"lo ho quel che ho donato", diceva Gabriele D'Annunzio, sfidando il senso comune.
Sembra, infatti, che quando fate un regalo a qualcuno vi priviate di qualcosa - magari della somma di denaro che avreste potuto spendere per voi, e che invece avete utilizzato per acquistare ciò che pensate sia gradito ad altri.
Anzi, il valore del dono appare tanto maggiore quanto più ingente è la "perdita".
Antiche culture hanno regolato cosi complessi rapporti sociali: più si donava, più cresceva il prestigio del donatore talvolta con vere e proprie gare che potevano finire col dilapidare le sostanze di coloro che erano impegnati in questa contesa (….)
Dunque, donare è difficile; ma proprio per questo saper intuire il dono giusto al momento giusto è un'arte tanto sottile quanto essenziale, perché si instauri una relazione tra individui altrimenti condannati a restare delle "isole" senza comunicazione reciproca.
Questa è anche la ragione per cui il dono è così legato alla festa; anzi il dono è già una festa.
Non c'è solo il comune regalo: talvolta, è un dono anche un sorso d'acqua, come quello che nel Vangelo una donna offre a Gesù assetato. E un medico dona la salute al paziente, una madre la vita al figlio, un Dio la sua "alleanza" a un individuo, a un popolo o forse all'intero genere umano.
Il poeta coglieva nel segno. Quello che uno ha donato gli resta, perché la generosità è l'unica cosa di cui siamo veramente proprietari.
Giulio Giorello
Ordinario di Filosofia della Scienza
© Tora Kan Dōjō
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