Nella stanza della meditazione, impariamo insieme a
essere qui.
Ci vuole del tempo e qualche indicazione perché ci si risvegli a dove è il corpo.
Spesso, le persone hanno un concetto della meditazione come di qualcosa che si fa a occhi chiusi. Entrano nella stanza e subito chiudono gli occhi. Un po’ come facevo io con la porta. Chiudere gli occhi fa sí entrare piú direttamente in contatto con quel che scorre in noi, ci raccoglie, ma, come sempre, non deve essere un gesto automatico e non si tratta di chiudere fuori il mondo. Spesso, invito le persone ad arrivare nella stanza, lí dove il corpo è già seduto, a raggiungerlo. E a osservare la stanza, che luce c’è, che atmosfera, come percepiamo gli altri seduti con noi, gli oggetti nella stanza e lo spazio vuoto. Niente di speciale, è il primissimo passo per coltivare quella che nel percorso di risveglio del Buddha si chiama consapevolezza. Essere tutti lí dove siamo. Quando siamo nel luogo, quando siamo qui, possiamo essere ora, esserci contemporanei e non antenati o posteri. Ascoltare come stiamo, assaporarlo. La stanza con i suoi muri, il suo pavimento, la sua aria vuota, ci fa da contenitore. Gradualmente, col tempo, man mano che ci apriamo a essere dove è il corpo e a sentire come stiamo in quel momento, il qui si dilata, diventa immenso, un luogo in cui la presenza dello spazio vuoto si estende fino a farci assaporare la spaziosità fondamentale in cui abitiamo, non solo la spaziosità della coscienza ma quella dell’universo stesso. E l’adesso non è piú il contingente, il senso del presente si amplia nel sapore della pura, nuda presenza.
Ci vuole del tempo e qualche indicazione perché ci si risvegli a dove è il corpo.
Spesso, le persone hanno un concetto della meditazione come di qualcosa che si fa a occhi chiusi. Entrano nella stanza e subito chiudono gli occhi. Un po’ come facevo io con la porta. Chiudere gli occhi fa sí entrare piú direttamente in contatto con quel che scorre in noi, ci raccoglie, ma, come sempre, non deve essere un gesto automatico e non si tratta di chiudere fuori il mondo. Spesso, invito le persone ad arrivare nella stanza, lí dove il corpo è già seduto, a raggiungerlo. E a osservare la stanza, che luce c’è, che atmosfera, come percepiamo gli altri seduti con noi, gli oggetti nella stanza e lo spazio vuoto. Niente di speciale, è il primissimo passo per coltivare quella che nel percorso di risveglio del Buddha si chiama consapevolezza. Essere tutti lí dove siamo. Quando siamo nel luogo, quando siamo qui, possiamo essere ora, esserci contemporanei e non antenati o posteri. Ascoltare come stiamo, assaporarlo. La stanza con i suoi muri, il suo pavimento, la sua aria vuota, ci fa da contenitore. Gradualmente, col tempo, man mano che ci apriamo a essere dove è il corpo e a sentire come stiamo in quel momento, il qui si dilata, diventa immenso, un luogo in cui la presenza dello spazio vuoto si estende fino a farci assaporare la spaziosità fondamentale in cui abitiamo, non solo la spaziosità della coscienza ma quella dell’universo stesso. E l’adesso non è piú il contingente, il senso del presente si amplia nel sapore della pura, nuda presenza.
tratto da: Candiani, Chandra Livia. Il silenzio è cosa viva:
L'arte della meditazione. Einaudi.
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© Tora Kan Dōjō
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