mercoledì 4 ottobre 2017

Lo Zen e l'arte della manutenzione dello stress




Pubblichiamo la prefazione dell'ultimo libro, Lo Zen e l'arte della manutenzione dello stress -Piemme editore) scritto dal Maestro Bruno Ballardini, grande amico del Tora Kan Dōjō e di Sensei Taigō.
Già dalla prefazione lo stile provocatorio e sferzante che contraddistingue l'autore ci mette in guardia dalla tendenza sempre più diffusa e deviata di approcciarsi in maniera confusa e superficiale alla pratica Zen e in generale a qualsiasi disciplina olistica.
Bruno Ballardini: professore universitario, docente di tecniche della comunicazione, autore di libri pubblicati in 11 lingue, praticante ed insegnante di Karate Antico, esperto di arti cinesi, già direttore della rivista ’Quaderni d’Oriente’ e autore di numerosi articoli per Samurai negli anni 70. Traduttore di libri per le edizioni mediterranee, tra cui ‘Il Karate di Okinawa’ di M.Bishop. Scrive editoriali per prestigiose riviste. Autorevole testimone della storia delle arti marziali in Italia.





Se pensate che con un libro si riesca a far passare lo stress, scordatevelo. Probabilmente, l’avrete comprato per questo motivo e fra pochi minuti vi accorgerete che sfogliandolo non succede assolutamente nulla. Se invece l’avete ricevuto in regalo, evidentemente qualcuno pensa che voi siate degli stressati. Nemmeno questa sensazione è piacevole. In un modo o nell’altro, questo libro rischia di farvi aumentare lo stress anziché diminuirlo. Dipende da come lo usate.
Viviamo in un mondo fatto di parole. Parole che, sempre più spesso, non sono collegate a fatti. Oppure, i fatti che le accompagnano sono l’esatto contrario di ciò che promettono. E questa schizofrenia, senza dubbio, è una notevole fonte di stress. Ma lo stress non nasce solo così. Si direbbe che la nostra civilizzazione si basi sullo sfruttamento degli individui e sull’abitudine ormai consolidata di portarli fino a una condizione di stress. Poi c’è sempre qualcuno che arriva perfino a sfruttare questa condizione generalizzata a proprio vantaggio. È questo il punto. Se avete prodotto personalmente il vostro stress, non permettete che altri lo sfruttino (stressandovi ulteriormente) ma, dato che non potete proprio liberarvene, provate almeno a immaginare quali usi potreste farne. Entro certi limiti lo stress è una faccenda naturale. È un po’ meno naturale il fatto che oggi si sia sviluppata una gigantesca industria per “curare” lo stress, con discipline olistiche, medicine alternative, e un mucchio di stupidaggini che vi fanno solo credere di aver superato il problema quando in realtà vi lasciano al punto di partenza. Fanno leva sulla vostra buona fede, sono una specie di placebo psicologico, adatto a quelli che si aspettano una medicina definitiva che sconfigga il male e possibilmente lo faccia subito.
Un buon punto di partenza potrebbe essere quello di prendere in casa un animale. Ti fa scoprire di essere un animale, ti fa tornare subito con i piedi per terra. Ti fa assumere la responsabilità di occuparti di lui quando non ti sei mai preso la responsabilità di occuparti nemmeno di te stesso. Ti insegna cose che hai sempre saputo ma che non hai mai voluto minimamente prendere in considerazione. Ti cambia completamente prospettiva. Come la cagnetta di Charlotte Joko Beck (1), anche Lulù, la mia gatta, non si chiedeva il significato della vita. Non si preoccupava se la colazione fosse in ritardo: quando aveva fame mangiava, quando aveva sonno dormiva. E nemmeno lei stava lì seduta a domandarsi se si sarebbe mai realizzata, liberata o illuminata. Cibo e carezze le bastavano. Se non le bastavano, se le veniva a prendere. Come dice la Beck, noi esseri umani non assomigliamo ai cani (e men che meno ai gatti, aggiungo io): «Abbiamo una mente egocentrica che ci procura montagne di guai. Se non capiamo l’errore del nostro modo di pensare, la nostra coscienza di sé, che è la più grande benedizione, si trasforma nella nostra rovina. Tutti, chi più chi meno, sentiamo la vita difficile, incomprensibile e opprimente. Anche quando tutto va bene, come ogni tanto succede, ci facciamo prendere dall’ansia che la situazione possa cambiare. […] Ci troviamo intrappolati nella contraddizione di sentire la vita come un rompicapo insolubile, fonte di grande dolore, e nello stesso tempo di percepirne confusamente la sconfinatezza, l’ampiezza illimitata. Così cerchiamo una risposta al puzzle. Il primo impulso è di cercare la risposta all’esterno. Può trattarsi di una soluzione molto qualunque: un’auto più potente, una casa più bella, vacanze più divertenti, un capo più comprensivo, un partner più interessante, e tutto andrebbe a posto. Tutti ci siamo cascati. Poi, a poco a poco, intacchiamo la maggior parte dei vari “se solo”: “se solo avessi questo, se solo avessi quello, la mia vita sarebbe migliore”. Nessuno di noi ha ancora esaurito i suoi personali “se solo”. Prima incominciamo a rimuovere i più grossolani, per sostituirli con forme più raffinate. Infine, continuando a cercare all’esterno la cosa che ci renderà completi, approdiamo a una disciplina spirituale. Purtroppo, trasferiamo anche qui la stessa modalità» (2). E poi? E poi, non accade nulla. Nada de nada. Nisba. La trappola in cui cadiamo tutti è cercare al di fuori di noi la soluzione a problemi che noi stessi abbiamo creato. Tutto questo meccanismo perverso è il motore principale dello stress. Lo stress non è una malattia, casomai è la conseguenza di un atteggiamento sbagliato che facilmente diventa patologico.
Nonostante i miei studi delle filosofie orientali, i miei viaggi in Giappone, la mia pratica, le sedute di meditazione, le arti marziali e i tentativi di applicare lo Zen a tutte le cose, posso dire di non aver mai compreso veramente nulla dello Zen fino a quando non ho avuto Lulù accanto a me. Vivendo con lei, ho potuto osservare il suo approccio alla vita, ho compreso quale sia il corretto atteggiamento. Lulù non faceva meditazione: tutto ciò che faceva era Zen. Oggi, a chi mi chiede quale sia stato il mio maestro, posso rispondere con orgoglio: «La mia gatta». Ma se non amate gli animali, o siete allergici, o proprio non potete permettervi di averne uno, allora va bene anche cominciare da un libro. In fondo, molte terapie di oggi, dalla psicanalisi alle ultime trovate commerciali americane come la Mindfulness, si basano sulle parole. L’importante è non scambiare lo Zen per una medicina. Anzi, per farvi un dispetto, in questo libro verrà trattato proprio come tale, per disabituarvi al vizio assai diffuso di piegare qualsiasi nuova conoscenza alle proprie abitudini e ai propri desideri. Se poi volete insistere a vederlo in questo modo, allora diciamo che lo Zen non è soltanto un farmaco, è anche un percorso terapeutico, uno stile di vita, una terapia psicanalitica, una medicina preventiva, un approccio dietetico, una pratica di purificazione, un potente antidolorifico, e tante altre cose tutte insieme. Potete decidere che lo Zen debba essere per voi una sola di queste cose ma, in questo modo, non arriverete mai a comprenderne l’essenza, rincorrendo illusioni New Age o auto-ingannandovi con trappole dialettiche. Rispetto a tutto questo, siete fortunati a essere nati in questo secolo: i maestri antichi avrebbero sciolto i vostri nodi dialettici a suon di bastonate. Oggi, di quel gesto, resta solo la forma nei lievi e compassionevoli colpi di kyosaku (3) somministrati ai praticanti da chi guida la seduta di meditazione. Ma la sostanza dello Zen resta tutta nel carattere severo della pratica, severo come e forse più della psicanalisi freudiana, seppure alleggerito dall’uso costante di paradossi, di provocazioni in forma di indovinello, che però non lasciano scampo. Lo Zen è abbastanza destabilizzante da far preferire alla massa forme più “comode” di buddhismo che gratificano l’Ego anziché cominciare subito a demolirlo mettendolo in difficoltà. Ma voi, se volete guarire, non fate come fanno i bambini. Provate per una volta la medicina amara. Potreste scoprire che non solo fa bene, ma in realtà è anche buonissima.


1  Charlotte Joko Beck (1917-2011), prima maestra Zen occidentale della scuola Sanbo Kyodan (三宝教団, letteralmente “Scuola dei Tre Tesori”, che coniuga insegnamenti Sōtō e Rinzai), fondatrice della Ordinary Mind Zen School a San Francisco e autrice di Zen quotidiano (Ubaldini Editore, Roma 1991), uno dei testi che più hanno contribuito a far conoscere lo Zen in Occidente.


2  Joko Beck C., Zen quotidiano, op. cit., p. 13.8

3  Bastone piatto usato da chi guida una seduta di meditazione Zen per sciogliere la contrazione muscolare




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