martedì 15 novembre 2011

La Verità...esperienza diretta di ogni attimo

 
Pubblichiamo l'articolo che ci ha inviato Roberto Taihō Tavella, in risposta all' articolo 'La Verità è una Terra senza Sentieri' pubblicato il 3 Novembre 2011 sul nostro Blog, che riportava integralmente il discorso con cui Krishnamurti sciolse l’Ordine della Stella.
Roberto Taihō Sensei è stato per anni condiscepolo di Paolo Taigō Sensei nel Cammino dello Zen e, oggi, la loro amicizia ed esperienza si sta trasformando in un’occasione di collaborazione e condivisione che sta aprendo nuove, interessanti, prospettive.






Caro Paolo Taigō, ho letto con emozione la dichiarazione pronunciata da Krishnamurti per sciogliere, nell’agosto del 1929, l’Ordine della Stella, che appare sul tuo blog.

Trovo che le sue parole, i motivi che sostengono la sua decisione siano esemplari e che spingano alla riflessione ancor di più le persone che,come tu ed io , ad un certo punto della loro vita, hanno inteso entrare a far parte di un Ordine religioso, nel nostro caso il Sōtō Zen, che, come tutto il Buddhismo, fa della dinamica maestro-discepolo una delle basi del suo tramandamento, della tradizione.
Alla luce di questo, se posso dare un contributo, vorrei mettere in valore l’importanza di un approccio critico, anche nei confronti di un impianto come quello della religione organizzata, nei confronti del quale l’esercizio della critica, tra entusiasmi superficiali e diffidenze precostituite, rischia spesso di apparire inadeguato.
La critica invece, come dice Paolo Napoli, introducendo e traducendo una conferenza sul tema, tenuta da Michel Foucault nel maggio ’78 alla Sorbona, “è una forma di vita che caratterizza l’autonomia etica di ogni individuo, il lavoro progettuale di un’esistenza. Sottratta alla rigidità del metodo, essa resta l’esperienza pratica in cui concepire l’esercizio della libertà,”
O, per dirla con Kant : “il nucleo originario della critica rinvia a quel fascio di rapporti in cui si intessono i problemi del potere, della verità e del soggetto”.
Problemi che mi sembrano centrali anche nelle parole di Krishnamurti; c’è il rapporto del soggetto con la verità, una verità manifesta nei suoi effetti di potere ed un potere coi suoi discorsi di verità.
Nel ripercorrere la storia dell’atteggiamento critico, Foucault segue un percorso che evidenzia come “la pastorale cristiana, o la Chiesa cristiana, nella sua attività precisamente e specificamente pastorale, ha sviluppato questa idea – singolare e completamente estranea alla cultura antica – secondo la quale ogni individuo, indipendentemente dall’età, dalla condizione, per tutta la vita e perfino nelle sue azioni più minute, deve essere governato e lasciarsi governare, vale a dire farsi dirigere verso la salvezza da qualcuno al quale sia legato da un rapporto globale e al tempo stesso particolareggiato, articolato, di obbedienza.
E quest’opera di conduzione alla salvezza in un rapporto di obbedienza a qualcuno deve avvenire nel rispetto di un triplice ordine di verità : verità intesa come dogma; verità perché questa direzione implica un certo modo di conoscere gli uomini in forma particolare e individualizzante; e infine verità perché questa direzione si dispiega come tecnica consapevole che richiede regole generali, conoscenze particolari, precetti, metodi d’esame, confessioni, colloqui ecc.
Dopo tutto non bisogna dimenticare che quel che per secoli nella Chiesa greca si è chiamato Technè Technôn e nella Chiesa romana Ars Artium, era proprio la direzione di coscienza, “l’arte di governare gli uomini”.
Arte di governare che nel tempo si espande e si laicizza, moltiplicandosi poi in diversi ambiti : come governare i bambini, come governare poveri e mendicanti, i diversi, una famiglia, una casa, come governare gli eserciti, i differenti gruppi, le città, gli Stati e, per tornare al tema del soggetto, come governare, ad esempio, il proprio corpo e il proprio spirito.
Se quindi il governo indica tutto un sistema attraverso il quale, all’interno di una pratica sociale o religiosa, si tratta di assoggettare gli individui mediante meccanismi di potere che si applicano a una verità, nasce l’esigenza di far nascere l’arte di non essere eccessivamente governati.
Per chi come noi, che teniamo all’Insegnamento di Buddha Shakyamuni , ha a cuore l’emancipazione dell’uomo, la verità non è qualcosa che si desidera, da possedere; è l’esperienza diretta di ogni attimo e pertanto non può essere utilizzata od essere organizzata da nessuno, comprese le Chiese e le loro gerarchie.
La libertà spirituale prevede lo svilupparsi di una certa autonomia dell’individuo, di modo che il suo rapporto con la verità non rappresenti più un rapporto di potere.
Il problema, se mai, diventa come possa quel soggetto, parte integrante della dinamica soggetto-verità-potere,  soggetto che si costituisce attraverso verità, come possa, dicevo,  essere semplicemente verità, salire come dice Krishnamurti verso di essa senza abbassarla alla propria verità, quella di voler essere, di voler esistere.
Aggiungo un altro aspetto critico che riguarda un europeo, bianco, occidentale che si rivolge come noi ad una tradizione giapponese, e che, oltre a risentire delle conseguenze della nostra storia che, come detto prima, per mano della Chiesa, poi in ambito sociale, ci modella ad essere governati, si trova ad avere a che fare con lo spirito di devozione che permea profondamente i rapporti gerarchici giapponesi e, massimamente, il rapporto maestro-discepolo.
Un rapporto che nelle situazioni d’origine e nei secoli è stato metabolizzato e digerito a dovere come cosa normale, mentre da noi a volte condotto in modo enfatico e drammatizzato rischia di esporsi a giochi di potere.
Considerando che “non vi è umanità senza società” (Henry Bergson), vista cioè la condizione di animale sociale dell’uomo, la società, la comunità è ambito privilegiato dove formare, educare (i Buddhisti prendono rifugio nel Buddha : il maestro – nel Dharma : la legge che governa tutto – nel Sangha : la comunità, quanto allargata è da vedere ..)
Se le religioni, i religiosi hanno a cuore le sorti dell’uomo, di quale uomo si tratta ?  Quello della propria famiglia, del proprio gruppo, della propria religione, della stessa nazione, schieramento, i cui interessi rischiano se non di confliggere, almeno di divergere tra loro e con altri gruppi, religioni, nazioni ecc. ?
La religione, come ogni altra cosa organizzata dagli uomini, con le sue regole, i suoi precetti, le sue verità, rischia di stabilire differenze, criteri, valutazioni che ancora una volta conferiscono realtà all’individuo che ne fa parte, ai suoi pensieri ed azioni.
Persino il rito, cioè l’azione, essenza della religione, sua prassi, ambito che dovrebbe trovarsi al riparo da qualunque atto di volontà e gioco di verità, viene coinvolto.
Abbiamo visto come in certa interpretazione del Buddhismo Zen, dove l’azione dovrebbe essere azione totale al punto da poter essere definita non-azione, possa accadere che si ricerchi prestigio personale da una performance che diviene quasi sportiva e dove  c’è chi è bravo e sa come si fa a dispetto di chi non sa o dove si approfitta di gerarchie di anzianità penalizzando la realizzazione delle persone.
Concludo con la mia certezza che uomini resi più autonomi dallo spirito critico del Fare Chiarezza (l’Aufklärung di Kant) siano i migliori per dare vita a comunità (di varie tipologie) non dominate da delle verità o da una verità, ma adatte a creare visioni e cercare di realizzarle.
Un abbraccio.
Roberto Taihō


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1 commento:

  1. Caro Roberto Taihō,
    ti ringrazio per il tuo interessantissimo commento che condivido e sul quale mi riservo di riflettere a fondo.
    Una prima considerazione che si affaccia alla mia mente è che l'Istituzione religiosa, in molti casi, diviene la macchina, la maschera, del Mago di OZ, nella quale si nasconde l'omino impaurito, mai guarito delle sue nevrosi e paure, per amplificare la propria voce e così pensare di acquisire 'potere' sugli altri.
    Cos'ha tutto questo a che vedere con l'esperienza religiosa ? con il Risveglio di Shakyamuni ?
    Paolo Taigō

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