domenica 20 ottobre 2019

I miei inizi a Soji-ji


Sesshin condotto da Kodo Sawaki Roshi. 
Al centro, in kimono nero da sinistra a destra: Taisen Deshimaru Roshi e Kodo Sawaki Roshi.

Questa storia ebbe un effetto totalmente inatteso. 
Ribollivo d’impazienza, dovevo assolutamente rivedere il Maestro. 
Finalmente giunse la tanto sospirata domenica. 
Mi presentai con molto anticipo e andai direttamente nella sua stanza. 
Questa volta era circondato da un gruppo di monaci e di discepoli laici.  
Mi presentò sorridendo: “E’ un discepolo che viene da Saga. Durante una Sesshin a Enkaku-ji, ha picchiato un Junko(1). Vi prego dunque di trattarlo con riguardo”. 
Parlava di me come se fossi un pericoloso bandito. Poi mi fece conoscere un certo Abe Yutaka che aveva un’aria molto scaltra. Probabilmente pensava che i nostri caratteri si accordassero. Non s’ingannava: Abe Yutaka divenne uno dei miei amici più intimi, e dopo la sua morte mi presi cura dei suoi bambini. 
Osservai con curiosità il modo in cui sapeva ottenere il rispetto dalla sua cerchia, ridendo e mettendo tutti a proprio agio. Ma qualcuno, un certo Saito, pose infine una domanda seria: “L’anima è immortale?”. 
“L’anima è inesprimibile, ma lo spirito che appartiene a ciascun individuo può adottare molteplici aspetti. D’altronde il Buddhismo primitivo non utilizzava questo concetto di Reikon(2)” rispose Abe Yutaka con gravità. 
L’ora dello zazen era giunta, tutti si alzarono. Solo io rimasi seduto. 
Allora il Maestro Sawaki si rivolse a me, dicendo: “Ebbene, che cosa aspetti a seguirli? Osservali e imitali, e anche se le gambe ti faranno male, pensa alla tua postura”. 
Ubbidii con gioia, raggiungendo gli altri: Abe mi venne vicino e mi spiegò con gentilezza come comportarmi, mentre attraversavamo il corridoio. 
Arrivammo alla grande sala si meditazione. Ciascuno fece Gassho(3), chinando la testa davanti al capo del tempio, poi andammo a sederci nella parte sinistra della sala. 
Entrò allora il Maestro Sawaki, s’inchinò anch’egli, le mani giunte, davanti al capo del tempio, accese l’incenso dinanzi al quale si prostrò per tre volte, poi cominciò a fare il giro della sala per verificare le posture. Infine si sedette e diede tre colpi di campana per indicare che lo zazen era incominciato. 
L’atmosfera era completamente diversa da quella dell’Enkaku-ji. 
Certo, il silenzio era teso e suggestivo, ma anche sereno. Inoltre non era turbato dal martellamento ininterrotto ed esasperante dei colpi di kyosaku(4). 
Dopo trenta minuti, la parola Kusen(5) pronunciata dal Maestro risuonò attraverso l’intera sala. Come un sasso gettato nell’acqua calma di uno stagno, risvegliava la mia coscienza in cerchi concentrici. L’intensità delle inflessioni di ogni parola del Maestro sembrava provenire dalle profondità del suo corpo. 




Zazen, è diventare intimi con se stessi. Zazen, è saper essere soli in seno all'Universo, è apprendere a conoscersi, a familiarizzare perfettamente con se stessi.
In Zazen, non si deve attender nulla, si deve essere completamente Mushotoku(6). 

Non bisogna ricercare il Satori, né la soluzione dei propri dubbi; non bisogna neppure sforzarsi di scacciare i pensieri importuni, perché niente è importante.
Zazen, è una disciplina di tutto il corpo. È con i propri sensi, non con la mente, che bisogna percepire la Via di Buddha. Questa disciplina fisica è essa stessa il Satori. 

La postura è sufficiente per raggiungere il Satori.
Durante lo Zazen, ciascuno conosce l'universo, arriva a contemplarlo con un solo sguardo. Fare Zazen, per decine d'anni senza comprenderne l'essenza è un'impresa futile, che non ha alcun rapporto con la Via del Buddha.
La postura deve essere maestosa, imponente; non deve somigliare a quelle tigri di carta a cui la testa si muove in tutte le direzioni
.
 

Avevo l’impressione che la sua osservazione fosse rivolta a me, per cui corressi la mia postura quanto più potei. Le gambe piegate mi facevano soffrire le pene dell’inferno, e fortunatamente suonò la campana che segnava la fine della seduta. Mi affrettai a uscire. 
Non avevo ricevuto un solo colpo di kyosaku: forse il Maestro usava riguardi con i nuovi venuti. Mi sentivo un po’ frustrato, perché da lui avrei sopportato qualsiasi cosa. 
Ci recammo poi in un anfiteatro dove ci tenne una conferenza sullo Shodoka(7). 
Le parole fluivano con naturalezza dalla sua bocca, non doveva cercarle, l’ispirazione gli veniva dagli argomenti più inattesi. Questa assoluta spontaneità mi sorprendeva.


Imparate a trascendere la storia. 
Non perché un uomo è altolocato può dirsi grande, né il possesso di molto denaro lo farà saggio. “Perché avete fede?” ho l’abitudine di chiedere. Il più delle volte mi si risponde: “Perché non voglio andare all’inferno”. “Ma come sapete che si sta meglio in paradiso che all’inferno?”. Allora il mio interlocutore non sa più cosa rispondere. “All’inferno, dopo tutto, potreste fare delle belle bevute con i diavoli, vostri fratelli!”.



Questo mi ricordò che la domenica precedente ero precisamente stato uno di quei fratelli diavoli con i quali aveva bevuto. 

E poi i demoni e gli angeli hanno la medesima origine. E anche gli alberi, i fiori, i fiumi e le montagne. L’illuminato è senza ego, non è privo di personalità. Il cielo e la terra sono uno e infinito, nessuno esiste al di fuori di se stesso e l’io non esiste al di fuori degli altri. Nella nostra epoca, gli uomini preferiscono il denaro alla religione, e così inevitabilmente precipitano all’inferno. L’atteggiamento dell’uomo che cade in un fiume e che si dibatte con tutte le sue forze per non annegare, è totalmente diverso da quello di colui che si tuffa nel fiume per salvarlo. Lo stesso vale per l’inferno. Colui che ci cade e colui che vi entra per salvarlo, hanno atteggiamenti diametralmente opposti. È quanto insegna la Via del Bodhisattva(8) nel Buddhismo Mahayana. 
Non c’è comportamento più propizio del darsi totalmente agli altri, dimenticandosi completamente di se stessi. Fino a oggi, io ho fuggito la fama. 
Che cos’è, infatti, la fama? E di denaro non ne ho bisogno per vivere. 
Tuttavia mi sono sempre battuto con passione. Ho rifiutato di fare della mia vita un’avventura soltanto intellettuale. È nello sforzo che ho trovato la misura di me stesso. 
Ho evitato la gloria così come la gelosia, che non conosco. 
Il principe Satta, prima di essere divorato da una tigre, pronunciò le seguenti parole: Ogni atto è effimero; ogni essere vivente è ineluttabilmente condannato a scomparire; noi non fuggiamo a questa legge. La solitudine della morte deve diventare la nostra gioia”. 
Sono parole che possono suonare strane alle vostre orecchie, ma esse dimostrano la passione di Satta nella sua ricerca della Verità. Gli importava poco della sua vita, di fronte all’urgenza della sua ricerca. Il principe Fuse Daishi, uno dei discepoli di Buddha, si ritirò un giorno su una montagna, abbandonando moglie, figli, rango e ricchezze. 
E tutto questo a un unico scopo, semplicemente per scoprire le profondità di se stesso, 
perché fino a quel momento non si era mai veramente conosciuto”. 





Note al Lavoro:

(1)Junko: Monaco incaricato di sorvegliare che i partecipanti dello zazen mantengano la dovuta concentrazione.
(2)Reikon: Termine giapponese che si compone di due caratteri: rei, l’anima, e kon, lo spirito.
(3)Gassho: Gesto di saluto che consiste nel congiungere le mani in verticale davanti al petto; è il simbolo dell’unità dell’esistenza e dello spirito.
(4)Kyosaku: Da kyo, attenzione, e saku, bastone. Bastone piatto destinato a favorire la concentrazione, e utilizzato durante lo zazen dal maestro su richiesta di colui che medita, o per iniziativa dello stesso maestro.
(5)Kusen: Breve sermone che si tiene durante lo zazen e che costituisce la trasmissione orale dell’insegnamento del Maestro.
(6)Mushotoku: Senza scopo né spirito di profitto.
(7)Shodoka: Ossia Canto dell’immediato Satori, del Maestro Yoka Daishi (649-713) che fu discepolo di Houei-neng, il sesto patriarca.
(8)Via del Bodhisattva: o Bosatsu Do, la dottrina che insegna che la perfezione personale deve accompagnarsi alla compassione universale.


Taisen Deshimaru Roshi
Tratto da "Autobiografia di un Monaco Zen"
Traduzione di Guido Alberti,
Ed. SE





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