Voglio approfittare di questo giorno per condividere con voi una memoria intima e preziosa che continua ad orientare la mia vita.
Il 7 Dicembre del 1943 a Montelungo, nella Battaglia di Montecassino, moriva mio zio Alfredo, fratello di mia madre.
Bersagliere del 51° Battaglione, a 21 anni, fu il primo a cadere in quei terribili scontri, colpito da una scheggia di mortaio.
Il fratello di mio padre, zio Gianni, moriva invece a 16 anni, partito volontario nella X mas.
Quel che li ha accomunati è stato lo slancio e la sincerità con cui hanno vissuto la loro breve vita.
Non li ho mai conosciuti ma non passa giorno in cui non mi inchini alla loro memoria e mi interroghi se la mia vita e la mia azione siano degni del loro sacrificio.
Non passa giorno in cui non riservi un momento di raccoglimento alla memoria di tutti coloro che hanno fatto sì con la loro vita che la mia vita nascesse e non c'è esistenza verso cui non mi senta debitore.
Così voglio farvi dono, sperando che sia per tutti occasione di riflessione ed esortazione, di un documento che custodisco gelosamente e che mi è stato donato da mia madre.
Si tratta del bigliettino che fecero stampare e distribuire i miei nonni, i genitori di Alfredo, dopo essere tornati dal terribile pellegrinaggio per raccogliere le spoglie di Alfredo nei giorni successivi alla sua morte.
Le loro parole (cliccate sull'immagine per leggerle ingrandite) piene di dignità e fiducia offrono il sacrificio del loro figlio e fratello sull'altare della 'nuova Italia'. Che grande responsabilità e monito ci vengono dalle loro parole.
Non dimentichiamo...
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Quella che segue è la splendida e drammatica cronaca, scritta dal reduce Leone Orioli, di quei terribili momenti. Racconta anche la morte di Alfredo e di tanti, troppi altri...
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I BERSAGLIERI A MONTELUNGO
La terza compagnia del cinquantunesimo bersaglieri AUC si attestò a Mignano, sul fronte di Cassino, il giorno 7 dicembre 1943.
Il trasferimento al fronte della ‘terza moto’ era stato difficilissimo e, in alcuni casi, traumatico, con le motociclette spesso bloccate dallo strato di fango, altissimo, che copriva le strade. Le cadute avevano causato alcuni feriti, che non erano quindi più presenti nell’organico della nostra ‘terza’.
Il capitano Enea Castelli, bolognese, comandava la compagnia.
Il cinquantunesimo, nella piana di Mignano, ai piedi di Montelungo, schierava la seconda e la prima compagnia nella vallata del ‘Peccia’, sul fianco ovest del monte: la terza compagnia era appostata a est di Montelungo, su Monte Rotondo, a lato della Casilina.
Nel corso della giornata del 7 dicembre i tedeschi presero certamente buona nota delle nostre posizioni: la notte dal sette all’otto la terza fu presa di mira dai mortai tedeschi, che martellarono a lungo le pendici boscose di Monte Rotondo.
Morì Alfredo Aguzzi, simpatico amico romano che, nel corso di passate, sciocche, innocenti battute scherzose, ridendo, ribatteva …. no… no caro…. io non moro in guerra … Povero, caro Alfredo, fu il primo a cadere a Montelungo.
Altri furono feriti: ricordo Deni (Pasquale) …. una scheggia di mortaio lo colpì a un piede, perforò lo scarpone e restò conficcata tra suola e carne: non riuscivamo a togliere lo scarpone …. Riccardi gli estrasse la scheggia con le pinze, tra le urla di dolore di Deni e i commenti dell’italiano stentato di Riccardi - il sergente Giuseppe Riccardi, figlio di italiani all’estero, che cadde da valoroso a Iesi, nel 1944, medaglia d’oro al valor militare.
Così passò la notte.
Il mattino, otto dicembre 1943, la seconda compagnia attaccò nella vallata del Peccia, e i fanti del ‘sessantasettesimo’ sul monte, partendo dalla quota 253, la prima delle vette di Montelungo.
Da Monte Rotondo, con la terza compagnia non ancora impegnata in combattimento, cercai di intuire l’andamento dell’attacco, ascoltando il crepitio delle armi: distinguevo nettamente il lento …ta…ta…ta… delle nostre mitragliatrici, e il rabbioso, sconcertante, rapidissimo …crrr …crrr …crrr … del mitragliatore tedesco:
L’avevo già quasi intuito dalla prepotenza del fuoco tedesco, ma arrivò puntuale l’ordine alla ‘terza’ di spostarsi velocemente a soccorso della seconda compagnia, a confermare che l’attacco era fallito.
Eravamo ancora ragazzi, e la tragedia si abbattè fulminea su di noi.
Nella fase di avvicinamento, ancora inconsapevole e inesperto, passai in piedi tra alcuni artiglieri americani che vidi stesi a terra con il fucile puntato: guardavano me sbalorditi, gli americani - diranno poi che i bersaglieri avanzavano incuranti del pericolo … in realtà non mi ero accorto che avevo già raggiunto la linea di fuoco, perché mitraglieri tedeschi, in contrattacco, erano entrati nel nostro schieramento.
Fortunatamente, con alcuni colpi del cannoncino anticarro da ‘47’, i bravi artiglieri di quel reparto avevano sventato l’incursione.
La terza giunse a ridosso del campo di battaglia : … tornavano i pochi superstiti della seconda compagnia …sorreggendosi a vicenda … feriti … storditi … vacillanti… lo sguardo allucinato …
Alle nostre angosciose domande … frasi spezzate … e i nomi dei morti …
Gino (Tambalo) generoso, allegro veronese, che mi chiamava ‘testa da caposquadra’ …Carlo (Focaccia) romagnolo come me, compagno di scuola alle Magistrali di Forlimpopoli … Mario (Cardone) atleta velocissimo, imbattibile avversario nelle gare tra compagnie … e poi … Biancofiore … Buonaccorsi … Corvino … e i ‘bocia diciottenni’ … Bornaghi … Luraschi … Morelli … Santi … Sibilia … cinque dei nove ragazzi della Accademia Navale di Brindisi che si erano arruolati volontari nel ‘cinquantunesimo’ …. e gli altri …. tanti altri ….
L’inflessibile logica militare ordina il contrattacco: ho imparato allora che cose ritenute impossibili …. si fanno …. si fanno …. sia pure in una atmosfera irreale, allucinante.
Ci avviamo in un canalone fangoso: i tedeschi cercano di fermare la ‘terza’, scatenando un intenso fuoco di sbarramento.
Le bombe di mortaio cadono a centinaia sulle due sponde del canalone : se una lo centra siamo spacciati: sento che il compagno che è davanti a me è scosso da un tremito violento – gli faccio coraggio, per farlo a me stesso.
Vincere il terrore …. stringere i denti …. non impazzire quando a ogni sibilo …. e sono centinaia …. dici a te stesso …. questa è la mia … questa è la mia …. e i ‘minuti’ sono ‘ore’ …. mezz’ora sotto il bombardamento …. è un tempo infinito ….è questo il vero, sublime valore del combattente.
Più avanti c’è uno spazio aperto, appena sotto le prime rocce di Montelungo:
è coperto da un alto strato di fango e le granate a volte vi sprofondano senza esplodere: ma ci sono anche tronchi d’albero, tagliati alla base dai tedeschi …. gli alberi mozzi …. e quando la granata esplode su questi spezzoni che spuntano dal fango, l’effetto è micidiale.
Così ci sono diversi feriti …. e muore Attilio Faggi amico fraterno, generosissimo nel soccorrere i compagni feriti.: in barella mi passa vicino Giorgio Barletta ferito a un piede - in quel momento lo invidio, lui va in ospedale, al sicuro, lontano da questo inferno …. povero Giorgio, soffrì poi tutta la vita per quella ferita maledetta.
La compagnia si porta ora sotto il costone centrale di Montelungo.
Miracolo: per un momento siamo al sicuro - Dio mio … quelle buche tra fango e roccia, inattaccabili dai mortai: il fango sembra ora un piacevole, morbido letto, in quel buco angusto, invulnerabile !
Ma l’ordine è inesorabile …. avanti ancora …. ecco il Peccia …. ci inerpichiamo faticosamente sulla roccia, nel fianco ovest del monte.
Non ho più la percezione del tempo: è buio ormai e i mortai tedeschi non sparano più.
Mario Cappella si apposta con il mitragliatore, io e Gianni Recchi, capoarma ,
gli siamo a fianco: una raffica di mitra si sente, improvvisa, un po’ sulla sinistra, dietro a noi - Mario scatta in avanti, verso il fronte tedesco, si gira e punta il mitragliatore nella nostra direzione. Accidenti …. si era appisolato sul mitragliatore e sappiamo che soffre di sonnambulismo: cautamente io e Gianni riusciamo a svegliarlo … incredibile,
Non è finita: ci muoviamo nel buio …. gli artiglieri americani notano i movimenti e cominciano a sparare: fortunatamente il tiro è un po’ lungo, davanti a noi - ma là c’è Pio Meletti e io tremo per lui.
Si salva però, caro Pio, così mite e buono: anche prima di andare al fronte ha sempre ripetuto che il suo carattere non si accorda con la guerra.
Raggiungiamo l’obiettivo, sul costone roccioso del monte.
La tensione si allenta, esplode la stanchezza: ma non c’è tregua.
Nella notte, l’urlo di un ferito è improvviso e terribile
…. aiuto …. mamma …. ho sete …. voglio bere prima di morire ….
Siamo impietriti: non sappiamo dove sia il ferito, e sospettiamo anche una trappola dei tedeschi. Dopo un momento di incertezza il capitano Castelli, che è sempre stato in testa alla compagnia, decide …. si va a cercare il ferito.
Mi dice di preparare la squadra: nel frattempo riceve l’ordine di inviare una pattuglia sulla quota 253 di Montelungo, e manda la mia squadra sul nuovo obiettivo.
Il capitano andrà personalmente, con altri bersaglieri, a cercare il ferito, e lo salverà: è Gianni Della Valle, della seconda compagnia, ferito al torace, sopravvissuto in mezzo ai morti.
Per questa azione furono decorati alcuni bersaglieri della pattuglia,
non il capitano - non ho mai capito il perché.
La mia squadra dunque si inerpica sul monte, verso la prima vetta, la quota 253.
Su quella vetta, adesso, è eretta la statua della Immacolata, la Madonnina di Montelungo.
Nel buio, tra gli anfratti della roccia, avanziamo cautamente, a breve distanza l’uno dall’altro - Gianni, che mi segue, a un certo punto perde il contatto: sempre salendo, cambia direzione, scorge davanti a sé una sagoma china, pensa di avermi ritrovato e sussurra … leo … leo … la sagoma non risponde … e Gianni, ormai vicino, la scuote …… è un tedesco morto, che l’urto rovescia a terra ……e Gianni inciampa poi in un secondo morto, tedesco … …
E’ ancora sconvolto, quando poco dopo ci ritroviamo.
I tedeschi avevano abbandonato la posizione: ci appostammo sulla vetta raggiunta.
Nella notte recuperammo un fante del ‘sessantasettesimo’ che, in evidente stato confusionale, vagava nella terra di nessuno, alla ricerca dei suoi compagni ….
…. c’è la settima lì ? ripeteva dov’è la settima ? …
E giunse l’alba del 9 dicembre 1943, con il chiarore del giorno appena percettibile per la presenza di una fitta nebbia.
Poi la nebbia scompare
… là, in fondo, ai piedi del monte, tra il Peccia e la massicciata della ferrovia, appare il campo di battaglia della ‘seconda’ …. e tutti i compagni caduti ….
poveri corpi abbandonati come tanti cumuli di fango …
…………… destesi in abbandono
a l’arfio de la Morte che veloce
la ià ‘ngiassà coi brassi stenchi in croce ….
Così scriverà Gianni, in dialetto veronese.
Poveri compagni miei. Allora non piansi: la guerra è crudele anche in questo.
Adesso, a ottantuno anni, non riesco a trattenere le lacrime.
Trombettiere, suona il silenzio fuori ordinanza, per i miei compagni di Montelungo.
Leone Orioli
LI Battaglione Bersaglieri A.U.C. "Montelungo", terza compagnia
8 dicembre 1943 . fronte di Cassino .
Spesso mi capita di osservare le innumerevoli lapidi disseminate nel nostro Paese a testimonianza di molti giovani che in onore della patria hanno donato la vita.
RispondiEliminaE' passato solamente qualche decennio ma l'incontrastata rimozione della memoria e l'avanzata inesorabile di un consumismo sfrenato rendono queste storie,questi uomini al di fuori della portata della nostra comprensione,sembrano trascorsi interi eoni.
Mi domando giornalmente come è potuto accadere tanto,come siamo riusciti ad arrivare così in basso,sinceramente provo un profondo senso di vergogna nell'appartenere ad una società ipnotizzata che si accanisce in una instancabile realizzazione di desideri indotti.
Viviamo una realtà falsa dove principi,idee,regole non hanno più nessun senso,sono diventati contenitori vuoti.
Uomini,ragazzi giovanissimi che hanno offerto la vita in nome della Patria,come possiamo solamente pensarli,noi incapaci di vivere come possiamo capire chi è stato capace di morire?
Non so bene se sia meglio augurarsi che le cose migliorino oppure ambire ad una distruzione totale di paradigmi sociali tanto sterili ed insulsi.
Sono certo però che ognuno nel suo piccolo possa e debba fare uno sforzo per porsi certe domande,per sfuggire alla superficialità ed alla pigrizia nella quale ci siamo cacciati e per restituire il giusto onore e la gloria a gesti e uomini dai quali ancora possiamo tanto imparare.
Un paese senza memoria è un paese morto!!!
Molto bella la descrizione di Leone Orioli.
RispondiEliminaCi sono tanti modi di studiare la storia, uno dei più belli è attraverso i ricordi delle persone anziane. Per chi ha avuto la fortuna o ha ancora la fortuna di avere vicine persone care che hanno vissuto la prima meta del secolo scorso, farsi raccontare le loro esperienze, anche se non per forza drammatiche, è molto bello. Io ho avuto la fortuna di conoscere anche i miei bisnonni, quindi una testimonianza di tutto il secolo scorso! Ma purtroppo non avevo ancora la maturità per capire il tesoro che avevo davanti mi è scivolato via.
Oggi si nasce con i-phone e play-station incollate alle mani e molte cose si danno per scontate ma non è stato sempre così.
Alla fine della seconda guerra mondiale non c’erano le macchine, non c’erano le strade, ci si spostava a piedi, non c’era telefono, televisioni ecc… per comunicare ci si scriveva e si aspettava la risposta o si andava personalmente a portare il messaggio! Quel poco che aveva portato il progresso pochi anni prima era stato distrutto ed erano andate distrutte anche intere famiglie… Mia nonna oggi non riesce a capire che cosa è la depressione, sa solo che prende ai giovani e la chiama “cussa maladia leggia!” (quella malattia brutta!) ma non ha capito che cosa è…