Assumere l’immobilità
Quando sedete in Zazen,
non dimenticate alcune operazioni importanti: il saluto verso lo zafu è rivolto
alle persone che siedono accanto a noi, quello verso il centro alle persone che
si siedono di fronte. La rotazione in senso orario è altrettanto importante.
Sedere non significa appoggiare il culo sullo zafu, ma la zona perineale. Si
dice in questo caso che l’ano guarda il sole, sorride al cielo. E’ preferibile
la posizione del loto completo o tutt’al più il mezzo loto. Accostate subito le
mani all’addome. Da questo momento bisogna armonizzare il corpo con la mente. Come?
Con il respiro. S’inspira e si espira la prima volta in modo da portare la
forza dell’espiro nell’addome. Una volta dato fondo all’espiro si inizia ad
oscillare, facendo partire il movimento dalle anche. Il corpo si stabilizza
sulla verticalità e siete in Zazen. Bisogna sedere immobili: l’immobilità è
assunta con una certa gradualità. Se fosse possibile, prima di sedere, dovreste
lavarvi mani, faccia e piedi. Lo Zazen non è una tecnica di meditazione, è
entrare in uno stato in cui finalizzazione e funzionalizzazione vanno
abbandonate naturalmente: non si fa Zazen per qualcosa o per qualcuno, neanche
per voi stessi. Questo vi richiama in termini di corporeità. Quando siete
veramente seduti non sapete di essere seduti, tuttavia non avete perso
coscienza.
Il respiro
Sedete in Zazen con
ferma determinazione: c’è comunque un ampio spazio per una sottile e leggera
flessibilità, adattabilità. Così, quando si respira, non si può solo inspirare
e solo espirare, ma inspiro ed espiro si alternano. Inspirando, vedrete che
basterà un breve e semplice inspiro. Comincerete a espirare ed inspirare
diffondendo salvezza per gli altri. Buddha per me inspira. Buddha per gli altri
espira. Il vostro espiro si prolunga come mai l’avreste immaginato, senza
fatica. Da qui un nuovo breve e pieno inspiro di Buddha per me. Concentrazione –
espansione. È il respiro dell’universo, spirito universale, santo. Respira, ma
nessuno sa da dove il respiro viene e dove va. Questo è l’inizio vero dello
Zazen e il suo termine. Hotsu-bodaishin, il risvegliarsi dello spirito, Bodhicitta.
Il momento di questo Risveglio e un momento di pratica, di realizzazione, di
compassione, di liberazione.
Pensare con l’addome
Volete- vi bene
Solo all’inizio occorre
seguire in modo molto minuzioso. Alcuni in breve capiscono, per altri molti
anni sono pochi. Comunque non è uno sforzo atletico. Con questo corpo sediamo
giocando un gioco infinito le cui regole sono solo indicative: schiena dritta,
gambe incrociate, mento rientrato, sguardo abbassato, respiro regolare. L’importante
è volersi bene, con tutto il calore della vostra viva presenza. Anche per il
kyosaku esistono indicazioni generiche, ma lo spirito del kyosaku è quello dello
spaventapasseri che immobile, inutile, inerte sorveglia il campo seminato,
svolgendo tuttavia la sua funzione. Questo è essere concentrati: pensare sì, ma
non rimanere impigliati nelle proprie categorie. La vita del Dojo, la postura
di Zazen sono vita e postura sublimi, confrontati alla morte istante per
istante. Basta guardare alla morte decisamente per trovarsi in un lago di tranquillità:
è Zazen, continuare a passare attraverso. Quindi il Dojo è vivo, un polmone che
respira, ed è vicino alla strada. Chi porta il kyosaku, come chi siede in
Zazen, è come un guerriero fieramente installato sulla sua cavalcatura. Inutile
dirlo ai miserabili uomini di oggi, che guardano il marciapiede di fuori. Ma se
una sola volta lo fate, se con vigore sedete in Zazen, come come la tigre che
entra nella grotta della montagna, come il drago che rientra nell’acqua:
ritrovate la vostra vita originale. Sono immagini che usa il Maestro Dogen. In
questa pratica imparate a concentrarvi sul corpo, sui punti importanti della
postura: la coscienza vien da sé. L’importante è sedere insieme influenzandosi
reciprocamente, affrontando la grande avventura per questa Via. Solo così
riusciremo veramente a capire che la nostra coscienza non è limitata al
pensiero.
Dipendenza,
indipendenza, inter-dipendenza
Qualcuno fa fatica ad
incrociare le gambe: non è un problema solo fisico. Vi invito a camminare senza
sbattere le gambe contro l’abito: concentratevi, controllate il corpo,
restituitegli libertà. Caviglie, ginocchia, dita dei piedi possono muoversi
liberi, non come blocchi unici. Per un attimo, pensate alle vostre mani: potete
avvertire una grande ricchezza di articolazioni, cinque più cinque dita che
interagiscono fra loro in modo complesso. Se vi concentrate adeguatamente sulle
mani vi accorgerete che la postura cambia. Le mani sono l’immagine di tutta la
postura. Il mudra influenza tutto il corpo. Se lasciate che ogni dito sia se
stesso, che non sia il vostro dito, questo interagisce liberamente. Non solo lo
Zazen dei pollici diventa lo Zazen del corpo, ma lo Zazen della schiena diventa
lo Zazen delle montagne e delle pianure. Dovete capire questo punto in termini
di dipendenza e indipendenza, quindi di interdipendenza, intesa non solo come
di reciproca dipendenza. Lasciate che ogni parte del corpo faccia il proprio
Zazen, abbia la propria difficoltà e non la vostra…
Appassionatamente
La vostra
preoccupazione non deve essere quella di irrigidire il corpo. È più complesso. A
partire dalle istruzioni che ricevete, dovete prodigarvi appassionatamente a
trovare il vostro equilibrio fisico e spirituale. In queste condizioni vi
sentirete rigenerati. È come se la circolazione del sangue, l’energia nervosa e
tutto il resto fluissero meglio. Chiudete
naturalmente la bocca, accostate i denti, appoggiate la lingua al palato
superiore in modo da rilassare il viso. È importante sedere a lungo senza
fatica, direi anche con un sentimento di rigenerazione. Anche se non è questo
il fine, può anche avvenire. Così il pensiero si fa profondo, ritmato, ma
inconsciamente. Questi sono i primi sintomi di una coscienza che sia inconsciamente creativa, libera, non ripetitiva. Vedete, così la nostra vita
biologica non dipende da noi- o meglio, dipende in parte da noi, ma il
risultato di un’azione complessissima, remotissima – così anche spiritualmente
siamo discendenza, ed è importante che tutto questo sia in una qualche misura
consapevole in voi.
Kin- hin, meditazione
camminando
Tenete le mani
leggermente discoste dal petto, le dita costantemente serrate, i gomiti un po’
alzati, in modo che con i polsi costituiscano una linea orizzontale
completamente parallela al terreno. La parte superiore, dalla cintola in su,
deve essere ben leggera, proiettata verso l’alto, la parte dalla cintola in giù
ben pesante, quasi affondasse nel terreno. Il vostro corpo deve guadagnare in
stabilità. Il resto del corpo, specialmente la testa, è come se sorreggesse una
pila di libri, un cesto, qualcosa da mantenere in equilibrio. Capite che l’atteggiamento
è quello atto a rettificarla vostra postura in generale. Ispirandovi a questo
nuovo equilibrio , cercate di riprodurlo ogni volta che potete: passeggiando,
lavorando, muovendovi in casa… Consapevoli dei vostri passi anche più veloci,
consapevoli del vostro respiro, del vostro sguardo. L’importante è che per un
periodo considerevolmente lungo riprendiate l’abitudine a guardare dritto
davanti a voi. Se poi tocca guardare di lato, allora anche il corpo dovrà
essere girato per far fronte a ciò che sta davanti a noi, ciò che ci interessa.
La pratica suppone esperienza, ma se uno non ha capito l’esperienza della pratica,
può sedere da molto tempo, ma senza alcuna progressione.
F. Taiten Guareschi Roshi
‘Una Parodia che
smaschera l’io’
‘La Voce che Ascolta’ edizioni
© Tora Kan Dōjō
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