mercoledì 30 aprile 2025

L' Universale Virtù dello Zazen


 Pubblichiamo l'estratto di un Insegnamento offerto da Taigō Sensei durante la Pratica Zen al Tora Kan Dōjō.

Dōgen Zenji  scrisse il Fukanzazengi subito dopo il suo ritorno dalla Cina per condividere il prezioso tesoro dello Zazen che gli era stato trasmesso dal suo Maestro Tendō Nyojō.
Questa che vi leggerò è la versione tradotta in Italiano e messa in prosa dal mio primo Maestro, Taiten Roshi.

L’universale virtù dello Zazen

1. Tale è la Via in origine piena perfetta nella sua strenua ricerca. Come può pretendersi coll'esercizio ed il Risveglio? Della verità il veicolo è incondizionato, presente, perché l'affanno e l'artifizio? Ben aldilà della polvere del mondo è il grande corpo, come credere di purificarlo?

2.1 La Via, 'l corpo non son mai da qui lontani: di qual utilità è andar qui e là per praticare? Se un minimo scarto è prodotto, cielo terra son lontani, separati oltre misura. Se prodotta è una minima preferenza antipatia il cuore smarrito è nella confusione.

2.2 Chi porta vanto della comprensione del Dharma, del profondo risveglio, chi la sapienza ha intravisto, colto la Via, chiarito 'l cuore, ch'intende scalar il cielo, alla porta indugia ancora, solo, ignorando l'opera viva della Via.

3.1 Perdura l'orma del perfetto Zazen di Gion, l'eco dei nove anni di Shorin, sigillo dello spirito.

3.2 Così era degli antichi splendidi esempi, così sarà d'oggi arduo lo sforzo.

3.3 Fa quindi tacere lo sforzo vano del comprendere limitato della mente che si tiene alle parole e alla lettera. Impara invece il passo indietro, rivolgi il tuo sguardo al tu che non può esser visto.

3.4 Corpo mente naturale metamorfosi, dell'origine l’volto si rivela. Così senza tardar pratica, segui quel che così ti vuole.

4.1 Per lo Zazen un luogo quieto propizio è, moderati il cibo e il bere, senza pensare al bene al male, al giusto, ingiusto, ferma ogni negozio,

4.2 mente, volontà, coscienza, memoria, immagine, ogni azione conscia della mente, ogni piano per diventare Buddha. Zazen: nulla a che vedere con lo star seduti, distesi.

4.3 Sul suolo è messo un cuscino ampio, quadrato, sopra uno zafu. Sediamo in Kekka Fuza o in Hanka Fuza. In Kekka Fuza piede destro sulla coscia sinistra, piede sinistro sulla coscia destra. In Hanka Fuza solo il piede sinistro è sulla coscia destra.

4.4 S'indossa un ampio abito pulito, in ordine. La mano destra, verso l'alto girata, sulla gamba sinistra, la mano sinistra sulla destra, si toccano appena i pollici. Ben eretto siedi, ben corretta la postura del corpo non a destra a sinistra avanti indietro penda l’corpo. Orecchie, spalle, naso, ombelico in linea. Contro il palato la lingua riposa, la bocca chiusa, si toccano i denti, sempre gli occhi aperti.

4.5 Quieto l’respiro attraverso il naso. Presa la postura corretta, una volta respiro profondo, inspira espira quieto.

5.1 A sinistra, destra muovi il corpo e siedi come un monte, fermo, solido. Pensa dal fondo del non pensiero, come puoi pensare dal fondo del non pensiero? Senza pensare pensa. Questo proprio dello Zazen è l’essenziale. Ma questo Zazen non è passo a passo, ma semplice porta di pace e gioia.

 6.1 L'esercizio; la prova che si consuma nel risveglio del Koan azione manifesta. I tranelli qui non arrivano se qui riposi nello spirito, sei come l’drago che all'acqua torna, come la tigre che alla montagna torna.

7.1 E’ in potere della realtà dello Zazen che il giusto Dharma si manifesti senza sforzo e distrazione. Quando t'alzi dallo Zazen muovi il corpo adagio senza fretta adagio. Andare oltre il risveglio e il non risveglio, morir seduti, in piedi.

8.1 Sempre è dipeso dalla forza dello Zazen. L'apertura al risveglio data da un dito. Il suo compiersi grazie ad un Hossu, un pugno, un bastone, un grido, non sorge certo dal valutare, discriminare, né dal sapere, dalla magia.

9.1 Oltre è ciò che vedi, senti, prima del sapere solo s'origina nello spirito. Senza discutere, distinguere quindi tra sapiente, stupido, valido, stolto, senza indugio salta nello sforzo strenuo della Via.

10.1 Incontaminati sono in origine esercizio e risveglio. Avanzare è questione quotidiana. Chi in questo mondo - altrove- all'Est come all'Ovest, così vive, è quel che mantiene del Buddha il sigillo, fa soffiare libero la libertà dello spirito.

11.1 Come una rupe solo seduti, semplice-ferma-mente. S’è vero che tanti sono gli uomini quanti sono i loro animi, nel solo-zazen col cuore tutti divengono la stessa Via. Non si lasci il trono ch'è nella nostra dimora per vagare nella polvere di terre altrui. Falso un passo e persi siamo nella Via davanti a noi.

12.1 Il tempo non sciupare ch'è rara la forma umana; preziosa mantiene del Buddha la Via. Chi della scintilla invano proverà piacere: forma, sostanza rugiada su un filo d'erba, del destino lampo, istante vano brilla.

13.1 Vi prego, nobili devoti, del cammino diletti seguaci da tempo usi al dubbio, non temete il vero drago, vigorosi andiamo nella Via davanti a noi distesa. Onore a chi al saper, all'agir non s’affida.  Insieme andiamo nel risveglio di Buddha nel samadhi degli antichi. Senza tardare così andiamo, a quel che così ci vuole andiamo: di per sé aperto è lo scrigno del tesoro s’offrirà.

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“Tale è la Via in origine piena perfetta nella sua strenua ricerca. Come può pretendersi coll'esercizio ed il Risveglio? Della verità il veicolo è incondizionato, presente, perché l'affanno e l'artifizio? Ben aldilà della polvere del mondo è il grande corpo, come credere di purificarlo?”

Come possiamo pensare di potere ottenere qualcosa praticando Zazen?
Se quel qualcosa che desideriamo ottenere non è già nostro?

E’ inutile pensare di andare a destra e sinistra, cercare lontano, dove praticare, se non capite che la Pratica non è altro che l’esplicitazione del vostro risveglio che è già presente e dovete solo metterlo in atto, solo esprimerlo.

E non cercare secondo le nostre preferenze e i nostri calcoli, perché se è prodotta la minima preferenza o antipatia il cuore si smarrisce nella confusione e cielo e terra sono separati inesorabilmente.

Così come chi si vanta di aver compreso il Dharma, di aver raggiunto il risveglio, in realtà è rimasto fermo sulla porta. Non ha capito che non è un qualcosa che si ottiene una volta per tutte, ma è come un fuoco che va alimentato ogni giorno, quando sediamo in Zazen gettiamo un nuovo ciocco nel camino e teniamo accesa la fiamma, la rinforziamo e la nutriamo. Non sarà mai una volta per tutte, perché la vita non è mai ‘una volta per tutte’, la vita si trasforma costantemente.

Lo Zazen è la vita, la Pratica è la vita, non è separata dalla vita, non è al di là del nostro Samsara, non possiamo trovare una realizzazione fuori dell’affanno della vita quotidiana. Non possiamo sperare in un tempo migliore in cui staremo meglio e saremo finalmente risvegliati, finalmente felici; se non trovate il vostro Risveglio, la vostra felicità in questo preciso momento non potrete trovarlo altrove, rincorrerete sempre delle ombre.

E questo Zazen che si trasmette è il sigillo di questa Trasmissione.  Tutti i Buddha e i Patriarchi hanno dimostrato che è continuando Zazen e praticando costantemente che questo risveglio è costantemente nutrito, attualizzato e si rinnova di momento in momento.

Dōgen Zenji parlava di Genjō Koan, ovvero, la vita ci pone di momento in momento le sue domande, i suoi Koan, e noi di momento in momento, intuitivamente, attingendo ad una Saggezza oltre la nostra piccola mente calcolatrice, siamo chiamati a rispondere con la nostra azione.
Non impareremo domani quello che ci chiede la vita in questo istante.

Bisogna smettere di pensare di poter comprendere con la nostra piccola e limitata mente, Dōgen Zenji suggerisce, imparate il passo indietro, rivolgete la luce dentro di voi e le risposte sorgeranno spontaneamente, senza predeterminazione.
Spiega come assumere la postura, offre dettagliate indicazioni … poi ad un certo punto interrompe questa spiegazione per dire che lo Zazen, la mente dello Zazen, non ha niente a che vedere con lo stare seduti o in piedi.
Non bisogna confondere lo Zazen con una tecnica.
Lo Zazen è cuore pulsante, non è una tecnica, è il cuore vivo e pulsante di tutti i Buddha a cui noi torniamo costantemente quando sediamo.
Non si tratta di un’esercizio che releghiamo ad un ritaglio del nostro tempo ma si tratta di un cuore che continua a battere nel nostro cuore, in ogni momento della nostra vita. Dobbiamo tornare a questa pulsazione costantemente e far riverberare la mente dello Zazen, la postura, il respiro, l’abbraccio dello Zazen che non rifiuta nulla, che tutto accoglie, che non discrimina … rinnovarlo costantemente in ogni nostro gesto, in ogni nostra scelta, ogni nostra parola.

Sedere in Zazen è come il drago che torna all’acqua, la tigre alla montagna …  è tornare a casa e sedere in pace.

“E' in potere della realtà dello Zazen che il giusto Dharma si manifesti senza sforzo e distrazione.”

“Sempre è dipeso dalla forza dello Zazen. L'apertura al risveglio data da un dito. Il suo compiersi grazie ad un Hossu, un pugno, un bastone, un grido …”
Non ha niente a che vedere col valutare, discriminare, comprendere razionalmente; è una realizzazione che avviene guardando attraverso la mente dello Zazen, Hishiryō.

“Oltre è ciò che vedi, ciò che senti, prima del sapere e s'origina nello spirito.”
Nel pensiero Hishiryō, in quella vasta mente di cui la nostra piccola mente è parte. Non c’è differenza tra chi pensa di essere intelligente, chi pensa di essere stupido, chi è abile e chi maldestro; nel sedere in Zazen si condivide il pulsare dello stesso cuore; e non è detto che chi si considera più intelligente possa comprendere davvero.

“Incontaminati sono in origine esercizio e risveglio. Avanzare è questione quotidiana. Chi all'Est come all'Ovest, così vive, è quel che mantiene del Buddha il sigillo, fa soffiare libero della verità il vento.”
Imprimete il sigillo del Buddha nel vostro corpo-mente, nella vostra carne, e fate sì che questo sigillo continui a manifestarsi attraverso di voi.

“Come rupe solo seduti, semplice-ferma-mente. S’è vero che tanti sono gli uomini quanti sono i loro animi, nel solo-zazen col cuore tutti seguono la stessa Via. Non si lasci il trono ch'è nella nostra dimora per vagare nella polvere di terre altrui. Un passo falso e persi siamo nella Via davanti a noi.”

Il tempo non sciupate perché è rara la forma umana, preziosa mantiene del Buddha la Via.

Non provate piacere solo per la scintilla, per una forma che appare e scompare, che, come la rugiada su un filo d’erba, scossa dal becco di un’anatra è la vita.
Del destino lampo, istante vano brilla.
Non c’è tempo. In questo istante infinito non c’è tempo, non c’è un altro tempo da attendere.

“Vi prego, nobili devoti, del cammino diletti seguaci da tempo usi al dubbio, non temete il vero drago”
Non temete di sedervi di fronte al mistero, di fronte alla verità, di fronte a voi stessi.

 “vigorosi andiamo nella Via davanti a noi distesa.”
Risvegliamo sempre questo vigore e questo passo deciso, determinato, senza esitazione, con estrema fiducia, totale affidamento.

Il mio Maestro diceva: “Praticare è affidarsi, come un bambino che si lancia nelle braccia del padre senza nessuna garanzia che il padre sia pronto a prenderlo al volo”, senza questo totale affidarsi non esiste pratica. Nel dubbio, nel sospetto e nella sfiducia nell’incapacità di affidarsi e di accettare la propria esposizione al rischio non esiste nessuna pratica.

“Insieme andiamo nel risveglio del Buddha nel samadhi degli antichi. Senza tardare così andiamo, a quel che così ci vuole andiamo: di per sè aperto è lo scrigno del tesoro s’offrirà.”
Dōgen conclude invitandoci ad andare con fiducia senza esitazioni ed affidarci al risveglio del Buddha, che, come un’onda, si trasmette da cuore a cuore. Andiamo ‘a quel che così ci vuole’, a quello a cui siamo chiamati per esprimere noi stessi in questa preziosa forma umana al meglio che possiamo.

Non c’è un’altra occasione, se non riusciamo ad esprimere noi stessi, la nostra autentica natura proprio ora quando pensiamo di poterlo fare?

Quando nella liberà dello spirito, nel cuore dello Zazen, saremo davvero noi stessi, quel noi stessi non sarà altro che riconoscersi in ogni esistenza, solo allora si sarà compiuto il nostro destino in questa forma umana e tutto il tesoro della vita ci sarà offerto gratuitamente.

(registrazione e trascrizione a cura di Monica Tainin De Marchi)


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venerdì 28 marzo 2025

L'assenza di pensiero è il pensiero istantaneo (Chen Huei)

"L'assenza di pensiero è il pensiero istantaneo". Ora, l'errore sarebbe ritenere che assenza di pensiero voglia dire qui non pensare a nulla. È un fraintendimento in cui spesso si può cadere e di fatto è così. Ma si tratta di qualcos'altro. Costringere al silenzio i pensieri è il risultato di un atteggiamento contrastivo, concentrato in modo reattivo e violento: è una via perseguita da certe tradizioni meditative, ma non dallo zen. Il non-pensiero di cui parla lo zen non esclude nulla; è per certi versi il contrario: è un'apertura, è un atteggiamento non discriminante. È una via verso l'abbandono, il cedimento. I pensieri permangono nella loro naturalezza, si susseguono nella loro fresca istantaneità. Se io voglio raggiungere il silenzio assoluto dei pensieri, allora il mio atteggiamento è innaturale e dualistico: la mia mente è piena di pensieri e io voglio arrivare a chissà quale mistico svuotamento!

"Il pensiero istantaneo è l'onniscienza". Allora è ovvio che quando lascio la presa, quando mi scrollo di dosso la tenace volontà di liberarmi la mente dei suoi contenuti, rimane il pensiero pensato in questo momento, in questo preciso istante, nella sua pulizia, nella sua assoluta presenzialità. Nel qui e ora del pensiero sono solo e semplicemente in quel pensiero stesso che sta istantaneamente passando in me: essere solo quel pensiero vuol dire onniscienza. Una conoscenza totale, illimitata, perché non più costretta dai limiti separativi, bensì coincidente con la mente conoscente e l'oggetto di pensiero. Conoscenza, conoscente, conosciuto si identificano: è come dire libertà, o anche infinito.

"Il pensiero nell'assenza di pensiero è la manifestazione, l'attività dell'assoluto". A questo punto non c'è più qualcuno che pensa e che si pone di fronte a qualcos'altro. Non c'è più una mente che ha dentro di sé un pensiero. Se sei penetrato da quel pensiero, quello di questo istante e nient'altro; se sei così semplice da non complicare tutto costruendoti i tuoi infiniti vaniloqui interiori; se non ti poni con un atteggiamento teso e reattivo, allora sei uscito dal dualismo soggetto-oggetto, anche quello presente nella coppia mente-pensiero. Sei in una dimensione cui non puoi dare un nome definito; eppure l'attività del pensare sussiste ancora, ma non è più oggettivata, non è più originata a colpi di atti di volontà o in uno stato di inconsapevolezza. Si dà spontaneamente, libera: è una "manifestazione", più che un oggetto; è "l'attività dell'assoluto", e non più una scelta o un'opzione soggettivistica, personalistica, egoica.

 

Chen-Huei


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lunedì 3 marzo 2025

Sorella Povertà


 

Pubblichiamo l'estratto di un Insegnamento offerto da Taigô Sensei durante la Pratica Zen.

Mi viene in mente l’esempio del nostro fratello e Maestro Francesco d’Assisi.

Era estremamente radicale nel modo in cui ha voluto vivere imitando Gesù, era radicale, non facile né da comprendere né da seguire, non faceva sconti a nessuno; andando oltre l’immagine addomesticata che ci è stata trasmessa.

Francesco con la sua lieve, delicata presenza, era di un’energia spaventosa che scuoteva le radici della vita di chi lo incontrava, come succedeva a chi incontrava Cristo, o il Buddha.

Una delle cose sulle quali Francesco era totalmente radicale, e non scendeva a nessun compromesso, era la povertà. Sorella Povertà, che riteneva la condizione essenziale, la prima condizione per i compagni della comunità che si era riunita intorno a lui. Anche questa idea di povertà è stata addomesticata perché è spesso confusa soltanto con la rinuncia a beni materiali.

Nel momento in cui nella piazza di Assisi Francesco ha restituito al padre i suoi abiti ed i pochi soldi che aveva con se, si è interpretato ‘addomesticando’ questo potente gesto con una rinuncia ai beni materiali.
In realtà quel momento segnava l’Ordinazione di Francesco, non c’è stato bisogno di un’istituzione che gli riconoscesse con un diploma la sua Ordinazione.
Francesco si è ordinato il giorno in cui ha restituito gli abiti al padre … ed ha scelto la sua vita.

È lo stesso gesto che fa il monaco Zen quando viene ordinato prosternandosi di fronte alla stele che rappresenta la sua famiglia. Restituisce i suoi abiti ed indossa il Kesa. Questo  significa riscoprire il legame familiare con un’altra profondità, un altro registro, una maturità che non sia quella della dipendenza.

La povertà di Francesco non era il rinunciare a qualcosa con sacrificio, ma era la gioia di aver compreso che non si aveva bisogno di nulla, la gioia di aver tranciato gli attaccamenti che non poteva che esprimersi con una vita semplice, sobria.

Dante rappresenta la lupa di Francesco come l’immagine del pericolo che lui ha domato. I pericolo dell’inseguire l’attaccamento, l’avidità; il lupo che è dentro di noi ingordo ed avido di tutto, anche di amore, quell’amore che viene soffocato dall’avidità.
La scelta consapevole di non voler più accumulare per sé stessi ma vivere con un abito ed una ciotola.

Su questo Francesco era radicale; un giorno trovandosi a Bologna dove si era costituita una piccola comunità di frati che seguivano la sua “regola” andò a fargli visita e si accorse che questi frati avevano costruito un edificio in cui vivevano, in cui avevano anche ospitato malati e bisognosi … si adirò furiosamente, cacciò fuori tutti, compresi i malati. Intimò ai suoi frati di andare per il mondo: “non dovete fermarvi, dovete servire muovendovi senza avere una casa fissa”.

Pensate quanto questo sia vicino all’esempio del Buddha … non dovete fermarvi, esortava il Buddha i suoi discepoli. Ogni giorno dovevano essere in un luogo diverso ad elemosinare il pane quotidiano senza conservare nulla per il giorno dopo.
Francesco sapeva che il fermarsi, l’attaccarsi, avrebbe corrotto la vita e la pratica dei suoi monaci.

Vedete quante coincidenze con l’attualità della pratica religiosa … 

La povertà di Francesco era una scelta, scelta di vivere sobriamente sapendo che nulla manca, senza alcun bisogno di accumulare … d’altronde lui giocava a Cristo, imitava Cristo e Cristo lo aveva detto chiaramente: non c’è bisogno che vi affanniate, ogni giorno ha il suo affanno, ma guardate gli uccelli nel cielo come sono splendidamente rivestiti senza dover cucire, non gli manca nulla, perché pensate che a voi possa mancare qualcosa ?

Anche un povero può essere avido e affamato di desiderio, o rabbioso perché magari ha perso i suoi beni giocandoli a carte, ma questa non è la povertà di Francesco.

La povertà di Francesco e del Buddha è scoprire la propria pienezza ed esserne appagati e soddisfatti. E’ poter dare a pieni mani perché si è talmente ricchi che non si manca di nulla e si può offrire tutto agli altri. Ogni giorno svegliandosi, Francesco decideva quella vita.

Sawaki Roshi diceva: “Se voi anche per un momento siete capaci di rinunciare ad una bella casa o ad un cibo delizioso avrete offerto un grande dono a tutta l’umanità”. Pensate quanto attuali siano queste parole, quanto vere …

Ci troviamo oggi nella condizione di essere vicini all’annientamento della razza umana a causa della nostra avidità. È tutto lì. Tutti i problemi che viviamo, da quelli politici a quelli di vita quotidiana, derivano quasi esclusivamente dalla nostra avidità.

Anche se non arrivando alla scelta radicale di Francesco, diventiamo consapevoli di questo rivoluzionando un po’ la nostra vita come lo Zen suggerisce di fare, perché se noi non abbiamo capito questo dello Zen non ha nessun senso sedere in Zazen.
Se lo Zazen non è alla radice delle nostre scelte, se non ci fa diventare più sobri, più attenti a quello che tocchiamo, all’acqua con cui ci laviamo al mattino, agli abiti che indossiamo, non ha nessun senso sedere in Zazen e non abbiamo capito nulla dello Zazen.

Paradossalmente si può anche vivere una vita agiata e non essere avidi come si può essere privi di ogni mezzo di sostentamento e rimanere avidi. Dogen Zenji aveva una famiglia ricca e ha scelto di vivere una vita sobria, Francesco altrettanto, il Buddha era figlio di un Re…

Quindi noi possiamo cominciare ad essere più sobri, più attenti alla piccole cose; non una goccia d’acqua va sprecata, non un chicco di riso. Il modo in cui lavoriamo, in cui offriamo il nostro servizio nel lavoro, può essere improntato a questa consapevolezza. Questo è il valore della pratica religiosa in generale.


© Tora Kan Dōjō


















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sabato 8 febbraio 2025

La vera religione non addomestica gli uomini

 


L'educazione e la pratica religiosa non possono essere concepite solo con il "dare dei begli esempi, edificanti" imporre dei precetti morali.

Si deve insegnare il coraggio della responsabilità e della propria coscienza.

Oggi, 425 anni fa, veniva bruciato Giordano Bruno, un uomo di grande sapienza e spirito religioso che venne ucciso da chi ritenne che non stesse dando un bell'esempio.

L’8 Febbraio del 1600 Giordano Bruno, al cospetto dei Cardinali inquisitori e dei Consultori, è costretto ad ascoltare inginocchiato la sentenza di condanna a morte per rogo; si alza e ai giudici indirizza la storica frase: “Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam” (“Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell’ascoltarla”) poi la sua bocca fu chiusa per sempre e dato alle fiamme.

L'uomo, per essere uomo, quando la sua coscienza glielo impone ha necessità di fare cose che possono essere considerate scandalose e di 'cattivo esempio' dal potere e dalla massa, al punto da mettere in gioco la sua stessa vita.

I veri religiosi sono sempre stati degli anarchici rivoluzionari, niente a che vedere con dei pretini consolatori e mestieranti (cattolici o buddhisti non fa differenza).

La religione e l'educazione che si limita a dire alle persone : 'state buoni' è solo uno strumento del potere (vedi storia della Chiesa Cattolica e in ambito Buddhista la storia della Sôtô shu...).

Se la religione e l'educazione si riducono a questo hanno mancato il loro scopo, sono andate in tut'altra direzione.

Anche le grandi trasformazioni sono dovute ad un risveglio della nostra coscienza. Le trasformazioni sociali etc... Non sono semplicemente fatti oggettivi. C'è una continuità tra la nostra coscienza e la realtà.

"...perchè è proprio nelle zone segrete della coscienza, attraverso l'oscura dialettica degli ideali e delle passioni, che si elabora (addirittura) il destino del mondo e le forze nuove che fanno crollare gli Imperi sono quelle stesse che ogni uomo affronta nelle tenebre del suo cuore complice."  Daniel Rops

Paolo Taigō Spongia


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giovedì 6 febbraio 2025

La Vita come Pratica

 

Il monaco responsabile della sveglia a Fudenji


Pubblichiamo l'estratto di un Insegnamento offerto da Taigô Sensei durante la Pratica Zen.

Nel ritmo tradizionale di un Dōjō Zen, che sia un tempio o meno, la giornata inizia con lo Zazen della notte. Lo Zazen della sera, prima del sonno, e lo Zazen dell’alba vanno considerati come una pratica ininterrotta, quindi anche durante il sonno stiamo praticando, anche durante il sonno continua Zazen.

Chi ha l’incarico la mattina di dare la sveglia ‘shin rei’, che si può tradurre con: ‘sollevare lo spirito’, si alza una ventina di minuti abbondanti prima degli altri, accende la candela nel Dōjō, offre l’acqua sull’altare, offre l’incenso nei bagni che i monaci per la rapida abluzione del mattino, offre l’incenso sull’altare del Dōjō, si prosterna, fa sanpai, e poi percorre tutti i locali del tempio correndo e scampanando con una campanella fino a tornare nel Dōjō e prosternarsi di nuovo all’altare. A quel punto suona il primo colpo di moppan.

I monaci appena sentono lo scampanellio della sveglia si alzano immediatamente senza un secondo di esitazione, ripiegano le loro coperte e le ripongono, si vestono rapidamente e vanno nei bagni. La rapida abluzione del mattino è solo una pratica purificatoria, si purificano i sensi, occhi, orecchie, bocca con l’acqua recitando delle strofe che ci ricordano che ogni nostra azione deve essere a beneficio di tutte le esistenze.

Si lavano gli occhi, per avere degli occhi lucidi, chiari, trasparenti per guardare il mondo con occhi limpidi e puliti perché supportino la Retta Visione. Si lavano i denti perché si sviluppi in noi ‘il dente-occhio della saggezza che recide ogni illusione’. Si sciacqua la bocca per avere una bocca pura che possa esprimere l’amore del Buddha nelle nostre parole. Si sciacquano le orecchie per essere disposti ad un ascolto profondo e puro…
Poi ci si reca immediatamente nel Dōjō, e si siede in Zazen.
Dal momento dello scampanellio della sveglia al trovarci seduti in Zazen sono passati circa 8/9 minuti.

Può sembrare uno stile un po' militare, ma è molto efficace a scuoterci dalle nostre illusioni, dalle nostre resistenze, perché ci toglie la possibilità di rimanere intrappolati nel pensiero e di esitare. L’esitazione è una malattia mortale che ci fa bruciare la nostra vita e perdere preziose e irripetibili occasioni.

La nostra Pratica non inizia dunque quando mettiamo i glutei sullo zafu, è iniziata la sera prima, quando ci organizziamo la giornata, i nostri impegni, per recarci al Dōjō, quando prepariamo i nostri abiti e andando indietro fino ad ancora prima della nascita dei nostri genitori, quindi non è una questione di sveglie che squillino o meno. Dobbiamo capire bene questo punto altrimenti la pratica Zen diventa uno dei tanti ritagli del nostro tempo e non ha nessun senso né efficacia.

Noi non abbiamo l’occasione durante la pratica ordinaria settimanale di vivere questo tipo di esperienza profondamente coinvolgente e in qualche modo disorientante rispetto le nostre abitudini che spesso sono troppo ‘accondiscendenti’ con noi stessi, quindi dobbiamo essere ancora più maturi per certi versi. Quando facciamo l’esperienza della Sesshin (il ritiro intensivo che coinvolge le 24 ore con la pratica per diversi giorni) siamo in qualche modo facilitati perché si tratta di scegliere, non di obbedire.

La Pratica deve essere una scelta matura, dev’essere decisione non una coazione a ripetere, si deve ripetere-rinnovando.

Ogni mattina che abbiamo la fortuna di svegliarci dobbiamo decidere come vogliamo vivere la nostra vita e non è mai una decisione presa una volta per tutte; per questo ogni mattino indossiamo il Kesa e recitiamo le strofe come il giorno che l’abbiamo indossato la prima volta. Per ricordarci che si riparte sempre da 0, dal Vuoto.

Ogni giorno indossiamo la vita per la prima volta e capite che se diventiamo consapevoli di questo il nostro risveglio ha tutto un altro significato. Non ha niente a che vedere con il doversi alzare svogliatamente per subire un’altra giornata.
Deve essere un’espressione di una scelta di totale libertà.


© Tora Kan Dōjō


















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