“ Se il Cielo mi avesse concesso altri cinque anni,
sarei potuto diventare un vero pittore”.
Hokusai Katsushika
Dall’età di sei anni ho avuto la mania di disegnare la forma delle cose.
A 50 anni avevo prodotto un Universo di disegni.
Tutto quel che ho prodotto prima dell’età di settant’anni non è degno nemmeno di essere considerato.
A Settantatre ho imparato un po’ di più sulla reale struttura della natura, degli animali, piante, alberi, uccelli, pesci e insetti. Di conseguenza quando avrò ottant’anni, dovrei aver fatto ancora qualche progresso.
A novant’anni dovrei riuscire a penetrare il mistero delle cose; a cent’anni dovrei aver raggiunto con certezza uno stadio meraviglioso; e quando avrò 110 anni, ogni cosa che farò, fosse anche un punto o una linea, sarà viva.
Prego coloro che vivranno sufficientemente a lungo di vedere se non mantengo la mia parola.
Scritto all’età di 75 anni da me, una volta Hokusai, oggi Gwakyo Rojin, il vecchio pazzo per la pittura.
Commento di sensei Taigō:
Questo commovente scritto del grande Hokusai esprime alla perfezione il significato del carattere 忍 Nin, perseveranza, che è la chiave dell'esercizio e della Realizzazione che all'esercizio è indissolubilmente legata.
In questo scritto Hokusai non sta, come da una lettura superficiale potrebbe apparire, ‘prendendo tempo’, 'dilazionando lo sforzo' per raggiungere i traguardi della pratica, affatto.
Con le sue affermazioni sta dichiarando la sua totale dedizione alla pratica con l'umiltà e la determinazione che essa richiede.
Due anni prima della sua morte, il grande Spadaccino, Maestro Zen e Calligrafo Yamaoka Tesshu Sensei (1836/1888, 56 anni secondo il computo giapponese) annunciò di voler copiare tutto l'intero Canone Buddhista, un amico gli fece osservare: “ Anche se vivessi fino a cent’anni, non riuscireste che a copiarne metà, perché cominciare adesso ?”
“Come?” escalmò Tesshu Sensei; “quando lo avrò scritto tutto in stampatello voglio riscriverlo in corsivo !” (stampatello e corsivo traducono i termini per lo stile libero e formale della calligrafia Giapponese).
Quindi, indovinando i pensieri dell’amico: “No, non sono pazzo. Presto scambierò questo sacco di merda (ossia il corpo) con un altro, così sarò in grado di continuare il mio progetto. Presto o tardi, da qualche parte, lo finirò”.
(tratto da Muto Ryu di John Stevens)
Parimenti il monaco Zen Yokoyama Sodō, in uno scritto indirizzato a praticanti di Kendō, affermava:
“Nel buddismo l’impegno, lo sforzo, non è limitato a questa vita. Comprende la risoluzione di praticare per innumerevoli nascite e morti, per l’eternità. Anch’io devo avere la risolutezza di praticare in questo modo. Se sarò in grado di assumere questa risolutezza, un senso di pace trascendente sarà il risultato. Proprio perché questa mente in pace e il satori, la comprensione, sono uno, sono identici, non è questione di comprendere qualche cosa, di essere illuminati o risvegliati a qualche cosa, piuttosto è richiesta la risolutezza di praticare la Via di Buddha con il giusto impegno Se sarò in grado di vivere con questa saldezza dentro di me, io stesso sarò eterno. Ecco quindi che il satori, la mente e il cuore della pace, è diventare l’eternità: l’eternità universale senza limiti.”
Senza questa determinazione e perseveranza nessuna pratica arriverà ad essere davvero efficace nella nostra vita ma sarà solo un’altra, ulteriore distrazione, tra le tante che già mettiamo in atto per non incontrare noi stessi e affrontare la grande questione del Nascere e Morire.
Paolo Taigō Spongia
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