sabato 15 ottobre 2022

Il Maestro è un funambolo dell'educazione


Alberto Manzi

L'insegnante, come viene descritto da Magris, appare come un "funambolo" sospeso su un filo, che riesce a mantenere un difficile equilibrio aiutato da un bilanciere alle cui estremità, come contrappesi, ci sono: l'obbligo di rispettare le regole e la capacità di saperle infrangere. 

La vera difficoltà per il funambolo, come per noi che viviamo la nostra normale quotidianità, non è quella di sollevarsi dal suolo e restare in equilibrio, ma quella di mantenere vivo il desiderio di avanzare, nonostante le difficoltà e il pericolo, con la certezza di giungere all'altra estremità del filo teso. 

Un grande funambolo dell'educazione è stato di certo il maestro Alberto Manzi - famoso per aver insegnato a leggere e scrivere, negli anni Sessanta del secolo scorso, a milioni di italiani attraverso la trasmissione televisiva "Non è mai troppo tardi" - che in modo poco ortodosso riuscì a conquistarsi la stima e l'affetto dei suoi allievi del carcere minorile "Aristide Gabelli" di Roma, dove iniziò la sua attività di insegnante nei primi anni del secondo dopo guerra. Nella sua ultima intervista, rilasciata a Roberto Farnè, Manzi racconta questa sua esperienza che lo costrinse a progettare un modo di ver so di fare scuola. 

<<Nel carcere minorile di allora vigeva ancora il regolamento di Pio IX. Non c'era un'aula, non c'erano banchi, non c'erano sedie. C'era un'enorme sala dove vivevano questi 94 ragazzi. [...] C'erano stati quattro maestri prima di me [...]. Avevo poco più di 22 anni e potevo sembrare un ragazzo come loro, anche perché dimostravo meno della mia età. Siccome mi vergognavo di fare scuola davanti alle guardie, chiesi loro di aspettare fuori e loro mi risposero: "No, non è possibile, altrimenti la picchiano!" Allora io dissi: "Se mi picchiano, io strillo e voi aprite", e così mi chiusero dentro. All'inizio i ragazzi mi avevano preso per uno di loro, e qualcuno mi chiedeva: “perché ti hanno pizzicato?" e io rispondevo. "E a te perché?" Così in poco più di un'ora, sapevo a sommi capi la storia di ciascuno; alla fine un ragazzo disse: "Sto maestro quando arriva?" e un altro: "Quando arriva ci pensiamo noi, gli facciamo...". A un certo punto ho detto che il maestro ero io e subito qualcuno di loro ha detto: "Sai che facciamo? Tu ti metti là in fondo, ti porti il giornale, se fumi ti porti le sigarette e noi per quattro ore stiamo tranquilli nessuno ci rompe le scatole e avremo quattro ore di libertà". , La mia risposta fu: "Pure a me andrebbe bene, ma lo Stato mi paga, poco, però mi paga e io devo fare scuola. Perciò io faccio scuola e voi dovete cercare di..." "Allora te la giochi" mi interrompe uno dei ragazzi e mi indica il loro capo, che si chiamava Oscar. "Ce la giochiamo - dice Oscar-se perdo io, tu farai scuola, se ci riesci. Se vinco io, tu ti metti lì nell'angoletto". A quel punto ho detto: "Vabbè, tira fuori le carte...". "Le carte?! Qui a cazzotti si gioca". Io avevo fatto quattro anni in marina, per cui avevo imparato... mi è di spiaciuto, ma alla fine l'ho picchiato".

Alberto Manzi per affermare un principio di autorità, che potesse per mettere di realizzare un percorso educativo, rischia tutto per tutto e accetta la sfida. É un modo primordiale di affermare il proprio ruolo, ma in quella circostanza era l'unico possibile. Battere il capo vuol dire diventare "il capo", ma vuol dire anche entrare in sintonia con gli allievi ed incominciare a conquistare la loro stima. L'educatore senza questi presupposti non può svolgere affatto il suo arduo compito. Per questa ragione il maestro di Judo che, come Manzi, è in grado di mostrare la sua supremazia sui propri allievi, è riconosciuto nel suo ruolo e per questa ragione può sperimentarsi anche sul versante educativo, come aveva fatto Kano con i suoi primi allievi quando aprì il suo primo dojo. Nel dojo l'autorità è riconosciuta subito ed è quella del maestro, che la esercita con autorevolezza, suscitando nei suoi allievi una particolare ammirazione, che diventa imitazione nei comportamenti e nel delineare i propri stili di vita. La pratica del Judo fin da piccoli contribuisce a che si affermi una socializzazione secondaria rispettosa dei ruoli e delle regole. Solo in questo modo è possibile una civile convivenza improntata sulla solidarietà e quindi sul reciproco aiuto, come ha sempre promosso in ogni occasione e nei suoi scritti il prof. Kano. 

Tratto da :’Dialoghi sul Judo’ di Giuseppe Tribuzio

Luni Editrice 2019

© Tora Kan Dōjō

www.iogkf.it

www.torakanzendojo.org









#karatedo #okinawagojuryu #artimarziali #torakandojo #torakan #taigospongia #iogkf  #karateantico #karatetradizionale #zen #zazen #zensoto #karate #artimarziali #budo #kenzenichinyo #bushido #dojo #taigosensei #gojuryu #karatedo #meditazione #buddhismo #kenzenichinyo #kenzenichinyoblog #taigokoninsensei #albertomanzi #insegnamento #maestro #educazione #giuseppetribuzio #judo #jigorokano






Nessun commento:

Posta un commento