Gasshuku Insegnanti IOGKF Italia - Marzo 2016 |
Riceviamo e volentieri pubblichiamo queste riflessioni di Emilio, Shidoin del Tora Kan Dojo.
Mi
è capitato in prima persona, e non è facile ammetterlo, di fallire una
prestazione, di non riuscire a rendere per quel che volevo. Probabilmente
perché davo alla prova un significato alto e volevo superarla ma nello stesso
tempo non ero all’altezza della prova stessa. E allora capita, a me è capitato,
di rifugiarsi nelle sicurezze, o di giustificarsi. Spalleggiati da pensieri del
tipo si, va bene non ho reso al massimo in questo contesto, ma la mia vita si
basa in fondo su altro, valuto il mio valore nell’impegno in famiglia, nelle
energie spese a lavoro, nelle mie vere passioni, nel volontariato,
nell’educazione ecc… Insomma ho fallito,
ma in realtà non mi cercate lì, io sono altrove. Un po’ come il professionista che si diletta nel tempo
libero di musica, e coltiva il sogno di suonare, e un po’ sogna e un po’ si
disillude, dicendo ma tanto è un hobby, nella mia vita professionale io sono un
grande. E che così facendo tradisce e sminuisce il sogno che pure segretamente
coltiva.
E
allora via la maschera. Lo dico in primo luogo a me stesso.
La
mia pratica marziale è cominciata tardi. Probabilmente non potrò ottenere
tecnicamente risultati che non siano quantificabili e misurabili poco più di
quelli di un hobbista. Ma d’altro canto come si può dire che l’impegno
quotidiano per anni, a casa, la pratica costante al dojo, il cercare di esserci
ad ogni evento, seminario, cena, gasshuku siano qualcosa che non importa? Che
io sono altrove? Quando ho cominciato, ma anche prima di cominciare,
l’attenzione al singolo gesto, l’attenzione all’attenzione, hanno fatto si che
il karate abbracciasse da subito ogni istante del mio vivere quotidiano, non
solo l’allenamento in senso stretto, ma come camminare, lavorare, crescere,
come rapportarsi agli altri. Posso ancora dire allora che se ho fallito una prova in
fondo non ero io, che io non ero quello?
Ero
quindi io l’altro giorno nella fase di laboratorio del Gasshuku insegnanti, per
la proposta tecnica da far eseguire a una classe immaginaria, lo “sbruffone
insicuro”, come mi ha definito un compagno di pratica. Era la prima volta che
mi trovavo in una situazione simile, sicuramente imbarazzato di fronte ai capo
istruttori, al Maestro, ai compagni anziani. Ma ho fallito, ero lì, non
altrove.
Questo
mi insegna che ho praterie davanti a me,
che ha senso quello che sto facendo, cercare di imparare da chi mi sta
avanti, che ho voglia di imparare, anche di imparare ad insegnare, che il
cammino per me è lungo, ma è sempre lo stesso, che nessuna meta è stata
raggiunta, ma nessun sogno è stato tradito, io sono lì, anche e soprattutto
perché ci tengo, è la mia passione e più non la nascondo.
© Tora Kan Dōjō
© Tora Kan Dōjō
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