lunedì 31 gennaio 2011

Buon Inizio di Settimana
Sono ancora in Canada dove ho appena terminato di condurre il Fuyu Gasshuku della IOGKF Canada.
Sono stato onorato e felice della partecipazione di tanti insegnanti e praticanti che hanno affrontato lunghi viaggi in aereo da Stati Uniti e Canada per essere presenti al mio Gasshuku, della loro partecipazione tanto calda ed entusiasta e di aver condiviso con loro la profondità e la pace dello Zazen e del Goju-Ryu Karate-Do.
Dopo essere stato viziato dal fraterno affetto di Nakamura Sensei, della sua famiglia e dei suoi allievi e aver condiviso con lui 5 splendidi giorni di pratica e vita comune.
Ora è tempo di tornare al dojo.
Pur essendo lontano non potevo mancare di inviarvi il mio augurio per un Buon Inizio di Settimana.
Taigo
 English Version

venerdì 21 gennaio 2011

La Meditazione Come Stile Di Vita


Quante persone ai nostri giorni hanno familiarità con la meditazione ?
In alcune parti del mondo in particolare, la meditazione è diventata un fenomeno molto comune, quasi un lavoro domestico. Ha incontrato un’accettazione generalizzata, perchè viene riconosciuta come pratica che spezza molte barriere, sia culturali che religiose, e che mette a fuoco lo sviluppo spirituale personale; giacchè da molti punti di vista, la meditazione è una pratica che trascende la religione.
Se dovessimo presentare la meditazione da una prospettiva Buddhista, per prima cosa dovremmo notare che la pratica meditativa mira a lavorare sulla mente, sul cuore, e con l’energia. Certe volte possiamo praticare la meditazione in maniera molto semplice: lasciamo tranquilla la nostra mente, in una condizione naturale; nell’immobilità, nel silenzio e nella pace.
Quietamente.
Alcuni possono conoscere un metodo e usarlo, come l’osservazione del respiro. Ma altri, quando diciamo loro ” Sedete “, poi non sanno assolutamente che fare, e aspettano che il silenzio finisca il più presto possibile, perchè è qualcosa a cui non sono abituati, e per quanto idilliaco possa essere l’ambiente in cui viviamo, senz’altro è stato raggiunto dagli influssi del ventesimo secolo.
Limitarsi a rimanere tranquilli e silenziosi è una cosa con la quale abbiamo la minima familiarietà: l’immobilità ed il silenzio ci rendono nervosi ed insicuri, come se trovarsi di fronte a se stessi, senza alcuna attività - tutti soli con noi stessi - fosse un’esperienza piuttosto terrorizzante. E la maggior parte delle volte, quando sediamo tranquilli, quello che succede è che i nostri pensieri cominciano a correre a 2000 l’ora, se non più veloci. Quasi sempre, quando sediamo, il problema riguarda l’energia.
A volte però, le cose sono facilitate da un certo ambiente, potrebbe essere un ambiente naturale, o una certa atmosfera creata da amici o praticanti che siedono in silenzio tutti insieme: allora, anche se non avete familiarietà con la meditazione, il fatto stesso di essere in un ambiente del genere vi ispira la pace mentale.
Nelle prime fasi, quindi, la meditazione calma, pacifica e stabilizza la mente. In effetti il termine sanscrito per indicare la meditazione è ‘ Dhyana ‘, in Tibetano ‘Samten’, in Cinese ‘Ch’an’ ed in Giapponese ‘Zen’. 
Che cosa significa la parola tibetana ‘Samten ‘ ? ‘Sam’ è la mente pensante, e ‘Ten ‘ significa solidificare, calmare o stabilizzare. Significa anche ” affidabile ” o ” stabile “.
Così il nostro primo passo è calmare e stabilizzare la mente pensante. Se la mente è in grado di stabilizzarsi da sola, senza ausilio di oggetti o tecniche, va benissimo. Altrimenti, se non siamo abituati, o se non ci sentiamo a proprio agio, e se semplicemente non sappiamo come fare, allora in certi casi ci serviamo di tecniche quali osservare il respiro, guardare un oggetto, od usare un mantra, per aiutare la mente a focalizzarsi, calmarsi e stabilizzarsi.
Quello che è sempre molto importnate tenere a mente è che il metodo, o l’esercizio, non sono che un mezzo; in altre parole, non sono la meditazione. E’ per mezzo della pratica che si raggiunge la perfezione: il puro stato di presenza totale, che è la meditazione.
Quando siamo realmente noi stessi … quando noi ci manifestiamo .. quando tutto il nostro ego innaturale si è dissolto … quando non esiste più dualità … quando siamo in grado di arrivare alla condizione non duale di assenza dell’ego… quello stato si chiama meditazione, nel senso ultimo della parola.
Allora non esiste più alcun conflitto, perchè la dualità viene naturalmente dissolta e liberata.
Così, quello che cerchiamo in realtà di fare quando pratichiamo la meditazione è calmare e stabilizzare, così da dimenticare la nostra mente confusa o ” sé egoico “.
L’ego è un sostituto, un sé fasullo, sempre mutevole. Non è altro che un insieme di idee, concetti, condizionamenti, basati non sulla verità; ma, su pure menzogne e credenze che, sottoposte ad esame, dimostrano di non aver alcun fondamento reale.
E’ importante ricordare che il principio dell’assenza dell’ego nel Buddhismo non significa che prima c’era un ego, e che poi il Buddhista se ne è liberato ! Al contrario, significa che per cominciare non esiste alcun ego, e che bisogna realizzare ‘questa’ assenza di ego.
Talvolta, quando facciamo pratica, riusciamo a trovarci in stato meditativo; allora scopriamo che non esiste più alcuna dualità, conflitto o confusione. E se guardiamo dentro di noi quando ci troviamo in tale stato, scopriamo che l’ego è inesistente: ci manifestiamo attraverso il nostro vero sé naturale, o Sè Buddhico, il ” sé privo di sè ” che è sempre dentro di noi, e che costituisce la nostra natura inerente. E’ questo che tutte le religioni hanno sempre definito principio di bontà o divinità: l’uomo è fatto ad immagine di Dio, come dice il Cristianesimo; nel Buddhismo diciamo che la natura del Buddha esiste in ogni cosa.
E dov’è questa bontà, questa natura Buddhica ? Nel profondo della Natura della Mente. 
E’ come il cielo momentaneamente oscurato dalle nubi che, quando le nuvole si dissolvono, si rivela, limpido e chiaro, con un sole immenso di compassione che risplende su ogni cosa. Noi chiamiamo questa luce solare ” Boddhicitta “, il ” cuore della nostra essenza illuminata “.
Questa bontà fondamentale deve essere trasportata nella nostra realtà; anche se è la nostra natura, e siamo tutti Buddha, siamo solitamente piuttosto confusi e rannuvolati, ed abbiamo dimenticato e perso il contatto con quello che siamo realmente.
Quando diciamo che abbiamo la natura di Buddha, parliamo in termini di Terra; non dello stato finale di purificazione.
Così, anche se Buddha ‘è’ la nostra natura, non ce ne rendiamo conto, dal momento che siamo oscurati da due nubi: quella emozionale e quella intellettuale. Siamo partiti insieme, ma il Buddha ha preso una strada, e noi l’altra.
Così, negli insegnamenti, chiamiamo questo concetto ” una Terra, due Sentieri “. Abbiamo fatto qualche passo lungo la nostra strada, e questo si chiama ‘ Samsara’. In particolare, in Occidente, stare nel ‘Samsara’ è molto facile perchè il suo meccanismo domina il nostro essere con tanta potenza, ed il passo con cui procede è così spedito. Noi dobbiamo uscire dal nostro sentiero per cercarlo, il ‘Samsara’, e nemmeno attendere che arrivi; è ovunque come la polvere: oggi pulisci e domani ce n’è altrettanta. Dal momento che la sua influenza è così forte, il ‘Samsara’ si perpetua da solo, senza bisogno di alcun aiuto da parte vostra.
Il fine della meditazione è conservare la purezza della nostra natura inerente, ed anche se non riusciamo a rimanere a lungo in tale stato, se ogni giorno iniettiamo almeno una goccia di una tale pura consapevolezza nel nostro flusso mentale, ne costruiamo lentamente l’intelaiatura. Il nostro carattere di base, fondamentale, non è altro che un flusso mentale od energetico: noi ’siamo’ solo un flusso mentale. Se ci guardiamo, e ci chiediamo chi siamo realmente, forse scopriremo che la nostra identità è tutte queste cose diverse: il passato, i nostri genitori, la nostra casa, il nostro lavoro, il nostro cane, la nostra compagna, nonchè qualsiasi altra esperienza.
E’ possibile che oggi ci sentiamo bene perchè oggi le cose vanno bene, ma se domani, chiedendoci come stiamo, scopriamo che non è la stessa cosa, dov’è finito il ” sentirsi bene ” ? E’ scomparso completamente, perchè nuove nfluenze si sono succedute alle precedenti.
E noi continuiamo a cambiare con il mutare delle circostanza, come il flusso di un ruscello; anche se sembra sempre lo stesso, in effetti cambia continuamente…. Così dobbiamo modificare questo flusso mentale, con la purezza della nostra natura intrinseca.
Infatti, lo scopo della meditazione, non è solo avere davvero una fugace visione di quello che è la nostra natura e penetrarla, ma anche portare una tale consapevolezza nella nostra vita quotidiana; la nostra esistenza ordinaria ed il modo in cui vediamo le circostanze normali della nostra vita saranno allora benedette da una tale prospettiva. Anche solo esercitarsi per un breve periodo nella meditazione può fare un mondo di bene, ma se volete una tale pratica abbia realmente un effetto stabile e duraturo, quello che dovete fare non è prenderla come una medicina o una terapia occasionale, ma come se fosse la fonte quotidiana di cibo o sostentamento.
Solo allora gli effetti reali della meditazione potranno farsi sentire. Basta pensare a quanto a fondo abbiamo percorso l’altra strada, creando concretamente un’abitudine’ che domina la nostra esistenza. Se guardiamo i nostri sogni, per esempio, vediamo che non sono altro che rappresentazioni ed immagini di abitudini, e, come si usa dire, ” le vecchie abitudini sono dure a morire “. Ci vuole ‘un bel po’, perchè se anche lo stato meditativo è un’arma molto potente capace di spezzare la confusione, è altrettanto vero che non fa parte della nostra esperienza quotidiana e che non è diventata essa stessa un’abitudine: così non siamo capaci di trasportare la sua influenza positiva nel mondo delle nostre abitudini radicate.
Ma, ancora una volta, è importante non accentuare troppo concetti dualistici, di lotta tra bene e male; tutto questo è più simile al concetto di luce: quando splende, non si trova più l’oscurità.
Così dobbiamo portare luce alle nostre vite, tirar fuori la nostra vera natura e permetterle di risplendere. Se guardate a certi grandi maestri, od ai buoni praticanti, od anche solo alle persone buone, vedrete che irradiano calore, una presenza che è fonte di ispirazione, e che potete riconoscere quando vi trovate in loro compagnia.
E’ interessante notare che i Tibetani, quando parlano tra loro, non chiamano il loro capo ” il Dalai Lama” bensì "Kun Dun", che significa  "la presenza". Una persona realmente presente è un Buddha, e questa presenza buddhica è ciò che dobbiamo coltivare. All’inizio viene chiamata ” attenzione ” e quando la si realizza pienamente, diventa ‘presenza’. La disciplina della pratica reale della meditazione insegna a mantenere una tale presenza nella nostra vita quotidiana.
Nel Buddhismo, si sente spesso pronuciare la parola ‘disciplina’: la disciplina non significa un atteggiamento rigido, o una routine militaresca senza senso dell’umorismo, ma una consapevolezza e presenza di spirito continua. Viene definita ” come un profumo impregnante”.
Nelle conversazioni avute con dei terapeuti, molti mi hanno spiegato come, stando alla loro esperienza, uno dei metodi più potenti di guarigione sia una ‘profonda’ meditazione in postura. A volte chiedono ai loro pazienti di rimanere in postura, come minimo per tre ore. Un altro fenomeno che hanno osservato è il fatto che anche se alcuni possono essere fortemente legati alla meditazione, o ad altre tecniche di trattamento, e si sentano a proprio agio con esse, ciò nonostante non riescono ad ottenere gli effetti desiderati: i sintomi non mostrano alcun miglioramento.
Scoprono, poi, che la causa è il fatto che questi particolari pazienti accettano di meditare solo in presenza del terapeuta. Non continuano, poi, effettivamente, fino a portare la pratica nella vita quotidiana facendone qualcosa di reale. Quando invece ci riescono, i successi sono molto più netti. Nello stesso modo, dobbiamo vedere la pratica della meditazione come modo di vivere.
Ogni volta che praticherete la meditazione, sia nelle prime ore del mattino che in qualsiasi altro momento della giornata, vi accorgerete che aprirà una porta sul vostro essere inerente.
Dopo questa apertura iniziale, la cosa più importante non è la pratica in sé, ma lo stato mentale che una tale pratica sviluppa dentro di voi: mangiare è piacevole, ma è più importante sentirsi soddisfatti e nutriti; così, lo stato mentale indotto dalla meditazione ha un significato molto maggiore del fatto stesso di meditare.
Troppo spesso la gente si dedica alla meditazione per ottenere qualche risultato straordinario, come visioni, luci o miracoli sovrannaturali, e se tutto questo non accade , si sentono piuttosto delusi.
Ma il miracolo che avviene in realtà è più normale e più utile: è una trasformazione sottile, non solo nella vostra mente e nelle vostre emozioni, ma anche nel vostro corpo, ed è altamente curativo. Come hanno scoperto scienziati e medici, quando godete di un buono stato mentale, anche le cellule del vostro corpo sono più contente: riuscite ad immaginare le cellule che alzano i loro piccoli calici di champagne e dicono ” cin cin ” ?
Ma quando la vostra mente si trova in uno stato negativo, allora anche le vostre cellule diventano maligne.
La nostra salute globale ha parecchio a che fare con il nostro stato mentale, e con il nostro modo di essere.
In particolare, in questo periodo, in cui gli uomini sono colpiti da così tante malattie, la comprensione di questo fatto non può non risvegliare in noi la possibilità di veder la vita in modo diverso: in un certo senso non esiste possibilità di scelta; è davvero questione di sopravvivenza. Vivere con lucididità è la più grande protezione, anche per la nostra salute.
Così dovete prolungare lo stato mentale nel quale vi trovate dopo la meditazione, sicchè farete ogni cosa con quella presenza mentale. 
C’è una storia molto famosa di una conversazione di un maestro Zen ad un suo discepolo, il quale gli chiede: ” Maestro, come porti l’illuminazione nell’azione concreta ? Come la pratichi nella vita quotidiana ? ” ” Magiando e dormendo “, risponde il maestro. ” Ma, Maestro tutti dormono e mangiano .” ” Ma non tutti mangiano quando mangiano, e non tutti dormono quando dormono “.
Da qui deriva il famoso detto Zen: ” Quando mangio, mangio. Quando dormo, dormo “.
Questo significa essere presenti al 100% nell’azione; non siete più il vostro ego ordinario, e la vostra azione è diventata un’azione universale, un’azione compassionevole. Senza più dualismo, ‘diventate voi stessi l’azione’. Per esempio, è stato scoperto che quando rigovernate, se mantenete la mente pura e lavate i piatti con tutto voi stessi, ciò è molto energizzante. Se invece nel frattempo pensate a molte altre cose, allora diventerà una seccatura. Questo dovrebbe suggerirvi l’applicazione continua della lucida attenzione e della presenza. Se volete che la vostra pratica sia veramente di beneficio per voi e per la vostra esistenza, e perciò anche di beneficio per gli altri, non potrete dedicarvi ad essa solo occasionalmente.
Spesso la gente chiede: ” E’ meglio praticare venti minuti la mattina, o la sera, oppure fare diverse sedute più brevi ? ”
Sì, è positivo praticare la meditazione venti minuti, anche se questo non vuol dire che venti minuti sia un limite massimo. Da nessuna parte nelle scritture si parla di venti minuti. ” Venti minuti ” è una nozione che si è sviluppata in Occidente; potreste chiamarla ” Periodo Standard per la Meditazione ” . A volte la gente teme, se non rimane in postura per venti minuti, di fare qualcosa di sbagliato, come quando si interrompe una cura di antibiotici. Ma il punto fondamentale non è il tempo: il punto è se la pratica vi porta realmente ad un certo stato di presenza.
Se così è, potete rimanere in postura anche solo cinque minuti, per tre minuti, potete sedervi anche solo per un minuto…, per trenta secondi… perfino cinque secondi… ma potrebbe non essere sufficiente !
Il punto fondamentale non è nemmeno la postura, in particolare i meditatori pigri che si siedono per venti minuti e si appisolano ! Per loro in particolare, venti minuti di meditazione sonnolenta non sono consigliabili: dovrebbero praticare seduti cinque minuti , ma ben svegli… Credo che siano abbastanza felici di questa notizia !....
...Se continuate una tale forma di alternanza di pratica e di rilassamento interconnessi dal filo della vostra lucidità, allora lentamente, lentamente, tra meditazione e post-meditazione ci sarà minor differenza, scomparirà il confine. Come ha detto un grande maestro: ” Non ho mai meditato, ma non mi sono mai neanche mai distratto, neppure per un solo secondo.
Un tale praticante non ha bisogno necessariamente di meditare, perchè si trova sempre in tale stato, e non si distrae mai, nemmeno per un solo momento.
Naturalmente, il problema sta nel riuscire a farlo per ventiquattr’ore al giorno, trecentosessantacinque giorni all’anno. Quando fate un ritiro meditativo, per esempio, il fine fondamentale è tagliarvi fuori dagli impegni della vostra esistenza e ritirarvi nell’ambiente naturale e propizio della meditazione. Ritiro significa mettere un limite alle attività superflue: in una tale situazione voi mantenete la meditazione quasi ventiquattr’ore al giorno, anche mentre dormite, mangiate e vi rilassate. Se la vostra pratica è intensiva, profonda e rilassata a quel modo, allora comincia ad avere un effetto di fondamentale importanza sul vostro essere profondo, e sul flusso della vostra mente.
Però, non è soltanto praticando nell’ambiente di un ritiro che i benefici della meditazione possono permeare il vostro flusso mentale. Dopo un tale ritiro, anche mentre vivete la vostra solita esistenza in città, potete praticare un po’ al mattino e quindi applicare una tale presenza in tutta la vostra vita quotidiana. Allora, ogni volta che vi sentite persi, confusi, o distratti, tornate alla vostra meditazione, od alla vostra respirazione, riconquistate e matenete tale stato di presenza, e riposate in esso per tutto il tempo che potete. E’ l’applicazione continua di tale presenza che provoca realmente cambiamenti profondi....
...La respirazione è il tramite vitale dell’energia; è come lo spirito, che riunisce il corpo e la mente. Si dice spesso che la respirazione sia il veicolo della mente. Così, se volete calmare, o domare la mente, domate il respiro, e allora domerete abilmente la mente nel contempo.
Quando usate la respirazione, tenete la bocca leggermente aperta come se foste sul punto di dire ” aaah “. Non serve una respirazione speciale; respirate come vi viene, in maniera rilassata. A volte respirare ed essere presenti è sufficiente, ma se avete bisogno di concentrarvi perchè la vostra mente è molto agitata e turbolenta, allora centratevi sulla vostra respirazione ed identificatevi con l’espirazione.
Questa è una tecnica interessante, perchè mentre all’inzio può essere solo una semplice pratica di osservazione dell’espirazione, in seguito, se si viene introdotti in forme di meditazione più avanzate, ci si accorge che può aprire molte, molte porte. Serve quasi come preparazione per la pratica meditativa di Mahamudra o dello Dzogchen.
Osservate la respirazione, focalizzatevi sull’espirazione e identificandovi in essa. Quando espirate, il respiro si dissolve nello spazio; l’inspirazione avviene naturalmente ogni volta che i vostri polmoni si svuotano, così non dovete pensarci troppo. Non concentratevi troppo; date circa il 25% della vostra attenzione, e lasciate il resto quietamente rilassato, tutt’uno con il vostro respiro.
Usate questa tecnica per tutto il tempo che vi serve. Vi porterà maggiore chiarezza. Poi, quando vi ritroverete più centrati nella natura della vostra mente, e quando vi ritroverete in sintonia con il respiro, non dovrete più rivolgergli particolari attenzioni. Limitatevi semplicemente a riposare nella pace della vostra mente.
Tranquillamente, svegli, attenti e rilassati. Poi, cominciate nuovamente a distrarvi, ritornate ancora una volta alla respirazione.
Questa è la tecnica. Ora si tratta solo di metterla in pratica.


Testo tratto dal libro "Meditazione: cos'è e come praticarla" 
del Maestro Dzogchen Sogyal Rinpoche, Edizioni Amrita, 1991

mercoledì 12 gennaio 2011

SUL LAVORO


  SUL LAVORO
Allora un contadino disse: Parlaci del Lavoro.
E lui rispose dicendo:
Voi lavorate per assecondare il ritmo della terra e l'anima della terra.
Poiché oziare è estraniarsi dalle stagioni e uscire dal corso della vita, che avanza in solenne e fiera sottomissione verso l'infinito.
Quando lavorate siete un flauto attraverso il quale il sussurro del tempo si trasforma in musica.
Chi di voi vorrebbe essere una canna silenziosa e muta quando tutte le altre cantano all'unisono ?
Sempre vi è stato detto che il lavoro è una maledizione e la fatica una sventura.
Ma io vi dico che quando lavorate esaudite una parte del sogno più remoto della terra, che vi fu dato in sorte quando il sogno stesso ebbe origine.
Vivendo delle vostre fatiche, voi amate in verità la vita.
E amare la vita attraverso la fatica è comprenderne il segreto più profondo.
Ma se nella vostra pena voi dite che nascere è dolore e il peso della carne una maledizione scritta sulla fronte, allora vi rispondo : tranne il sudore della fronte niente laverà ciò che vi è stato scritto.
Vi è stato detto che la vita è tenebre e nella vostra stanchezza voi fate eco a ciò che è stato detto dagli esausti.
E io vi dico che in verità la vita è tenebre fuorché quando è slancio,
E ogni slancio è cieco fuorché quando è sapere,
E ogni sapere è vano fuorché quando è lavoro,
E ogni lavoro è vuoto fuorché quando è amore;
E quando lavorate con amore voi stabilite un vincolo con voi stessi, con gli altri e con Dio.
E cos'è lavorare con amore ?
E' tessere un abito con i fili del cuore, come se dovesse indossarlo il vostro amato.
E' costruire una casa con dedizione come se dovesse abitarla il vostro amato.
E' spargere teneramente i semi e mietere il raccolto con gioia, come se dovesse goderne il frutto il vostro amato.
E' diffondere in tutto ciò che fate il soffio del vostro spirito,
E sapere che tutti i venerati morti stanno vigili intorno a voi.
Spesso vi ho udito dire, come se parlaste nel sonno:
"Chi lavora il marmo e scopre la propria anima configurata nella pietra, è più nobile di chi ara la terra.
E chi afferra l'arcobaleno e lo stende sulla tela in immagine umana, è più di chi fabbrica sandali per i nostri piedi".
Ma io vi dico, non nel sonno ma nel vigile e pieno mezzogiorno, il vento parla dolcemente alla quercia gigante come al più piccolo filo d'erba;
E che è grande soltanto chi trasforma la voce del vento in un canto reso più dolce dal proprio amore.
Il lavoro è amore rivelato.
E se non riuscite a lavorare con amore, ma solo con disgusto, è meglio per voi lasciarlo e, seduti alla porta del tempio, accettare l'elemosina di chi lavora con gioia.
Poiché se cuocete il pane con indifferenza, voi cuocete un pane amaro, che non potrà sfamare l'uomo del tutto.
E se spremete l'uva controvoglia, la vostra riluttanza distillerà veleno nel vino.
E anche se cantate come angeli, ma non amate il canto, renderete l'uomo sordo alle voci del giorno e della notte.
Kalhil Gibran

© Tora Kan Dōjō