venerdì 28 ottobre 2011

Venere e Marte



Estratto da una lezione tenuta nel Dōjō Zen da P.Taigō Spongia Sensei
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E’ proprio alla tradizione Zen Sōtō un importante Sutra, un dharani, dal titolo Daihi Shin Dharani (lib.tradotto: ‘Del Cuor di Pietà Dharani’).
É un Sutra di difficile traduzione che nella sua recitazione genera un potente effetto mantrico.
Nella traduzione (atta alla recitazione) che ne ha operato il Maestro F.Taiten Guareschi rivela una straordinaria somiglianza con l'Omerico Inno ad Ares.

Il Sutra si apre con la descrizione di un guerriero che si prepara alla battaglia: Indossa l'armatura, prepara le armi ed il carro da guerra, è celebrata la fierezza del guerriero pronto alla pugna.
Quasi un'esaltazione della guerra, tutta la prima metà del Sutra è pervasa di spirito marziale ed esalta il vigore e lo spirito guerriero.

Poi, d'improvviso, il Sutra cambia totalmente prospettiva.

Il guerriero, pronto allo scontro, implora la Dea Kannon (Avalokitesvara), il Bodhisattva della compassione e misericordia, perchè l'aiuti a scacciare dalla propria testa l'odiosa viltà e lo slancio fallace che allo scontro lo spinge.
Implora dunque il coraggio di indugiare nella pace del Dharma evitando lo scontro nemico e termina affermando che questa è la guida del forte e la salute del mondo.

Questo Sutra, che ben potrebbe essere considerato l’inno dei praticanti di arti marziali, esprime alla perfezione il carattere 'Bu' di Budo (Wu in cinese), termine che tradizionalmente definisce le arti marziali tradizionali giapponesi.

Nel carattere 'bu' sono rappresentati una lancia e 'tomeru' il fermare.

L'essenza della pratica marziale è dunque il dominare la lancia, non quella del nemico, bensì la propria stessa lancia.
Molte immagini sacre sono rappresentate, anche nella tradizione cristiana, con la spada in mano. La spada della saggezza che recide l'illusione, nella tradizione Buddhista.

Nella pratica marziale alleniamo dunque le tecniche da combattimento, perfezionando la loro forma ed efficacia, perchè si sia davvero in grado di essere pacifici.

Sembra paradossale ma è proprio così, il vero praticante del Budo è uomo pacifico, che è ben diverso dall'essere pacifista.
Molto spesso il pacifismo non è che la maschera indossata per nascondere la propria incapacità e paura nel confronto con l'aggressività, la ‘violenza’ e la morte connaturate alla natura e all'uomo.
Fuggire questo confronto, non averlo risolto intimamente (uno dei benefici che offre la pratica del Budo) , porta ad uno squilibrio interiore che è molto spesso all’origine di atteggiamenti violenti e distruttivi e spinge a quello 'slancio fallace' generato dalla paura nel quale il Sutra identifica l'origine della disarmonia e della guerra.

La nostra pratica consiste nel celebrare il matrimonio tra Venere e Marte che risiedono in noi e nel gestire in modo sano ed equilibrato questa relazione.


Dobbiamo essere capaci di vedere l'amore espresso dal gesto di un maestro di arti marziali, perché lo spirito marziale è in qualche modo indivisibile dall'amore e dalla bellezza.

Per concludere: 

'Solo chi indossa la spada e non la sguaina può dirsi pacifico,
 chi non indossa la spada non saprà mai se è veramente pacifico.’



 


mercoledì 19 ottobre 2011

L'Eccellenza


Il brano che segue, tratto da Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, di Robert M. Pirsig, mi colpì profondamente quando ero poco più che un ragazzo e lo copiai a mano su un quaderno.

Ritengo che sia un’ottima descrizione di quella qualità umana, quell’Eccellenza, che dovrebbe essere il frutto dell’esercizio di un’arte.

Quanto di più lontano ci possa essere dalla mercenaria specializzazione operata oggi in ogni ambito che ha alienato l’uomo dalla sua vera natura e dalla bellezza.

Spero possa essere d’ispirazione anche per voi.

Paolo Taigō Spongia




…«Ciò che spinge il guerriero greco a compiere imprese eroiche» osserva Kitto «non è un senso del dovere come noi oggi lo intendiamo, dovere cioè nei confronti degli altri: è piuttosto dovere nei confronti di se stesso. L’eroe greco non aspira a ciò che noi traduciamo con la parola “virtù” ma a ciò che in Grecia si chiama aretè, “eccellenza” … Dell’aretè dovremo parlare ancora e a lungo, perché nella vita greca la si incontra dappertutto».
Ecco, pensa Fedro, una definizione della Qualità che esisteva mille anni prima che i dialettici avessero cercato di catturarla coi loro tranelli verbali. Se qualcuno non ne afferra il significato senza bisogno di definiens, definendum e differentia, o mente, oppure il suo distacco dall’umanità è tale che non vale la pena di rispondergli.
Fedro è affascinato anche dal concetto di «dovere nei confronti di se stessi», che è la traduzione pressoché esatta del termine sanscrito dharma, e che, a volte, è descritto come l’«Uno» degli indù. È possibile che il dharma degli indù e la «virtù» degli antichi greci siano identici?
Qualità! Virtù! Dharma! Ecco che cosa insegnavano i sofisti! Non la relatività della morale. Non la «virtù» ideale, ma l’aretè. L’eccellenza. Il dharma! Prima della Chiesa della Ragione. Prima della sostanza. Prima della forma. Prima dello spirito e della materia. Prima della stessa dialettica.
La Qualità era assoluta. Quei primi maestri del mondo occidentale insegnavano laQualità, e il mezzo che avevano scelto a questo scopo era la Retorica. Fedro era sulla buona strada fin dall’inizio.
[…]
Kitto ha alcune cose da dire riguardo all’aretè. «Quando in Platone incontriamo la parola aretè,» scrive «la traduciamo con “virtù”, e di conseguenza veniamo a perderne tutto il sapore.
“Virtù”, almeno ai nostri tempi, ha un senso quasi esclusivamente morale; aretè, invece, viene utilizzata indifferentemente in ogni ambito e significa semplicemente eccellenza.
Quindi l’eroe dell’Odissea è un grande combattente, un astuto intrigante, un ottimo parlatore, un uomo dal cuore saldo e di grande saggezza che sa di dover sopportare senza lamentarsi troppo di quel che gli dèi gli mandano; ed è capace di costruire e di guidare una barca, di tracciare un solco più dritto di chiunque altro, di lanciare il disco meglio di un giovane fanfarone, di sfidare i giovani feaci al pugilato, alla lotta o alla corsa. Sa uccidere, scuoiare, macellare e cuocere un bue e una canzone lo può commuovere fino alle lacrime. In realtà, è abile in tutto; la sua aretè è insuperabile. L’aretè implica il rispetto per la totalità e l’unicità della vita e, di conseguenza, il rifiuto della specializzazione. Implica il disprezzo per l’efficienza, che esiste non in un solo settore della vita, ma nella vita stessa »…







venerdì 7 ottobre 2011

Il Sole è Nuovo Ogni Giorno




“La giovinezza è una qualità dell’essere
Questa è una delle massime più profonde di Eraclito.

Il sole è nuovo ogni giorno. La fame è nuova ogni giorno L’amore è nuovo ogni giorno. La vita è nuova ogni giorno.

Dire “ogni giorno” non è esatto: ogni movimento, ogni gesto, ogni momento, ogni cosa è nuova. Da dove viene allora il vecchio? Perché ti annoi? Se ogni cosa è nuova è non puoi entrare nello stesso fiume, e se non puoi rivedere la stessa alba; se ogni cosa è così nuova è fresca, perché dunque ti annoi e muori? Perché non vivi in funzione dell’armonia interiore. Vivi in funzione della mente. La mente è vecchia.

Ogni sole è nuovo, ogni mattino è nuovo, ogni fame è nuova, ogni sazietà: ma la mente è vecchia.

La mente coincide col passato, la mente è memoria accumulata. E se guardi attraverso la mente, questa porta con sé vecchiaia e morte per tutte le cose: ogni cosa sembra polverosa, sporca, tutto a causa della mente. Metti da parte la mente, metti da parte i ricordi! Se riesci a mettere da parte i ricordi, tua moglie è nuova ogni giorno, perché è solo a causa dei ricordi che tu pensi di aver vissuto con questa donna trent’anni e di conoscerla bene. Chi può conoscere mai nulla. Rimaniamo estranei, eternamente estranei.

Come puoi conoscere una persona? Si può conoscere una cosa, non una persona, perché una cosa può essere esaurita. Come puoi conoscere una persona? Una persona è libertà. Cambia in ogni momento. Se non puoi entrare due volte nello stesso fiume, come puoi incontrare di nuovo la stessa persona? Se persino i fiumi sono così mutevoli… la consapevolezza, il fiume della consapevolezza non può essere vecchio. Se metti da parte la mente, se non guardi con gli occhi vecchi, tua moglie è nuova, ogni gesto è nuovo. In questo caso esiste una costante, una continua eccitazione nella tua vita, una continua vivacità.

Oggi avrai fame, è nuova. E oggi, quando mangi, questo cibo è nuovo, perché nulla può essere vecchio nell’esistenza. L’esistenza non ha passato. Il passato fa parte della mente. L’esistenza è sempre nel presente, nuova, fresca, sempre in movimento, una forza dinamica, un movimento dialettico, scorre come un fiume. Se avrai questa intuizione, non sarai mai annoiato. E la noia è la malattia più grave: uccide in profondità, è un lento avvelenamento. A poco a poco sei così annoiato che diventi un peso morto che grava su te stesso. Allora la poesia della vita scompare. A questo punto non fioriscono i fiori e non cantano gli uccelli. A questo punto sei già sepolto, sei già nella tomba.

Si dice che la gente muore a trent’anni e sia sepolta verso i settanta. Anche trent’anni sembrano troppi, questo proverbio deve risalire ai tempi antichi… ora non è così: ora la gente muore a vent’anni circa. Anche questa età pare troppo remota. Molti giovani, giovanissimi, di diciott’anni, venti, vengono a dirmi: “Siamo annoiati”. Sono già invecchiati. Li avete istruiti, avete già condizionato la loro mente. Stanno già morendo. Muoiono ancor prima di essere giovani.

Ricorda, la giovinezza è una qualità dell’essere. Se sei in grado di guardare il mondo senza mente, resterai giovane per sempre. Anche nella morte sarai giovane, emozionato, proprio perché la morte si sta avvicinando; sei eccitatissimo: una grande avventura, un culmine, una porta si apre ora sull’infinito.

Mai nulla è uguale a se stesso. Ogni cosa continua a cambiare. Solo la mente è vecchia e morta. Essere capaci di guardare la vita senza mente, questo è meditazione.

Tratto da: Osho,” L’armonia nascosta, discorsi sui frammenti di Eraclito”, Ed ECIG


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