Febbraio 2017.



La postura è tutto per lo Zazen.
Concentratevi bene sui punti che vi ho indicato. E' una postura che si tramanda da migliaia di anni, da prima ancora che Shakyamuni Buddha la praticasse e insegnasse.
Dovete rettificare costantemente il giusto tono della postura, delle parti del corpo che devono rimanere distese, rilassate e delle parti del corpo che invece devono mantenere un costante tono.
Il respiro si approfondisce da solo grazie alla postura. Questo perfetto equilibrio permette alla mente di liberarsi.
Non vi dovete preoccupare di cosa pensare durante Zazen, preoccupatevi della postura: il rettificare costantemente la postura deve essere un'attività intensa, energica, nulla a che vedere con un passivo esercizio di rilassamento, una fuga dalla realtà.
Allora la corretta postura diventa la rupe di una montagna da cui possiamo osservare il vasto panorama, un privilegiato punto di osservazione.
E quel panorama siamo noi, tutto quello che passa attraverso di noi: pensieri, sensazioni, emozioni, percezioni... osserviamo senza giudicare, vediamo, spesso per la prima volta.
L'osservazione è una delle dinamiche più trasformative, terapeutiche. Bisogna sviluppare la capacità di osservare, di sentire, di percepire.


Viviamo in una civiltà anestetizzata, dove si fugge ogni occasione di incontro con sé stessi, con gli elementi della natura, si rimuove costantemente l’incontro con il caldo, con il freddo. Il dolore viene rimosso fin dal suo apparire, rifiutato il più piccolo disagio... e questa rimozione che può essere apparentemente scambiata per una condizione positiva in realtà è diventata una malattia, una patologia molto grave, che rende l'uomo completamente anestetizzato nei confronti di sé e di ciò che lo circonda.
Ecco che la pratica del Budo, delle arti marziali e dello Zazen hanno come effetto primario quella di risvegliare i sensi, rivitalizzare, restituire sensibilità, rendere capaci di osservazione e sensibilità.
Anche questo trasforma quello che rischierebbe di essere solo un rozzo e ottuso picchiatore in un guerriero. Il Budo non ha nulla a che vedere con l'addestrare dei rozzi e ottusi picchiatori, ha a che vedere con la riscoperta piena della propria umanità che rende molto sensibili, attenti, ricettivi, rivitalizzando anche la propria natura 'animale'.
Osservate una tigre: non è assolutamente una rozza picchiatrice, tutt'altro. Si muove come un fantasma, leggera nonostante pesi centinaia di chili... silenziosa, attenta:

"La tigre cammina lentamente attraverso la giungla, con attenzione.
Ma è rilassata. Dalla punta del naso alla punta della coda non c'è un solo fremito.
I suoi movimenti assomigliano a onde; nuota nella giungla.
La sua circospezione è accompagnata da rilassatezza e sicurezza.
È questa l'analogia con la sicurezza del guerriero."

Chögyam Trungpa



Per questo è uno degli animali simbolo della nostra pratica e ha dato il nome e l’emblema al nostro Dōjō. 

Fate attenzione a non sollevare la fronte, la testa è ben diritta e il mento è rientrato. Le vostre posture sono già molto diverse da quelle che avete assunto il primo giorno...Forse voi non ve ne rendete conto ma si vede chiaramente.
Kōdō Sawaki Roshi, un grande Maestro Zen, era solito dire: "La pratica non è niente di eccezionale. È come camminare nella nebbia, sembra che non accada nulla ma dopo un po' di tempo ci si ritrova bagnati."
Anche quest'anno siamo giunti al termine del nostro Kangeiko.
Non era così ovvio che ci saremmo riusciti, sia ad organizzarlo sia a praticarlo. Non è mai ovvio. Il Kangeiko, così come qualsiasi altro momento della pratica, non esiste di per sé come un ‘momento istituzionale’, esiste nel momento in cui viene animato, reso vivo, dal cuore di chi partecipa.
Pratichiamo il Kangeiko da più di vent’anni e non ricordo di aver mai perso un giorno. Non è ‘ovvio’, non è mai ovvio che al mattino ci si risvegli al nuovo giorno e si possa varcare quella soglia per celebrare insieme un nuovo inverno di vita.
Vi ringrazio tutti, chi ha accolto il mio invito per la prima volta e chi per la ventesima, per avermi accompagnato in quest’esperienza anche quest'anno.
Nel Dōjō ci si sostiene vicendevolmente. Da soli tutto diventa molto difficile se non impossibile. Anche se poi in fondo il Kangeiko non è niente di straordinario... Non dobbiamo pensare orgogliosamente di aver fatto qualcosa di eroico. C'è chi tutti i giorni si alza prima dell'alba per andare al lavoro e affronta il freddo e la fatica. Il vero eroismo è nel coraggio quotidiano con cui si affronta la vita, con fiducia, onestà, vigore, generosità…
Quello che è speciale e importante, potente, efficace e trasformativo nell’esperienza del Kangeiko è l'avere avuto il coraggio di scuotere le proprie abitudini.
Questo è il punto di valore di questo tipo di esperienza, è proprio da qui che inizia la pratica, nel momento in cui si scuotono le proprie abitudini, si accetta di abbandonare le proprie comodità, le proprie rassicuranti certezze e ci si lascia andare in mare aperto, si lascia la presa.

Quindi anche se questa non è un'impresa straordinaria è comunque un atto di coraggio, di decisione che senz'altro aggiunge valore alla nostra pratica, al nostro esercizio. E questo lascia un segno profondo perché nel momento in cui siete stati in grado di scuotervi, di vincere la pigrizia, il timore, la paura, la fatica, questo sicuramente ha determinato in voi una trasformazione, un seme che darà frutti.
Il vostro compito come praticanti in un Dōjō è anche quello di incoraggiare, aiutare i vostri compagni a scuotersi. Quando vedete un compagno intimorito, pigro, scuotetelo con compassione ed energia, è un gran dono. La vera pratica si nutre nella difficoltà, non perché la pratica debba essere particolarmente difficoltosa o richiedere sacrificio, ma perché la vera pratica dimostra la sua solidità nel momento in cui siamo in difficoltà.
Io aspetto al varco i miei allievi... Son tutti bravi a praticare quando non hanno niente di meglio da fare e la vita scorre tranquilla, ma li osservo attentamente quando vivono un momento di difficoltà... Quando ci si ammala, ci si sposa, si divorzia, nascono figli, si è impegnati col lavoro... quelli sono i momenti in cui li osservo per verificare se hanno davvero mai iniziato a praticare con il giusto spirito e confermo la mia fiducia.
E la pratica che ci sostiene nel momento di difficoltà, ci può davvero salvare anche nelle condizioni più drammatiche ma solo se facciamo sì che sia davvero la base della nostra vita, il terreno nel quale affondare le nostre radici, altrimenti è solo un nuovo diversivo, una distrazione, un hobby... nella migliore delle ipotesi.
Quindi il mio invito a voi in occasione di questo Kangeiko è quello di fare sempre della vostra pratica il solido punto di partenza dal quale affrontare la vita, al quale ritornare costantemente per rigenerarvi, rinforzarvi, riprendere slancio e saltare per superare ogni ostacolo.






lunedì 27 marzo 2017

Schegge Budo e Zen - 27 marzo 2017


"Il Karate è un'arte. Esso deve essere considerato come tale, con tutti i suoi elementi di pensiero filosofico e sviluppo della mente in armonia con il corpo. Se non è pensato in questo modo è privo di ogni valore. È come mangiare solo la buccia amara della mela, senza gustare la polpa dolce al suo interno. È questa premessa fondamentale che viene trascurata oggi, e se la tendenza non cambierà, posso prevedere la fine dell'arte.
Ora è l'immagine del Karate nel mondo, che è in gioco.
Il pericolo non è la violenza fisica ma la tendenza verso il mercantilismo. sembra che il profitto personale abbia il grande potere di estirpare da ogni cosa il suo autentico e intrinseco valore."

Isao Obata Sensei



"Se si osserva senza interruzione la natura della mente, si vede che invero la mente non esiste. Questa è per tutti la via diretta.
La mente non è che un insieme di pensieri, il primo dei quali, la radice di tutti i pensieri, è il pensiero 'io'. Dunque la mente è solo il pensiero 'io'.
Quando si cerca all'interno la fonte da cui proviene questo 'io', esso scompare. Questa è la ricerca del Sé.
Dove l''io' scompare, là risplende l'Uno, indiviso e infinito. Questo è il vero Sé."

Ramana Maharshi



"Non è stato un martello a rendere le rocce così perfette, ma l’acqua, con la sua dolcezza, la sua danza e il suo suono.
Dove la forza può solo distruggere, la gentilezza può scolpire."

Rabindranath Tagore




"Zazen non è solo un esercizio fisico, né un esercizio di concentrazione, né un esercizio in cui si progredisce passo a passo.
Mentre ovunque vi si invita a progredire, nello Zazen non c'è nessuna progressione. Sedere concentrati, Zazen, è un termine che indica lo stare assisi, lo stare in equilibrio, stare con se stessi, tra sé e sé con se stessi attraverso se stessi.
Lo Zazen non serve a nulla: è l'intuizione che ogni scopo è falso.
Quindi sedere in Zazen è intuizione, la comprensione diretta, che non esiste scopo, per quanto elevato, che ci renda completamente soddisfatti.
Non c'è scopo che ci salvi e soddisfi.
In giapponese diciamo mushotoku, senza scopo. "

Questo è l'Insegnamento fondamentale, nodale, che ci viene dall'esercizio dello Zazen e dalla pratica Zen in generale.
Ne ho parlato a lungo questa mattina all'alba con chi sedeva in Zazen con me nel Dōjō.

P. Taigō Spongia Sensei



"Ascolta il tuo passo nel mondo... Come fai a non essere grato anche solo di esserci?"

Alessandro della Ventura










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lunedì 20 marzo 2017

Schegge Budo e Zen - 20 marzo 2017








"Non esiste nulla sotto al Cielo di più grande dell'educazione.
L'educazione morale di una persona si estende ad altre 10.000.
L'educazione di una generazione ne abbraccia altre cento.
Non esiste nulla di più nobile al mondo.
Coltivare il talento e migliorare i tuoi simili,
un profumo che permane a lungo dopo la morte."

Jigoro Kano Sensei



"I problemi del genere umano sono stati creati da coloro che hanno tentato di spiegare le cose a chi non poteva vederle. I predicatori sono una piaga per l'umanità: dicono alla gente cose che non può capire. Non voglio fare questo errore. Non spiegherò a un cieco che la luce esiste. Non ha bisogno di prediche, ha bisogno di cure! Il suo problema non consiste nell'accettare delle spiegazioni oppure nel credere in ciò che gli dite, il suo problema è 'farsi curare gli occhi'. Se i suoi occhi guariranno, non dovrete spiegargli nulla: egli stesso sarà in grado di vedere la luce e di conoscerla..."

Osho, Una risata vi risveglierà - Commenti al Dhammapada di Gautama il Buddha



"Un monaco che esternamente dimostra di avere compassione, ma non nutre anche un grande coraggio dentro il suo cuore, non arriverà mai a realizzare la Via del Buddha.
Un samurai che dimostra coraggio esternamente, ma non sente anche una grande compassione dentro il suo cuore, non potrà mai diventare un perfetto samurai.
Perciò il monaco deve imparare il coraggio del samurai e il samurai deve cercare di imitare la compassione del monaco. "

Yamamoto Tsunetomo, Hagakure



"Quando fu chiesto al Maestro Nagamine Shōshin (1907-1997) di offrire una breve definizione di un buon Karateka disse:
Kisshu Bushin 鬼手佛心: Le mani di un demonio, il cuore di un santo."

P. Taigō Spongia Sensei


Sensei Paolo Taigō Spongia mentre afferra il nigiri game (giara da afferrare per la pratica di Hojo Undo nel karate-do)



"Il cuore è puro...
Non trattiene, non allontana.
Indaga l'essenza, si lascia trovare."

Monica De Marchi











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lunedì 13 marzo 2017

Schegge Budo e Zen - 13 marzo 2017



"Per praticare l'arte della spada bisogna entrare in un luogo particolare dove ci si allena (Dōjō).
E' molto di più che entrare in un'aula scolastica qualsiasi ed uscirne.
Alla base c'è una solenne promessa che intercorre tra maestro ed allievo.
La ragione di ciò sta nel fatto che l'insegnamento dell'arte della spada è impartito direttamente faccia a faccia dal maestro all'allievo. Per ricevere questo genere di istruzione individuale, al momento dell'ingresso nella scuola deve essere fatta una promessa formale.
La relazione tra maestro e allievo è analoga a quella tra padre e figlio.
Certa gente considera esagerato questo modo di vedere, ma è il corretto abito mentale da assumere."

Yamaoka Tesshu Sensei



"Io non sono né buddista né cristiano. Io sono quello che sono."

Uchiyama Roshi, Kōdō il senza dimora



"Molte persone prendono la fede per una sorta di estatica ebbrezza. La vera fede nasce quando si è smaltita la sbornia."

Kōdō Sawaki Roshi





"Poco dopo essere arrivata in America per riunirsi al marito, la moglie di Suzuki Roshi gli disse: 'Perchè ti dai tanto da fare per preparare il discorso? Piove, e l'ultima volta che è piovuto sono venute solo due persone. Speriamo che questa sera ne vengano almeno una decina'.
Suzuki rispose: 'Uno o dieci, non fa alcuna differenza'."

Dovremmo chiederci:
qual è la vera motivazione che ci spinge a 'condividere' lo Zazen?
Mi è capitato spesso che qualche praticante più anziano del dōjō si proponesse per offrire altre occasioni di pratica, poi, quando si trovava con poche o nessuna persona desisteva...
Se vuoi offrire lo Zazen devi essere disposto a sedere da solo.
Non si tratta di cercare consenso o tantomeno autoaffermazione.
Creare l'occasione è già il tuo servizio, far sì che tutto sia pronto per ricevere un ospite che non hai nessuna garanzia che accolga il tuo invito.
Allora, il tuo invito, sarà fatto ad ogni esistenza ed ogni esistenza, in quel momento, sarà seduta con te.

P. Taigō Spongia Sensei





venerdì 10 marzo 2017

Il pensiero positivo: la filosofia dell'ipocrisia (ITA - ENG)


Pubblichiamo una lezione di Osho tratta da: The Transmission of the Lamp – 13 giugno 1986 – www.renudo.it
“Amato Maestro, la tecnica del “pensiero positivo”, è utile per risvegliarsi? Oppure ottunde la consapevolezza di essere in prigione e il desiderio di diventare liberi?”
La tecnica del pensare in positivo non è una tecnica che ti trasforma: si limita a reprimere gli aspetti negativi della tua personalità. E’ una tecnica basata sulla scelta. Non può giovare alla consapevolezza: va contro la consapevolezza. La consapevolezza è sempre senza scelta. Pensare in positivo, significa semplicemente forzare il negativo ad andare nell’inconscio, e condizionare con pensieri positivi la mente cosciente. Ma il guaio è che l’inconscio è molto più forte, è nove volte più forte della mente cosciente. Per cui, quando una cosa diventa inconscia, essa diviene nove volte più forte di quanto non lo fosse prima. Magari non si manifesta più nella vecchia maniera, ma trova nuovi modi di espressione.
Quindi, la tecnica del pensare in positivo è poco efficace, priva di una profonda comprensione, e continua a fornirvi idee sbagliate su voi stessi. Il pensare in positivo è nato da una setta cristiana americana, che prese il nome di “Christian Science”. Per evitare la parola “Christian” e avere in tal modo più presa sulla gente, un po’ alla volta fu abbandonata la vecchia etichetta, e si limitò a parlare della filosofia del “pensiero positivo”. Christian Science – questa è la fonte originale – avanzò l’idea che tutto quello che vi succede nella vita, non è altro che una proiezione del pensiero. Se volete essere ricchi, “pensate alla ricchezza e arricchitevi”. E’ attraverso il pensare in modo positivo che ci si arricchisce, che si diventa più ricchi… che i dollari cominciano a venire verso di voi.
Mi viene in mente un aneddoto. Un giovane incontra per strada un ‘anziana signora. La signora chiede: “Cos’è successo a tuo padre? Non viene più alle nostre riunioni settimanali di Christian Science, ed è il membro più anziano, quasi il fondatore della nostra società”. Il giovane risponde: “E’ malato, e si sente molto debole”.
La donna ride, e ribatte: “E’ solo il suo pensiero e nient’ altro. Lui pensa di essere malato, ma non lo è. E pensa di essere debole, ma non lo è. La vita è fatta di pensieri: diventi ciò che pensi! Digli di ricordarsi l’idea che ci ha predicato per anni. Digli di fare pensieri sani, di pensarsi forte e vigoroso!” Il giovane conclude: “Gli riferirò il suo messaggio”.
Otto, dieci giorni dopo, il giovane incontra di nuovo la donna, che gli chiede: “Cos’è successo? Non gli hai riferito il mio messaggio? Perché continua a non venire alle riunioni settimanali?” E il giovane risponde: “Gli ho riferito il suo messaggio, signora; ma ora lui pensa di essere morto. E non lo pensa solo lui… tutti i vicini, la mia famiglia, perfino io stesso, pensiamo che sia morto. E non vive più con noi: è andato a stare al cimitero!”
Christian Science ha un approccio superficiale… può aiutare in certi casi: in particolare, si possono modificare quelle situazioni che sono realmente create dalla vostra mente. Ma non tutta la vostra vita è creazione della mente.
Il pensiero positivo deriva da Christian Science. Parlano un linguaggio più filosofico, ma la base è la stessa: se pensi in negativo, ti accadranno cose negative; se pensi in positivo, ti accadranno cose positive. E in America questo genere letterario ha molta fortuna. In nessun altro posto al mondo il pensare in positivo ha avuto alcuna presa… perché è una cosa puerile. “Pensa di essere ricco e diventalo”… tutti sanno che è una pura e semplice assurdità. Ed è nocivo, è pericoloso per te.
Le idee negative della tua mente devono essere rilasciate, non devono essere represse da idee positive. Occorre che tu crei una coscienza, che non è positiva, né negativa. Quella sarà una pura coscienza. In quella pura coscienza, vivrai la più naturale e gioiosa delle esistenze.
Se tu reprimi una qualsivoglia idea negativa perché ti fa star male per esempio, se sei arrabbiato, e reprimi la tua rabbia sforzandoti di cambiare quell’energia in qualcosa di positivo, come cercare di sentirti in amore verso la persona verso cui provavi rabbia, oppure di sentire compassione per lei, sai benissimo che stai ingannando te stesso. A un livello molto profondo la rabbia rimane tale: stai semplicemente dando una mano di bianco, per coprirla. In superficie puoi sorridere, ma il tuo sorriso si limiterà alle tue labbra. Sarà una ginnastica delle labbra: non sarai connesso con te, col tuo cuore, col tuo essere. Tra il tuo sorriso e il tuo cuore, stai mettendo una barriera: l’emozione negativa che hai represso.
E non si tratta di una sola emozione: nella tua vita ci sono migliaia di emozioni negative… non ti piace una persona; non ti piacciono tante cose; tu stesso non ti piaci; non ti piace la situazione in cui sei. Tutta questa immondizia, continua ad accumularsi nell’inconscio, e in superficie prende forma un ipocrita, che dice: “Amo tutti quanti. L’amore è la chiave della beatitudine”. Ma non traspare alcuna beatitudine nella vita di una persona così! Dentro di lei esiste un vero inferno. Può ingannare gli altri, e se continui a ingannarli per un tempo sufficientemente lungo, finisce per ingannare anche se stessa. Ma questo non è un cambiamento. E’ solo sprecare la propria vita… che ha un immenso valore, perché una volta buttata via, non si può riaverla indietro.
Il pensare in positivo, se lo si vuole chiamare col suo vero nome, non è altro che la filosofia dell’ipocrisia. Quando vi viene voglia di piangere, essa vi insegna a cantare. Ci puoi riuscire se ci provi, ma quelle lacrime represse verranno fuori in un altro momento, in un’altra situazione. Esiste un limite alla repressione. E la canzone che stavi cantando è del tutto insignificante: non la sentivi, non nasceva dal tuo cuore. Essa nasceva solo dal fatto che questa filosofia dice di scegliere sempre ciò che è positivo.
Io sono assolutamente contrario al pensiero positivo. Sarai sorpreso di sapere che se non scegli, se rimani in una consapevolezza libera da scelte, la tua vita comincerà a esprimere qualcosa che non è né positivo né negativo, qualcosa di superiore a entrambi. Per cui, non sarai un perdente. Non sarà positivo, non sarà negativo, sarà esistenziale. Quindi, se ci sono lacrime, esse avranno una loro bellezza; avranno una loro canzone. Non occorre che tu sovrapponga ad esse un’altra canzone: esse provengono dalla gioia, dall’appagamento, non dalla tristezza o dal fallimento. E se la canzone esplode, non sarà contro le lacrime o la disperazione: è semplicemente l’espressione della tua gioia… non è contro nulla né a favore di qualcosa. E’ semplicemente il fiorire del tuo essere; ecco perché la chiamo esistenziale.
Il pensare in positivo, ha condotto l’America su una strada sbagliatissima: ha reso la gente ipocrita. Oggigiorno, è la filosofia che, in America, ha maggior presa. Di fatto non è nemmeno una filosofia: è solo spazzatura. Essa non comprende la psicologia dell’uomo, non è radicata nelle scoperte della psicologia, né in quelle più profonde della meditazione. Si limita a dare speranza alla gente, a persone che stanno perdendo ogni speranza.

ENGLISH VERSION

(from   Osho The Transmission of the Lamp Talks in Uruguay)

Beloved Osho, is the technique of positive thinking helpful for awakening? or does it dull the awareness of being imprisoned and the desire to become free?
The technique of positive thinking is not a technique that transforms you. It is simply repressing the negative aspects of your personality. It is a method of choice. It cannot help awareness; it goes against awareness.

Awareness is always choiceless.

Positive thinking simply means forcing the negative into the unconscious and conditioning the conscious mind with positive thoughts. But the trouble is that the unconscious is far more powerful, nine times more powerful, than the conscious mind. So once a thing becomes unconscious, it

becomes nine times more powerful than it was before. It may not show in the old fashion, but it will find new ways of expression.

So positive thinking is a very poor method, without any deep understanding, and it goes on giving you wrong ideas about yourself.

Positive thinking was born out of a certain Christian sect in America which was called Christian Science. To avoid the word 'Christian', so others can also be allured to it, they slowly dropped that old label and simply started talking about the philosophy of positive thinking.

Christian Science - which is the original source - proposed that anything that happens in your life is nothing but a thought projection. If you want to be rich, think and grow rich. It is by thinking positively that you are rich, that you are getting richer, that dollars will start coming towards you.

I am reminded of an anecdote. A young man met an old lady on the road. The old lady asked, "What happened to your father? He is not coming to our weekly meetings of Christian Scientists - and he is our oldest member, almost the founder of our society."

The young man said, "He is sick and feeling very weak."

The woman laughed. She said, "It is just his thought and nothing else. He is thinking he is sick - he is not sick. And he is thinking he is weak - he is not weak. Life is made of thoughts; the way you think, you become. Just tell him to remember his own ideology that he has been preaching to us.

Tell him to think healthy; tell him to think full of vigor."

The young man said, "I will give the message."

After eight or ten days the young man met the woman again, and she asked, "What happened?

Didn't you give the message? - because he is still not coming to the weekly meeting."

The boy said, "I gave the message, madam, but now he thinks he is dead. And not only does he think he is dead, my whole neighborhood, my family, even I myself think he is dead. And he is no longer living with us; he has gone to the graveyard!"

Christian Science was a superficial way... it may help in a few things; particularly those things which are really created by your thought can be changed. But your whole life is not created by your thought.

Positive thinking came out of Christian Science. It talks now more philosophically, but the base remains the same - that if you think negatively, that is going to happen to you; if you think positively, that is going to happen to you. And in America that kind of literature is widely read. Nowhere else in the world has positive thinking made any impact - because it is childish.

"Think and grow rich" - everybody knows this is simply foolish. And it is harmful, and dangerous too.

The negative ideas of your mind have to be released, not repressed by positive ideas. You have to create a consciousness which is neither positive nor negative. That will be the pure consciousness.

In that pure consciousness you will live the most natural and blissful life.

If you repress some negative idea because it is hurting you.... For example: if you are angry, and you repress it and try to make an effort to change the energy into something positive - to feel loving towards the person you were feeling angry with, to feel compassionate - you know you are deceiving yourself.

Deep down it is still anger; it is just that you are whitewashing it. On the surface you may smile, but your smile will be limited only to your lips. It will be an exercise of the lips; it won't be connected with you, with your heart, with your being. Between your smile and your heart, you yourself have put a great block - the negative feeling that you have repressed.

And it is not one feeling; in life you have thousands of negative feelings. You don't like a person, you don't like many things; you don't like yourself, you don't like the situation you are in. All this garbage goes on collecting in the unconscious, and on the surface a hypocrite is born, who says, "I love everybody, love is the key to blissfulness." But you don't see any bliss in that person's life. He is holding the whole of hell within himself.

He can deceive others, and if he goes on deceiving long enough, he can deceive himself too. But it won't be a change. It is simply wasting life - which is immensely valuable because you cannot get it back.

Positive thinking is simply the philosophy of hypocrisy - to give it the right name. When you are feeling like crying, it teaches you to sing. You can manage if you try, but those repressed tears will come out at some point, in some situation. There is a limitation to repression. And the song that you were singing was absolutely meaningless; you were not feeling it, it was not born out of your heart.

It was just because the philosophy says to always choose the positive.

I am absolutely against positive thinking. You will be surprised that if you don't choose, if you remain in a choiceless awareness, your life will start expressing something which is beyond both positive and negative, which is higher than both. So you are not going to be a loser. It is not going to be negative, it is not going to be positive, it is going to be existential.

So if tears are there, they will have a beauty; they themselves will have a song. You need not impose any song on them, they themselves will be out of joy, out of fulfillment - not out of sadness, failure.

And if the song bursts forth, it is not against tears, despair; it is simply the expression of your joy... not against anything, not for anything. It is simply the flowering of your own being; hence I call it existential.

Positive thinking has led America into a very wrong path; it had made people hypocrites. It is the most influential philosophy in America, and in fact, it is not even a philosophy, it is just rubbish. It does not understand the psychology of man, it is not grounded in the findings of psychology; it is not grounded in the deeper findings of meditation. It is simply giving people hope - people who are losing all hope. It is giving people ambition.



martedì 7 marzo 2017

L'Arte di Insegnare - Commento al Tai Taikō Gogejari Ho di Dōgen Zenji (seconda parte)

Una statua di Dōgen Zenji - Kouan Temple
Pubblichiamo la seconda parte della trascrizione di alcune lezioni tenute nel Dōjō Zen da Sensei Paolo Taigō Spongia a commento del Tai Taikō di Dōgen Zenji. La prima parte è stata pubblicata il 25 novembre 2016 :
http://iogkfitalia.blogspot.it/2016/11/commento-al-tai-taiko-gogejari-ho-di.html
Le lezioni hanno un carattere colloquiale di cui tener conto durante la lettura.
Pubblicheremo a breve anche la terza ed ultima parte.




Il Tai Taikō invita a fare attenzione ai dettagli: al modo in cui si entra in una stanza, come ci si muove nel Dōjō percorrendo le linee tracciate da una millenaria tradizione. E’ un linguaggio che parla profondamente al nostro inconscio e ce ne rendiamo conto, ne percepiamo la potenza, solo quando lo viviamo.

Quando facevo il Jikidō, nel Dōjō del Monastero Zen dove mi sono formato, quando passavo nei pressi del seggio del Maestro e di altri monaci seduti in Zazen percepivo sulla pelle che dovevo tenere una distanza, si attivava un istinto animale.

Il percepire la presenza e l’energia di una persona ti impone una distanza.

Per gli animali dalla loro vigilanza dipende la loro sopravvivenza e difficilmente hanno un comportamento trascurato, disattento. Io vedo tante volte, quando fate kin hin, che qualcuno arriva quasi a camminare sulle gambe di chi è seduto, oppure incombe su chi lo precede non rispettando la debita distanza, c’è gente che ha perso la sensibilità per comprendere il valore e significato della distanza, però magari si riempie la bocca di teorie sul rispetto, sulla compassione… ma cos’è il rispetto se non la capacità innanzitutto di percepire il tempo e lo spazio nella relazione? Come si fa a non percepire che se ‘incombi’ su di una persona gli stai mancando, in maniera aggressiva ed ottusa, di rispetto? Che stai insidiando la sua libertà?
Oggi siamo talmente anestetizzati da aver perso la capacità di percepire queste norme naturali di comportamento, per gli animali sono ovvie e determinano la loro sopravvivenza e non sarebbe male se anche l’uomo si ritrovasse di tanto in tanto a rischiare la vita a seconda di come muove un passo, forse questo lo rieducherebbe alla presenza e alla sensibilità.
Si entra nel Dōjō passando non per il centro della soglia ma da un lato, significa manifestare concretamente, senza intermediazione del pensiero, il proprio rispetto e la propria delicatezza nei confronti del Maestro e di tutti quelli che in quel momento praticano nel Dōjō.
Se ad esempio un insegnante sta seduto non gli si arriva mai camminando da davanti, semmai ci si avvicina camminando in seiza (come nello shikkō dell’Aikido) oppure con dei passi laterali, entrando di lato e poi accosciandosi; è un modo delicato e raffinato, un gesto di profonda educazione e questi modi noi li possiamo utilizzare in tanti momenti della vita quotidiana… quando ti avvicini ad una persona, quando cominci un discorso, anche con le parole infatti si può fare quel gesto di entrare piano nel discorso, senza aggressività, senza incombere sullo spirito del nostro interlocutore.
Sono tutte cose apparentemente molto semplici ma che insegnano una profonda filosofia di vita, lo Zen andrebbe studiato anche solo per questo. Questo è illuminante! Già se la pratica Zen insegnasse a noi, alle persone che frequentano il dōjō, a rivitalizzare la naturale sensibilità nella relazione con gli altri, con le cose, con tutte le esistenze animate ed inanimate sarebbe già una rivoluzione, una conquista eccezionale.
E c’è sempre chi obietta: ‘ma gli altri non lo fanno, non hanno questa sensibilità’ ed io rispondo bruscamente : ‘comincia a farlo tu!’. Le tue maniere influenzano quelle degli altri, perché se tu sei attento, presente, spesso anche la persona più rozza coglie questa cosa e, in qualche modo, anche il suo atteggiamento cambia.
Il Tokonoma, sul lato d’onore della stanza, non ha in genere molte decorazioni. Vi è esposta di solito una calligrafia, al massimo una mensola bassa con un fiore o un ikebana, non c’è altro. E’ molto semplice, molto sobrio ed elegante.
Quest’altra esortazione del Tai Taikō è molto importante: ‘una lieve decorazione non deve attirare troppo lo sguardo proprio come il comportamento in genere.’ E questo ci dovrebbe interrogare su come ci comportiamo solitamente in tante situazioni. Quanto è diffuso un atteggiamento molto rozzo, quello di voler necessariamente dire: “ Eccomi! sono qua, sono così importante!”
Taisen Deshimaru
Riguardo a questo una cosa che mi colpì profondamente nei primi tempi della relazione col mio primo Maestro Zen. Prestava grandissima attenzione quando ti parlava, il suo sguardo ti attraversava, però era anche capace di passarti accanto come se tu fossi un fantasma, come se non ti avesse visto, anche quando magari ti rivedeva dopo un mese. E tu eri lì che dicevi a te stesso: “non mi vede da un mese, mi saluterà…” invece no, lui era preso dal suo lavoro (t’aveva visto benissimo, sapeva benissimo quando eri arrivato, tutto quello che avevi fatto), e ti stava insegnando che non sei poi così importante come credi di essere, di certo non più importante di quel pezzo di legno da tagliare ben diritto.
Non essendo poi io ancora educato ai modi del Tempio, non sapevo che c’è un modo di presentarti di fronte ad un Maestro e se io ancora non ero in grado di comprenderlo era meglio per lui ignorarmi piuttosto che redarguirmi, perché magari non ero ancora in grado di capire. Per esempio una volta mi sgridò perché lo salutai mentre io ero sul pianerottolo e lui in fondo alla scala. Non si saluta mai un Maestro mentre tu sei in una posizione più elevata, in quel caso meglio continuare a fare le tue cose, ignorandolo. E’ una delicatezza.
E sono delicatezze e strategie relazionali ed educative che un vero insegnante deve padroneggiare.
Adesso con la mia esperienza trentennale d’insegnamento tante volte mi capita di far finta di non vedere alcuni errori di allievi e di non correggerli, perché capisco che in quel momento se io correggo quella persona, e non intendo solo principianti, la faccio irrigidire, il mio sguardo la può far irrigidire.
Ho visto l’errore e sarebbe facile correggerlo. Ma il mio compito di insegnante non è solo correggere errori, fare la maestrina con la penna rossa, ma è quello di portare gli allievi pian piano ad acquisire quella sensibilità e capacità di cogliere i propri errori e di accettare e comprendere la correzione, perché arriva al momento giusto.
Anche perché se un allievo non ha sete di apprendere e correggersi puoi offrirgli tutte le correzioni e spiegazioni che vuoi ma non avrà alcuna efficacia.
Questa è una strategia pedagogica per la quale ho una mia personale sensibilità e che vedo molto carente in altri insegnanti, anche con una discreta esperienza, in genere subito pronti ad offrire lunghe spiegazioni, atte più ad esibire sé stessi che ad offrire un sostegno all’allievo.
Uno degli errori che in genere fa un insegnante alle prime armi (e spesso purtroppo anche insegnanti ormai attempati) è quello di esibire sé stesso, l’opposto di quello che serve agli allievi. Proporre durante le lezioni quello che lo diverte di più, o in cui è più ferrato, ostentare la sua conoscenza con lunghe spiegazioni quando non ce ne sarebbe bisogno, perché non è il momento opportuno, l’allievo non ha ancora acquisito gli strumenti per comprendere tali spiegazioni. La risposta non deve mai andare oltre la qualità di una domanda.
Cerco di instillare questa sensibilità nei miei allievi che si muovono nella prospettiva di diventare degli insegnanti a loro volta.
Qualcuno sentendo queste parole potrebbe pensare che siano esagerate, però in realtà tutta l’educazione Zen si fonda su questo, e questa raffinata, essenziale educazione permette un certo tipo di sviluppo, di crescita, di maturazione.
All’inizio è dura perché ci sono tante regole, e ti sembra di camminare in un campo minato, ma questo amplifica la tua percezione, potenzia la tua concentrazione e sensibilità e infine ti accorgi effettivamente quanto siano potenti queste piccole delicatezze, queste attenzioni nei confronti di un insegnante, dei compagni di pratica, di un oggetto che stai maneggiando…
Ormai noi viviamo, anche le relazioni familiari, in una grande distrazione, noncuranza, sciatteria, soprattutto quando poi le relazioni sono acquisite (naturalmente queste esortazioni valgono anche per il sottoscritto).
Quando esci con la fidanzata la prima volta dimostri il meglio di te, hai tante attenzioni, poi, una volta che il rapporto è consolidato, si dimenticano questi piccoli gesti, queste delicatezze, questa cura, questo modo di parlare, di essere interessati all’altro. Diamo tutto per scontato, pensiamo di aver capito tutto. E’ l’inizio della fine, la morte di una relazione. Ci sono quelli che hanno il coraggio di capire che è finita, che la loro distrazione ha ucciso la relazione e quelli che portano avanti relazioni così tutta la vita.
Sono le piccole cose, i gesti quotidiani che fanno la differenza.
Offrire qualcosa di cui l’altro ha bisogno al momento giusto, prima che te la chieda è qualcosa di potentissimo ed è alla base dell’educazione che un Maestro Zen impartisce ai suoi più diretti discepoli. Ti fa comprendere il cuore di una persona, quanto sia attenta nella relazione. In Giappone si ricerca molto questo e nello Zen è fondamentale, soprattutto nella relazione con un Maestro. Perché in genere il modo migliore per apprendere lo spirito di un Maestro, per ricevere la sua trasmissione di conoscenza e sapienza è fargli da attendente, che vuol dire disponibilità totale in modo da stargli vicino il più possibile e penetrarne profondamente il carattere.
Una cosa impensabile per un occidentale allevato a base di rivendicazioni sindacali.
Mi ricordo che una volta invitai il mio Maestro a Roma a tenere una conferenza. Pioveva e quando uscimmo mi fu naturale aprire l’ombrello e proteggerlo dalla pioggia rimanendo io esposto. E mi ricordo ci furono persone, tra le quali un maestro di karate che quindi dovrebbe avere questa cultura, che dissero: ‘eh però è dimostrazione di arroganza, permettere a qualcuno di tenerti l’ombrello …’. Io risposi: ‘Ma tu per tuo padre non l’avresti fatto?’
A me sembra normale, non c’è niente di scandaloso. Un Maestro è come un padre, forse anche di più, quindi qual è il problema? Eppure c’è gente che si scandalizza di questo a causa della loro idea malata di democrazia, di uguaglianza.
Io ed il mio Maestro non siamo uguali, e da questa differenza e disparità nasce tutta la ricchezza della nostra relazione. Non mi sento da meno ma non mi sento uguale, e gli devo tutto il rispetto e fiducia che mi è possibile perché da quel rispetto e fiducia nasce tutto il resto .
E invece c’è questa mentalità diffusa di mal compresa democrazia e finché si ragiona in questi termini come si può pensare di comprendere la relazione con un insegnante o la pratica stessa? Sarai sempre portato a pensare: ‘e chi è quello che  pretende da me queste cose?’ e a dettare le tue condizioni. Ma non è lui che lo pretende, è piuttosto il tuo modo di esprimere gratitudine, la tua predisposizione ad accogliere quello che può arrivare da lui, che lui ne sia consapevole o meno.
Nell’insegnamento, scolastico, universitario, tanto più in un insegnamento di questo genere, ci deve essere una situazione di disparità perché possa passare qualcosa. E invece no, è diventato scandaloso per la mentalità sessantottina che abbiamo ereditato e che ha generato fenomeni umani imbarazzanti. Un insegnante deve sapersi porre su di un ‘piano rialzato’ rispetto all’allievo, assumersene il rischio e la responsabilità,  perché lui non parla per sé ma sta facendo passare qualcosa attraverso di sé e deve creare tutti i presupposti perché questa misteriosa e irripetibile alchimia abbia luogo. E non si tratta di arroganza ma senso di grande responsabilità.
‘Quando indosserete questo Abito (il Kesa) e vi disporrete a parlare del Dharma, vi manderò auditori e le mie parole passeranno attraverso di voi’ così insegnava il Buddha ai suoi discepoli. L’ho sperimentato mille volte nella mia vita.
Senza la capacità di mettere da parte sé stessi, il proprio orgoglio ed egoismo non può esistere nessuna vera relazione maestro-discepolo né, a mio parere, nessuna autentica relazione in generale.

Fine seconda parte