domenica 4 agosto 2013

Shidōgenri 指導原理

riceviamo e volentieri pubblichiamo questo articolo di Sensei Valerio Proietti


Shidōgenri  指導原理




Se proviamo ad analizzare queste parole: Uno in più, sicuramente ripercorriamo nella nostra mente diverse scene di vita vissuta; il cucchiaino che versa lo zucchero nel caffè, l’euro che abbiamo aggiunto nel nostro salvadanaio, i giorni che sono trascorsi durante l’attesa di una risposta. Eppure difficilmente queste due parole ci legano a momenti ben precisi, momenti che ci hanno cambiato la vita, questo perché le nostre esistenze viaggiano molto più con lo stile di vita del va beh, domani farò meglio, che dell’oggi è tutto quello che posso avere e che posso dimostrare di meritarmi… Se un guerriero non ha il coraggio di affrontare le imprese più grandi del mondo e di esercitare questa responsabilità enorme in maniera indipendente, non avrà l’animo abbastanza grande. La condizione naturale dell’essere umano ci dice che l’uomo in quanto tale possiede un’indole naturale: una fenice ha per natura cinque colori, una tigre nasce con il manto striato, un destriero può correre per mille miglia senza addestramento, l’oro è più brillante della pietra, la giada bianca splende senza che sia levigata, la gru ha le ali... caratteristiche innate, poiché non c’è nulla di artificiale in esse. Le persone nascono con principi che sono del tutto simili, ma se questi non vengono coltivati, in alcuni si sviluppa un’indole che per certi versi è simile alla luna chiara o al sole splendente, ma con un’oscura indifferenza di fondo. Dunque a meno che le persone non mettano da parte ciò che hanno ottenuto, impegnandosi a migliorare ogni giorno, esse non sono completamente umane, poiché perdono quella condizione dell’esistenza innata che ci spinge a seguire la nostra umanità, e si trasformano in quello che con la ragione costruiscono artificialmente, pensando di seguire comunque il normale corso della vita. Il Leone che deve mangiare esegue ogni giorno in modo costante la sua pratica, quell’uno in più che cessa unicamente il giorno della sua morte. Solamente l’uomo arrogante pensa che una cosa fatta una volta possa valere per sempre.


Dato che la mente dipende dall’atteggiamento, quando sei calmo anche la mente lo è. Quando sei agitato, la mente ne risente. Visto che la mente e l’atteggiamento non si trovano in due stati diversi, non c’è differenza tra loro. L’atteggiamento esterna lo stato interno della mente; dunque coltivare il proprio stato dovrebbe essere la base del percorso di miglioramento personale e della disciplina della mente. Avere uno spirito guida, praticare arti marziali, significa prendere coscienza degli eccessi e delle mancanze della propria indole, eliminando questi eccessi e sviluppando ciò che manca. Tutto questo penso debba essere fatto nella vita di ogni giorno.




Per vivere una vita priva di stress, per non ammalarci di testa, per evitare un arresto cardiocircolatorio, si evita come la peste il concetto stesso del sovraccarico. Viviamo dunque queste parole in termini di sovraccarico e non come una vera e propria opportunità. Quand’è che siamo diventati così deboli? Siamo sicuri che la strada giusta per non morire di malanni sia quella del preservarci sempre e comunque? La pratica non è un racchiudersi per un’altra vita, è un trasformarsi per trasformare tutta la realtà. La trasformazione non può essere frutto del pensare che tutto va pianificato, ma deve scaturire da un fondo molto più profondo in ognuno di noi. Nella pratica non esiste la menzogna, esiste solo la verità, questo mi ha portato, e mi porta, a dovermi ogni giorno confrontare con me stesso. Quando per pigrizia, o perché magari una cosa è più facile, diventiamo un po’ meno accorti a quei dettagli, che poi dettagli non sono mai, ecco che subito il tatami ce lo ricorda, mettendoci a nudo dinnanzi a noi stessi, e non possiamo più nasconderci dietro a quelle maschere che tanto ci hanno abituato ad indossare nella vita di tutti i giorni. 


Avere un grande animo significa avere un cuore così libero da essere in grado di accogliere il mondo intero. Il cielo è aperto e permette agli uccelli di volare, l’oceano è immenso e permette ai pesci di nuotare. Come uno sconfinato fiume o un’imponente montagna che accoglie piante, alberi e animali, penso che un uomo, per essere tale, deve avere questa grandezza d’animo, proprio come queste caratteristiche della natura. Quello che diamo durante la pratica rimane permeato non solo sui karategi ma anche sulla pelle. Parlo di quel sostegno, che passa attraverso un kiai, che ci fa andare ancora avanti nell’allenamento quando sembra che non abbiamo più energie, e le troviamo proprio in quel momento; proprio quell’energia, che quando non ha più niente si trova dinanzi al rischio semplicemente di essere. Ci rende in un certo senso liberi da tutti quegli schemi mentali che ci portano giorno dopo giorno ad impantanarci, come sabbie mobili tirati giù dentro le nostre paure, dietro la nostra arrendevolezza inconscia. Si dice: L’uomo vive imprigionato nelle sue paure come un elefante dietro un recinto di canne; com’è vero che a guidare le nostre vite a volte sono proprio quei limiti imposti dal nostro inconscio. Quante volte nella mia vita penso a quell’uno in più. Quell’uno in più che sempre mi ha accompagnato durante la pratica. Parlo di quei momenti quando pensi “basta” e poi ti accorgi che potevi ancora una volta; quando con la testa decidi che più di così non puoi, e la pratica invece ti dimostra che sbagliavi. Ogni volta grazie a quell’uno in più mi cambia la vita. Poter praticare ogni giorno mi ha insegnato a capire che a volte, se ci lasciamo guidare dalla ragione, ci limitiamo, perché influenzati dal modo di vivere di oggi non facciamo altro che preservarci e a poco a poco cambiamo, diventando sempre la metà di quello che possiamo essere.
 
Ci sono due generi di sofferenza: quella da cui fuggi, che ti segue ovunque, e quella che affronti direttamente e dalla quale, così facendo, ti liberi. Ancora oggi, ogni volta che voglio essere vicino a qualcuno, non mi viene un modo migliore dell’offrirmi e offrire una parte di me stesso, non semplicemente a parole, o con semplici oggetti, ma magari con un gesto, o con un tipo di attenzione che mi costringe, anche se solo per un attimo, a togliermi di dosso l’ego, praticando oltre quell’uno in più. Qualsiasi cosa facciamo non è mai veramente completa se la facciamo con il nostro ego; purtroppo mi sono reso conto tante volte, che è difficile regalare noi stessi in modo del tutto gratuito, e anche quando pensiamo di farlo, spesso stiamo solo coltivando l’immagine che vogliamo avere di noi,  magari per non sentirci in colpa, magari perché ci aspettiamo di essere poi ricambiati, magari per non dover vivere col rimorso… La pratica ci insegna a mettere da parte l’ego; anche se poi è una lotta continua, perché spesso ci dimentichiamo di tutto questo, possiamo ogni volta ripartire da un Mokuso e ci rendiamo conto che la pratica è sempre lì, che ci prende per mano e come un abbraccio che si posa sull’anima, accoglie il nostro silenzio, e non finisce mai.


Dedicato a tutti i miei allievi

Valerio Proietti
 

Keiko  La Pratica è la Vita