lunedì 27 febbraio 2012

Il Canto dello Zazen di Hakuin Zenji

Autoritratto di Hakuin Zenji (1686-1769)

Il Canto dello Zazen

Dall’origine, tutti gli esseri viventi sono Buddha.
È come l’acqua e il ghiaccio,
Senza acqua, niente ghiaccio,
Fuori di noi, niente Buddha.
Pertanto, noi andiamo a cercare lontano
Ciò che abbiamo sulla mano,
Come un uomo che nell’acqua gridasse: «ho sete!»,
Come un figlio ricco di nascita
Che vagabondasse in maniera interminabile tra i miserabili,
Noi vaghiamo senza fine nei sei mondi,
Vittime delle illusioni dell’ego
Prendendo vie sempre più oscure.
Quando potremo sfuggire alla nascita-e-morte?
La porta della libertà è il samadhi dello zazen,
Così è il Mahayana supremo.
Al di là di ogni lode.
Osservare i precetti, il dono, il pentimento,
Praticare le innumerevoli buone azioni e un modo di vita giusto.
Tutto questo trova la sua sorgente nello zazen.
Sedervisi, non fosse che per un sola volta, dissolve tutti gli ostacoli
e purifica il karma.
Dove sono dunque le vie oscure nelle quali noi ci sperdiamo?
La Terra pura del Loto non è lontana.
Se per caso voi ascoltate questo insegnamento,
Ammiratelo, vi troverete la gioia pura
E felicità senza limiti.
Se voi vi ci consacrate, voi scoprirete,
All’interno di voi, la vostra propria natura.
Il vostro vero io e non io,
Eccovi lontani dai raziocini inutili.
Si apre la porta dell’unità della causa e dell’effetto,
Non ci sono più due o tre vie,
Ma una sola, dritta davanti a voi.
La forma è ormai non forma.
Che andiate o che veniate,
Voi non lasciate mai la casa,
Il nostro pensiero è ora non pensiero,
La nostra danza e i nostri canti sono la voce del Dharma.
Illimitato è il cielo della pura contemplazione!,
Limpida e brillante la luna piena della Saggezza!
Che cosa c’è ancora da cercare?
Che cosa ci mancherà?
Questa terra è la Terra pura del Loto,
Questo stesso corpo è il Corpo del Buddha.

ZAZEN WASAN

SHUJŌ HONARI HOTOKE NARI
MIZU TO KŌRI NO GOTOKU NITE
MIZU O HANARETE KŌRI NAKU
SHUJŌ NO HOKA NI HOTOKE NASHI

SHUJŌ CHIKAKI O SHIRAZU SHITE
TŌKU MOTOMURU HAKANASA YO
TATOEBA MIZU NO NAKA NI ITE
KATSU O SAKEBU GA GOTOKU NARI

CHŌJA NO IE NO KO TO NARITE
HINRI NI MAYOU NI KOTONARAZU
ROKUSHU RINNE NO INNEN WA
ONORE GA GUCHI NO YAMIJI NARI

YAMIJI NI YAMIJI O FUMISOETE
ITSUKA SHŌJI O HANARU BEKI
SORE MAKAEN NO ZENJŌ WA
SHŌTAN SURU NI AMARI ARI

FUSE YA JIKAI NO SHOHARAMITSU
NENBUTSU ZANGE SHUGYŌ TŌ
SONO SHINA ŌKI SHOZENGYŌ
MINA KONO UCHI NI KISURU NARI

ICHIZA NO KŌ O NASU HITO MO
TSUMISHI MURYŌ NO TSUMI HOROBU
AKUSHU IZUKU NI ARINU BEKI
JŌDO SUNAWACHI TŌKARAZU

KATAJIKENAKUMO KONO NORI O
HITOTABI MIMI NI FURURU TOKI
SANDAN ZUIKI SURU HITO WA
FUKU O URU KOTO KAGIRI NASHI

IWANYA MIZUKARA EKŌ SHITE
JIKI NI JISH O SHŌ SUREBA
JISHŌ SUNAWACHI MUSHŌ NITE
SUDENI KERON O HANARETARI

INGA ICHINYO NO MON HIRAKE
MUNI MUSAN NO MICHI NAOSHI
MUSŌ NO SŌ O SŌ TO SHITE
YUKUMO KAERUMO YOSO NARAZU

MUNEN NO NEN O NEN TO SHITE
UTAU MO MAU MO NORI NO KOE
ZANMAI MUGE NO SORA HIROKU
SHICHI ENMYŌ NO TSUKI SAEN

KONO TOKI NANI O KA MOTOMU BEKI
JAKUMETSU GENZEN SURU YUE NI
TŌSHO SUNAWACHI RENGEKOKU
KONO MI SUNAWACHI HOTOKE NARI





Ultima Settimana di Febbraio, Prima di Marzo 2012

Buon Inizio di Settimana




giovedì 16 febbraio 2012

A Te che vuoi rafforzare il tuo 'Hara' con lo Zazen


Insegnamento di Kodo Sawaki Roshi
tratto da : http://antaiji.dogen-zen.de/ita/andich.shtml che ringraziamo.



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“Attraverso lo zazen rinforzi il tuo hara”.
Quando sai che questo hara non vale un fico, allora è vero hara è vero zazen.

Qualcuno vuole rafforzare il suo hara con lo zazen. Sarebbe meglio se bevessero il sakè da uomini veri, e scacciassero l’esattore con un urlo.

Circolano libri come “Lo Zen e l’arte di coltivare il vostro hara”. Questa cultura dello hara è proprio un modo per rendersi idioti.

Qualcuno cerca di farsi venire la pelle dura con lo zazen.

Sviluppare il vero hara significa mettere da parte le propensioni personali.

Se resta anche solo un po’ d’individualità, non è uno zazen puro, genuino. Si deve praticare il puro, genuino zazen, senza mischiarlo con altre ginnastiche o satori o qualsiasi altra cosa.
Quando ci porti dentro le tue idee personali – anche solo un po’ – non si tratta più del Buddha-dharma.

In una parola, Buddismo è “non sé” [muga]. “Non sé” significa che “io” non sono un soggetto distinto. Quando “io” non sono un soggetto distinto, allora riempio tutto l’universo. Che io riempio tutto l’universo è quello che s’intende con “tutte le cose sono vera forma”.

Vero dharma significa: niente da guadagnare.
Falso dharma significa: qualcosa da guadagnare.
Dobbiamo perdere quanto più possibile.

Se pratichi lo zazen quando sei sopraffatto da sensazioni di piacere, rabbia, dispiacere e gioia, queste sensazioni infesteranno il tuo zazen come un terribile fantasma.

Non portarti niente nello zazen: né il Buddha-dharma né armi da fuoco – e soprattutto non una donna.

La via del Buddha significa che non c’è niente da cercare, niente da trovare [mushogu-mushotoku]. Se c’è qualcosa da trovare, non ha importanza per quanto tempo si pratica, non ha niente a che vedere con il Buddha-dharma. Se non c’è niente da trovare, è proprio lì che è il Buddha-dharma.

Qualsiasi cosa sia che cerchi di afferrare, non ci riuscirai.
Il vero benessere consiste nel non afferrare. E’ far splendere la nostra luce interiore e rifletterla su noi stessi. Se facciamo un passo indietro, vediamo che non c’è niente da afferrare, niente da inseguire e niente da cui fuggire. La forma della realtà non nasce e non passa, non è né pura né impura, non cresce né decresce.

Il monaco Yakuzan sta praticando lo zazen e il suo maestro, Maestro Sekito, gli chiede, “Cosa stai facendo lì?”
“Non sto facendo proprio niente.”
“Se non stai facendo proprio niente, significa che stai semplicemente passando il tempo?”
“Se stessi passando il tempo, mi starei dedicando a un passatempo, ma non sto neanche facendo questo.”
“Dici che non stai facendo niente. Cos’è che non stai facendo?”
“Neanche mille saggi sarebbero in grado di dargli un nome.”
Niente è tanto quieto e nobile quanto questo zazen cui nemmeno mille saggi sarebbero in grado di dare un nome, lo zazen praticato da Yakuzan ed elogiato dal Maestro Sekito.
Nei giorni nostri esistono dei maestri con cui puoi sedere per una settimana, e per una buona somma di denaro ti viene garantita un’esperienza di kensho. E’ evidente che niente del genere ha nulla a che fare con lo zazen di Yakuza cui nemmeno mille saggi sarebbero in grado di dare un nome. Sedere e praticare quello a cui nemmeno mille saggi sarebbero in grado di dare un nome, significa semplicemente sedere, shikantaza.

In questi tempi si parla molto di zazen. Il problema è semplicemente questo: cosa cercano col loro zazen? Uno strumento per coltivare il loro hara, rafforzare la loro personalità, ottenere il satori e altro ancora. Anche dei piccoli monaci chiamano l’insegnamento con i koan ‘indovinelli’.
Tutto questo non è altro che il Buddha-dharma dal punto di vista della gente comune. Noi dobbiamo osservare il Buddha-dharma con gli occhi del Buddha-dharma. Questa è la ragione per cui è così raro che lo stesso zazen pratichi realmente lo zazen.

Qualcuno vuole usare lo zazen per diventare migliore. Questo non è altro che cosmesi.

Questa non è una scuola! Quello che stiamo cercando di fare è diventare una lavagna vuota. Qui non c’è niente da guadagnare. Qui non c’è altro che perdere nello stesso tempo illusione e saggezza.

Il Buddha-dharma non ha niente a che vedere col trasformare le persone normali in persone speciali.

Lo zazen ha luogo quando smetti di sgomitare con gli altri per passare avanti.

Tutte le mattine ti fai una nuotata nell’acqua fredda? Lo fanno sempre anche i pesci rossi.
Hai smesso di fumare? Si, così...? Neanche i gatti fumano.
Per quanto ti possa vantare di come fai questo ed eviti questo altro, non è niente più che vagare nel mondo dell’impermanenza.

Lo zazen non ti elogia – e lo zazen non ti rimprovera.

La vera religione è il mondo senza artifici.

Ogni cosa è buona così com’è. Non c’è bisogno di perderci la testa dietro.

Tutti pensano di avere qualcosa da aggiungere al proprio zazen o nembutsu.
Non occorre aggiungere nulla.

Per quanto inusuali e mistiche possano essere le tue esperienze, non dureranno tutta la vita. Prima o poi svaniranno.

Le persone comuni cercano miracoli e magie. Gli piacciono i giochi di prestigio.

Alle persone comuni, per natura non piace la pratica, vogliono solo il satori. Vogliono guadagnare denaro senza lavorare. Questo è il motivo per cui fanno la fila agli sportelli del lotto. E non vogliono il vero dharma, ma sciamano verso le nuove sette che promettono il paradiso in terra.

Ti attacchi al satori, ti attacchi al denaro, ti attacchi alla posizione e al nome, ti attacchi al sesso. Non attaccarsi è quello che s’intende con il Buddha-dharma.

Zazen è la postura di un adulto, non di un bambino.


domenica 12 febbraio 2012

Una Lezione sul Sutra del Cuore / A lesson on Heart Sutra (ITA / ENG)

A Gennaio 2012 Sensei P.Taigō Spongia, dopo una sessione di Zazen al Tora Kan Dōjō, ha offerto una lezione sul Sutra del Cuore di cui pubblichiamo un'estratto.
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Il Maka Hannya Haramita Shingyo  è il ‘Sutra Cuore della Perfezione della Saggezza’, della ‘Saggezza Trascendente’ o della ‘Saggezza che va oltre’.
In una pagina condensa i 600 volumi della Prajña Paramita.
La letteratura della Prajña Paramita si è sviluppata tra il 200 e il 400 A.C.

La Saggezza a cui allude il titolo del Sutra non è l’ordinaria conoscenza ma la nostra innata, originale, intuitiva connessione con il Principio Fondamentale che in Sanscrito è definito  Prajña.
Una Saggezza che non deriva dalla nostra piccola mente ma scaturisce intuitivamente dalla Grande Mente, dall’Ordine Cosmico, come amava definirlo Deshimaru Roshi.
Dobbiamo ‘usare’ il Sutra, viverlo, non leggerlo come si leggerebbe un documento archeologico…
I Sutra non vanno ‘vivisezionati’ con la mente analitica ma bisogna, in qualche modo, ‘respirarne’ il significato

Nel prologo del Sutra, Shariputra, discepolo del Buddha chiede al suo Maestro come poter ottenere la Perfetta Sapienza e il Buddha, come risposta, chiede ad Avalokiteśvara (Kannon in Giapponese) il Bodhisattva della Compassione e della Vera Libertà di spiegarlo per lui.
Si rivolge ad Avalokiteśvara perché questi vive profondamente, incarna la Prajña Paramita non si limita a farne oggetto di pensiero ma è in unità con essa.
Shariputra ascolta l’Insegnamento, non dice una parola, con l’animo assetato ascolta la parola del Maestro che conosce ciò di cui ha bisogno.

Quando sediamo in Zazen (e possibilmente anche dopo) stiamo praticando, esperendo, la Perfetta Saggezza.
Lo Zazen è il grande Maestro, ci insegna che se discriminiamo sulla base del nostro ego siamo destinati a soffrire.

Dunque il Sutra si apre così:

Kan jī zai Bōsa-tsu.
Gyō jin Han nyā Hā rā mi tā jī.
Shō ken gō on kai ku.
Dō is-sai kū yaku.

Il Bodhisattva della Compassione e della Vera Libertà
praticando profondamente la Perfezione della Saggezza
vede chiaramente che il corpo ed i Cinque Aggregati non sono altro che Vacuità,
e, grazie a questa realizzazione, supera la sofferenza (aiuta tutti gli esseri che soffrono)

Praticando Profondamente’ significa essere capaci di guardare oltre la superficie delle cose.
Riuscire a penetrarne l’essenza riconoscendola Vuota.

I 5 Skandhas, termine sanscrito per ‘aggregati’, sono: Forma, Sensazione, Percezione, Formazioni Mentali, Coscienza (o consapevolezza), sono anche definiti i 5 ruscelli o fonti dell’esistenza.
Abitualmente quando diciamo: ‘me’ o ‘mio’o ‘me stesso’ esprimiamo una qualche idea che abbiamo sul concetto di ‘essere’. Ma nel Buddha Dharma diciamo che non esiste un sé permanente, una realtà che può dirsi separata dal tutto.
Quel che incontriamo e che definamo ‘noi stessi’ o ‘qualcun altro’  è il risultato composito di forma, sensazione, percezione, fattori mentali e coscienza. E, all’interno di questa composizione, così come all’interno dei singoli aggregati, non può essere trovato alcun sé separato.


Il Bodhisattva Avalokiteśvara praticando profondamente la Prajña Paramita
vede chiaramente che i Cinque Aggregati nella loro essenza sono Vuoti,
e, grazie a questa realizzazione, fu salvato dalla sofferenza (aiuta tutti gli esseri che soffrono).

Nessuna esistenza ha un sé permanente ed è fondamentalmente vuota, vuota, per l’appunto di una realtà separata.
Vuoto, Śūnyatā, Kū o Kara (termine che dovrebbe essere familiare ai karateka) vuol anche dire interdipendente.
Quando prepariamo un dolce dobbiamo unire gli ingredienti: farina, acqua, zucchero, uova, lievito… li mescoliamo, cuociamo ed abbiamo il dolce. Ovvero, diciamo di aver ottenuto una torta.
Mangiamo la torta e la torta è reale e la bocca con cui viene in contatto, la bocca che la gusta, è reale. Ma la torta è vuota e anche la bocca è vuota, sono entrambi vuoti di un sé indipendente e separato.
Quello che fa di una torta l’essere torta è la bocca che la gusta e ciò che fa la bocca è quel che vien gustato.
La torta è composta dei suoi ingredienti e la vediamo nella sua forma ma se la pensiamo come un’entità indipendente, questa è illusione.
La torta, come qualsiasi altra cosa, ha una momentanea esistenza in forma di torta.
Quello che fa la torta nella sua transitoria manifestazione non sono solo gli ingredienti ma anche il calore del forno che l’ha cotta, il tavolo su cui è stata impastata, il cucchiaio, le mani di chi l’ha impastata, il cielo e la terra… La torta per manifestarsi in questa forma dipende da ogni altra cosa dell’Universo. La torta è dunque manifestazione della vita universale tanto quanto lo è un essere umano, la forma non è che manifestazione del Vuoto e il Vuoto non è che forma.
Si potrebbe usare anche l’analogia dell’acqua e dell’onda.
L’onda è una espressione dell’acqua, l’onda non è altro che acqua e l’acqua non può essere altro che l’onda in quel preciso momento. Dunque l’onda non ha una sua entità separata, il suo ‘essere’ è acqua.
Questo è dunque quel che si intende quando si dice ‘essere vuoto’, essere vuoto significa pertanto ‘essere pieno’ di ogni altra cosa e vuoto di un sé separato.
Quando il Buddha afferma qualcosa il suo contrario è anche incluso nella sua affermazione.
Non-dualità della dualità.

Vedere le cose come realmente sono, impermanenti e vuote, è il Satori, il Risveglio, la fine della sofferenza.
Questo non significa che si sarà esenti dal dolore, la vita nella sua essenza è dolorosa, ma avremo imparato ad accettare la pena, il dolore, la gioia, come ingredienti della torta che è la nostra vita.
Se comprendiamo questo, e si tratta di una comprensione intima, esperienziale, a cui ci conduce lo Zazen, sapremo accettare ed apprezzare la nostra vita qualunque cosa ci porterà ad incontrare.
Questa maturità è quel che sperimentiamo in Zazen.
In Zazen accogliamo ad ogni momento quel che ci viene incontro: c’è gioia e siamo solo gioia, dolore e siamo solo dolore, con profondo apprezzamento inchinandoci in Gasshō.
Questa capacità di visione è Illuminazione, per questo diciamo che Zazen è la pratica dell’Illuminazione.
La pratica è nel non discriminare, non scegliere, non afferrare né respingere.
Nel Buddhismo Hinayana (Piccolo Veicolo) c’è il tentativo di coltivare il Nirvana evitando il Samsara: ma il Buddhismo Mahayana afferma che Samsara  e Nirvana sono unità e che non si può trovare liberazione al di fuori della vita e della morte.
La Forma (il Samsara) è espressione del Vuoto.
Se vuoi conoscere il Vuoto non puoi mettere da parte la Forma. Se vuoi toccare il Vuoto, prenditi cura della Forma, del Vuoto nella sua manifestazione.

O Shariputra,
Ciò che vedi è vuoto, vuoto è ciò che vedi.
I fenomeni non sono diversi dalla Vacuità,
la Vacuità non è diversa dai fenomeni (Forma non è che Vuoto, Vuoto non è che Forma);
i fenomeni diventano Vacuità,
la Vacuità diventa i fenomeni;
e per la percezione, il pensiero, la volontà e la coscienza vale la stessa cosa.

o Shariputra (accetta!!)
ogni esistenza ha il carattere della Vacuità.
(ogni cosa del Vuoto è segno. E’ vuoto/segno):
non c’è nascita né morte,
non c’è impurità né purezza,
non c’è crescita né declino.

Tutti i dharma hanno il carattere della Vacuità, sono vuoto/segno recita il Sutra.
Il Vuoto è la possibilità della forma.
Come l’acqua assume la forma del contenitore così la forma dello Zazen ‘informa’ le sensazioni, le percezioni, i pensieri che durante Zazen sorgono.
Il nostro corpo e la nostra coscienza assumono la forma dello Zazen.
La forma scaturisce dall’assenza di forma e l’assenza di forma è la scaturigine di quel che è manifesto, e sono unità.
La vita e la morte sono unità (Shūshōgi)
Samsara e Nirvana non possono essere separati.

O Shariputra recita il Sutra, accetta tutto ciò, accetta che la natura delle cose sia l’apparire e lo scomparire e sarai libero dalla sofferenza.
In questa comprensione e accettazione tutte le paure scompaiono.
Lo zazen ci insegna che se discriminiamo sulla base del nostro ego siamo destinati a soffrire.
Nascita e morte sono solo concetti creati dalla mente, così puro e impuro.
Noi costruiamo l’idea della purezza e la conseguenza è l’impurità.
Il Buddha afferma che niente è contaminato e niente è immacolato.
All’Imperatore che gli chiedeva riguardo l’essenza dell’Insegnamento del Buddha, Bodhidharma rispose: ‘Kakunen Mushō’ ‘Un Vuoto insondabile e nulla di Sacro!”
Non c’è niente da migliorare. Questa vita non ha un obiettivo da raggiungere, è un puro viaggio, un gioco.
Il credersi sradicati dal Tutto (Avidyā, ignoranza) è all’origine della sofferenza.
Ci si percepisce come un frammento isolato in un Universo estraneo a causa della mediazione distorta del pensiero. Quel pensiero che misura e divide (mente da mensura= misurare).
Sebbene le cose sembrino apparire e scomparire, nulla è in realtà apparso o scomparso, come le onde del mare non appaiono e scompaiono ma si muovono.
Così puro e impuro: guardiamo alla spazzatura e diciamo che è impura poi guardiamo del cibo e diciamo che è puro… ma in realtà tutto è spazzatura così come tutto è puro cibo.
Ogni cosa si sta ‘decomponendo’ di momento in momento e, di momento in momento, sta venendo alla vita. Si compone e decompone nello stesso tempo.
Anche se in realtà le cose non sono pure né impure poiché viviamo nel mondo dei sensi dobbiamo prestare attenzione al puro ed impuro così siamo costretti a discriminare e dire: ‘Questo è bene’ e ‘Questo è male’, ‘Questo è giusto e questo, sbagliato’.
Nella nostra vita quotidiana non possiamo non fare uso di un pensiero dualista, è strumento necessario per muoversi nel mondo della forma, ma, dobbiamo essere in grado di vedere l’altro lato.
La nostra discriminazione non deve fondarsi sul nostro essere ego-centrati: mi piace questo, non mi piace quello. Dobbiamo imparare a spostare la nostra discriminazione da ‘me’ a ‘tutto’ decidendo, di momento in momento, a seconda di quello che la situazione richiede per il bene di tutti, non solo per il nostro beneficio.
In genere, quando siamo chiamati ad esprimerci nella maggior parte delle situazioni partiamo dal punto di vista del nostro guadagno invece dobbiamo cambiare la prospettiva.

non c’è crescita né declino (non cresce/decresce)

Tutto cambia e si trasforma ma, nel cambiamento, ogni cosa ‘è’ sé stessa di momento in momento.
Dōgen Zenji dice: “Il legno non diventa cenere così come la cenere non può tornare ad essere legno’. La cenere, sempre a causa della nostra discriminazione, ci sembra derivare dal legno ma in realtà il legno vive totalmente la vita del legno e la cenere la vita della cenere.
Se poteste chiedere alla cenere: ‘Lo sai che una volta eri legna da ardere? vi risponderebbe: ‘ Di cosa stai parlando? Non so nulla di legna da ardere.’
Così se qualcuno ci dicesse:’Sai che in passato sei stato una roccia in una foresta ?’ risponderemmo allo stesso modo.
Entrambi i punti di vista sono necessari: le cose sono quel che sono e allo stesso tempo sono in costante trasformazione.


Perciò nella Vacuità non vi sono
né fenomeni, né percezione, né pensiero, né volontà, né coscienza,
né occhi, né orecchie, né naso, né lingua, né corpo, né mente,
né colori, né suoni, né odori, né gusti, né sensazioni tattili, né concetti,
né conoscibile,
né conoscenza,
né ignoranza,
né fine dell'ignoranza,
né degenerazione e morte,
né fine della degenerazione e della morte,
né Sofferenza, né Causa, né Cessazione, né Via,
né saggezza,
né profitto,
né non-profitto.

Il Sutra del Cuore è il Sutra della negazione: spazza via ogni cosa per mostrare l’essenza.

Nel Vuoto non c’è occhio-orecchio- naso-lingua-corpo-mente, non più colore-suono-olfatto-gusto-tatto-pensiero…

Senza oggetto della visione l’occhio non è un occhio. Al fine di avere la coscienza c’è bisogno di un organo e di un oggetto e tutti e tre, organo, oggetto e coscienza sono interdipendenti.
L’occhio, l’oggetto della vista e la coscienza, insieme, fanno sì che io riconosca questo come un libro. Anche se possiamo considerarlo un oggetto in realtà non c’è un oggetto che esiste di per sé nell’accezione comune del termine. L’oggetto è parte della coscienza perché la coscienza ‘crea’ l’oggetto.
“non c’è naso-occhio…” significa che ogni cosa dipende da qualsiasi altra. Il naso è un naso perché c’è l’odore e la coscienza olfattiva, quindi un  naso è un naso ma è anche l’universo intero.
Ci vuole l’Universo intero perché ci sia un orecchio.
Non potrete mai cantare né danzare davvero se non capite questo.

‘Non vita né morte…’
Il Buddha dice che non c’è inizio né fine al fiume della vita. E’ circolare quindi solo arbitrariamente possiamo stabilire un inizio ed una fine, ma si tratta di una convenzione arbitraria, in realtà stiamo convenzionalmente scegliendo due punti di una circonferenza.
Rinascita, che non ha niente a che vedere con la paura di morire che ci fa sperare di reincarnarci, è trasformazione di energia in altre forme. A volte, è paragonato all’accendere una candela con un’altra. Possiamo dire che una fiamma nacse dall’altra ma non possiamo dire che si tratta della stessa fiamma.
E’ una continua trasformazione in cui nulla può essere realmente trattenuto.
La causa della sofferenza risiede nel tentativo di trattenere il flusso della vita.

Per il Bodhisattva,
grazie alla Perfezione della Saggezza
che conduce al di là (senza velo della mente),
non esistono né ostacoli né paura;
illusione ed attaccamento vengono allontanati,
e può così raggiungere il Nirvana.

Tutti i Buddha dei tre Tempi,
grazie alla Perfezione della Saggezza,
ottengono
il completo Risveglio.

Si potrebbe anche rendere così:
Con nulla da ottenere un Bodhisattva si fonda sulla Prajña Paramita e la mente non è più d’ostacolo’.
Pratica e Realizzazione coincidono (Shū Shō Ichinyo)
Non andiamo a scuola per imparare abbastanza  per poi andare all’università per poi trovare un buon lavoro per mantenere una famiglia e così via… Così come non mangiamo allo scopo di defecare, affermava Sawaki Roshi parlando agli studenti universitari.
Nella pratica lo ‘scopo’ è tornare a dove sei. Non c’è nessun luogo dove andare. Il Risveglio è essere dove sei, pienamente, e permettere alla tua mente illuminata di esprimersi.

Così non è che Grande d’Incanto il Mantra,
Grande di Sapienza il Mantra, Mantra Supremo,
Impari Mantra, non falso invero da ogni miseria salva, la Prefetta Sapienza.
Il Mantra si dispiega e dice:

Gyate(i) Gyate (i)
Hara Gyate(i), Hara so Gyate(i)
Boji Sowaka

Andare, andare,
andare insieme al di là,
andare al di là dell'al di là,
fino al Satori.

Sutra del Cuore della Saggezza.

 Il Sutra termina dunque con un Mantra:

Gyate(i) Gyate (i)
Hara Gyate(i), Hara so Gyate(i)
Boji Sowaka
oppure
 Gate, Gate
Paragate, Parasamgate
Bodhi Svaha

Che viene definito: Mantra Supremo, Mantra di Sapienza.
Il Mantra favorisce l’assorbimento o la concentrazione (un vento puro che scaccia via i pensieri).
Ma in realtà nei 600 volumi della Prajña Paramita non ci sono Mantra così dovremmo chiederci perché il Sutra del Cuore termina con un Mantra.
La nostra vita nella pratica è un Mantra.
La ripetizione, l’esercizio, nella concentrazione della pratica, non è qualcosa di ‘ripetitivo’, proprio come recitare un Mantra non è ‘ripetizione’.
Si crea un dinamismo energetico da questo tornare a Zero attraverso la forma e questo tornare a Zero genera un  potere spirituale.
Il programma quotidiano di un dojo, di una Sesshin, è un Mantra.
Attraverso il potente, dinamico, Mantra della forma, la Prajña Paramita si manifesta e può essere esperita.
Quando offriamo un bastoncino d’incenso, invitiamo Prajña a permeare la nostra pratica, invitiamo il Buddha ad unirsi a noi.
La nostra vita ha un ritmo, per quanto rozza o evoluta possa essere, e questo ritmo è un Mantra.
Sta a noi scegliere che Mantra recitare nella nostra vita.
‘Andato, andato…’ andato dalla materia, dal corpo, dal tangibile, dalla vita e dalla morte, oltre la mente ed il pensiero, oltre il ‘sé’, l’ego, ‘andato completamente al di là’: ha fatto ritorno a casa, Che Risveglio ! Che Gioia !
L’andare costantemente ‘al di là’ deve divenire il modo di condurre la nostra vita, al di là di ogni nome e forma. Questo, potrebbe essere il messaggio, condensato in poche parole, di tutto l’Insegnamento del Buddha.
Tu sei un Buddha, e se non ti riconosci tale, soffrirai.



English Version
(thanks to Maura Garau)

In January 2012 Sensei P.Taigō Spongia, after a session of Zazen at the Tora Kan Dōjō, offered a lesson on the Heart Sutra. We publish an extract of it.

Maka Hannya Haramita Shingyo is the 'Heart Sutra of the Perfection of Wisdom' or 'Transcendent Wisdom' or 'Wisdom that goes Beyond'. On one single page, it condenses the 600 volumes of Prajña Paramita. The Prajña Paramita literature developed between 200 and 400 b.C.  The Wisdom to which the title of the Sutra alludes is not the ordinary knowledge but our innate, original, intuitive connection with the Fundamental Principle which in Sanskrit is called Prajña.
A Wisdom that does not derive from our little mind but flows intuitively from the Great Mind, from the Cosmic Order, as Deshimaru Roshi loved to call it. We must 'use' the Sutra, live it, do not read it as if it was an archaeological document... The Sutras are not to be 'vivisected' with the analytical mind, but we must somehow 'breathe' their meaning.
In the prologue of the Sutra, Shariputra, a disciple of the Buddha asks his Master how to obtain Perfect Wisdom and the Buddha, as an answer, asks Avalokiteśvara (Kannon in Japanese) the Bodhisattva of Compassion and True Liberty to explain it for him.
Buddha asks Avalokiteśvara because he lives the Prajna Paramita deeply, it embodies it and is not limited to make it an object of thought - he is in unity with it.
Shariputra listens to the Teaching, does not say a word - with a thirsty soul listens to the Master's words because the Master knows what he needs.


When we sit in Zazen (and possibly even later) we are practicing, perfecting, the Perfect Wisdom.
Zazen is the great Master, he teaches us that if we discriminate on the basis of our ego we are destined to suffer.
So the Sutra opens like this:

Kan jī zai Bōsa-tsu.
Gyō jin Han nyā Hā rā mi tā jī.
Shō ken gō on kai ku.
Dō is-sai kū yaku.

'The Bodhisattva of Compassion and True Liberty practicing profoundly the Perfection of Wisdom clearly sees that the body and the Five Aggregates are nothing but emptiness, and, thanks to this realization, he overcomes suffering (he helps all beings who suffer)'


'Practicing profoundly' means being able to look beyond the surface of things.
Being able to penetrate their essence by recognizing it as Empty.
The 5 Skandhas, the Sanskrit term for 'aggregates', are: Form, Sensation, Perception, Mental Formations, Consciousness (or awareness), also defined as the 5 streams or sources of existence.
Usually when we say 'me' or 'my' or 'myself' we express some idea we have about the concept of 'being'. But in the Buddha Dharma we say that there is no permanent self - no reality that can be said to be separated from the whole.
What we find and define 'ourselves' or 'someone else' is the composite result of form, sensation, perception, mental factors and consciousness. And within this composition, as well as within the individual aggregates, no separated self can be found.

'The Bodhisattva Avalokiteśvara practicing deeply the Prajna Paramita clearly sees that the Five Aggregates in their essence are Empty, and, thanks to this realization, he was saved from suffering (he helps all the suffering beings).'


No existence has a permanent self - it is fundamentally empty, empty precisely of a separate reality.
Emptiness, Śūnyatā, Kū or Kara (a term that should be familiar to karatekas) also means interdependent.
When we prepare a cake we must combine the ingredients: flour, water, sugar, eggs, yeast ... we mix them, cook them and get the cake. That is: we say we have the cake. We eat the cake and the cake is real and the mouth with which it comes in contact, the mouth that tastes it, is real. But the cake is empty and even the mouth is empty, both are empty of an independent and separate self.
What makes a cake is a mouth that tastes it, and what makes the mouth is that which is tasted.
The cake is made of its ingredients and we see it in its shape but if we think of it as an independent entity, this is an illusion.
Like anything else, the cake has a momentary existence in the form of a cake.
What makes the cake in its transient manifestation are not only the ingredients but also the heat of the oven that cooked it, the table on which it was kneaded, the spoon, the hands of those who kneaded it, the sky and the earth... The cake - to manifest itself in this form -depends on everything else in the Universe. The cake is therefore a manifestation of the universal life as much as a human being is, the form is only a manifestation of the Void and the Void is nothing but form.
The analogy of water and wave could also be used.
The wave is an expression of water, the wave is nothing but water and the water can only be the wave at that precise moment. So the wave does not have its own separate entity, its 'being' is water.
This is therefore what is meant when we say 'being empty':  'being full' of everything else and empty of a separate self.
When the Buddha affirms something, his opposite is also included in his statement.
Non-duality of duality.
Seeing things as they really are - impermanent and empty - is Satori, Awakening, the end of suffering.
This does not mean that you will be free from pain, life in its essence is painful, but you will learn to accept the pain, sorrow, joy, as ingredients of the cake that is our life.
If we understand this - and it is an intimate, experiential understanding toward which Zazen leads us - we will know how to accept and appreciate our life whatever it takes us to meet.
This maturity is what we experience in Zazen.
In Zazen, in every moment we welcome what comes to us: there is joy and we are only joy, pain and we are only pain, with deep appreciation, bowing in Gasshō.
This ability to see is the enlightenment, so we say that Zazen is the practice of enlightenment.
The practice is in not discriminating, not choosing, not grasping nor rejecting.
In Hinayana Buddhism (Small Vehicle) there is an attempt to cultivate Nirvana by avoiding the Samsara (the Form). Mahayana Buddhism states that Samsara and Nirvana are unity, and liberation cannot be found outside of life and death.
The Form (Samsara) is an expression of the Void.
If you want to know the Void you cannot put the Form aside. If you want to touch the Void, take care of the Form, of the Void in its manifestation.

O Shariputra, what you see is empty, empty is what you see.
The phenomena are not different from Emptiness.
Emptiness is not different from phenomena (Form is nothing but Void, Void is but Form).
The phenomena become emptiness, Emptiness becomes the phenomena;
and for the perception, the thought, the will and the conscience it is the same thing.

O Shariputra (accept !!)
every existence has the character of Emptiness.
(everything is a sign of the Void. It is empty/sign):
there is no birth or death,
there is no impurity or purity,
there is no growth or decline.
All dharmas have the character of Emptiness, I am empty/sign recites the Sutra.
The Void is the possibility of the form.

As water assumes the shape of the container so the form of the Zazen 'informs' the sensations, perceptions, thoughts that arise during Zazen.
Our body and our consciousness take the form of Zazen.
The form springs from the absence of form and the absence of form is the source of what is manifest, and they are unity.
Life and death are unity (Shūshōgi) Samsara and Nirvana cannot be separated.
O Shariputra recites the Sutra, accept all of this, accept that the nature of things is to appear and disappear and you will be free from suffering.
In this understanding and acceptance,  all fears disappear.
Zazen teaches us that if we discriminate on the basis of our ego, we are destined to suffer.
Birth and death are only concepts created by the mind, and so are pure and impure.
We build the idea of purity and the consequence is impurity.
The Buddha states that nothing is contaminated and nothing is immaculate.
To the Emperor who asked him about the essence of the Buddha's Teaching, Bodhidharma replied: 'Kakunen Mushō' 'An unfathomable emptiness and nothing sacred! "
There is nothing to improve. This life does not have a goal to achieve, it is a pure journey, a game.
To believe oneself as uprooted from the Whole (Avidyā, ignorance) is at the origin of suffering.
One perceives oneself as an isolated fragment in a foreign Universe because of the distorted mediation of thought. That thought which measures and divides (mind from mensura = to measure).
Although things seem to appear and disappear, nothing has actually appeared or disappeared, as the waves of the sea do not appear and disappear but move.
So pure and impure: we look at the garbage and say it is impure then we look at food and say it is pure ... but in reality everything is rubbish as well as everything is pure food.
Everything is decomposing from moment to moment and from moment to moment it is coming to life. It is composed and decomposed at the same time.
Although in reality things are not pure or impure since we live in the world of the senses we must pay attention to the pure and impure so we are forced to discriminate and say: 'This is good' and 'This is bad', 'This is right and this wrong'.
In our daily life we cannot but make use of a dualistic thought, it is a necessary tool for moving in the world of form, but we must be able to see the other side.
Our discrimination should not be based on our ego-centered being: I like this, I do not like that. We must learn to shift our discrimination from 'me' to 'everything' by deciding, from moment to moment, depending on what the situation requires for the good of all, not just for our benefit.
In general, when we are called to express ourselves in most situations we start from the point of view of our gain, but we have to change that perspective.
There is no growth or decline (it does not grow/decrease)
Everything changes and transforms but, in changing, everything 'is' itself from moment to moment.
Dōgen Zenji says: "Wood does not become ash as ash cannot return to wood." Ash - again because of our discrimination - seems to derive from wood but in reality, wood lives the life of wood and ash the life of ash.
If you could ask the ashes: 'Do you know that you were once firewood?' it would answer: 'What are you talking about? I do not know anything about firewood.'
So if someone told us: 'Do you know that in the past you were a rock in a forest?' we would reply in the same way.
Both points of view are necessary: things are what they are and at the same time they are in constant transformation.

Therefore in Emptiness there are
neither phenomena, nor perception, nor thought, nor will, nor conscience,
nor eyes, nor ears, nor nose, nor tongue, nor body, nor mind,
no colors, no sounds, no smells, no tastes, no tactile sensations, no concepts,
nor knowable,
nor knowledge,
nor ignorance,
nor end of ignorance,
neither degeneration nor Death,
nor end of degeneration and death,
neither Suffering, nor Cause, nor Cessation, nor Way,
neither wisdom,
nor profit,
nor non-profit.

The Heart Sutra is the negation Sutra: it sweeps away everything to show the essence.
In the Void there is no eye, ear-nose-language-body-mind, nor color-sound-smell-taste-tact-thought...
Without the object of vision, the eye is not an eye. In order to have the conscience there is the need of an organ and of an object, and all three, organ, object and consciousness, are interdependent.
The eye, the object of sight and the conscience, together, make it possible for me to recognize this as a book. Even if we can consider it as an object, in reality there is no object that exists by itself in the common meaning of the term. The object is part of the consciousness because the consciousness "creates" the object.
'there is no nose-eye...' means that everything depends on any other. The nose is a nose because there is the smell and the olfactory conscience, so a nose is a nose but it is also the whole universe.
It takes the whole Universe to have an ear.
You can never really sing or dance if you do not understand this.

'No life nor death ...'
The Buddha says that there is no beginning or end to the river of life. It is circular therefore only arbitrarily can we establish a beginning and an end, but it will be an arbitrary convention. In reality we are conventionally choosing two points of a circumference.
Rebirth, which has nothing to do with the fear of dying that makes us hope to reincarnate, is the transformation of energy into other forms. Sometimes, it is likened to lighting a candle with another. We can say that one flame is born from the other but we cannot say that it is the same flame.
It is a continuous transformation in which nothing can really be held back.
The cause of suffering lies in trying to hold back the flow of life.

For the Bodhisattva,
thanks to the Perfection of Wisdom that leads beyond (without the veil of the mind),
there are neither obstacles nor fear;
illusion and attachment are removed,
and thus it is possible to reach Nirvana.

All the Buddhas of the three Temples,
thanks to the Perfection of Wisdom,
obtain
the complete Awakening.

One could also say it this way: 'With nothing to obtain a Bodhisattva is based on the Prajña Paramita and the mind is no longer an obstacle'.
Practice and Realization coincide (Shū Shō Ichinyo).
We do not go to school to learn enough in order to go to university and then find a good job to support a family and so on... And we do not eat to defecate, Sawaki Roshi said, speaking to university students.
In practice, the 'purpose' is to go back to where you are. There is no place to go. Awakening is being where you are, fully, and allowing your enlightened mind to express itself.
So it is Full of Enchantment the Mantra,
Full of Wisdom the Mantra, Supreme Mantra,
Uncomparable Mantra, not false, it will save from any misery, the Perfect Wisdom.
The Mantra unfolds and says:

Gyate(i) Gyate (i)
Hara Gyate(i), Hara so Gyate(i)
Boji Sowaka 
Going, going,
going together beyond,
going beyond the beyond,
up to the Satori.
Sutra of the Heart of Wisdom.
The Sutra therefore ends with a Mantra:
Gyate (i) Gyate (i)
Hara Gyate (i), Hara so Gyate (i)
Boji Sowaka


or

Gate, Gate
Paragate, Parasamgate
Bodhi Svaha


Which is defined: Supreme Mantra, Mantra of Wisdom.
This Mantra favors absorption or concentration (a pure wind that drives away thoughts).
But in reality, in the 600 volumes of Prajña Paramita there are no Mantras so we should ask ourselves why the Heart Sutra ends with a Mantra.
Our life in the practice is a Mantra.
Repetition, exercise, in the concentration of the practice, is not something 'repetitive', just like reciting a Mantra is not 'repetition'.
An energetic dynamism is created from this return to Zero through the form and this return to Zero generates a spiritual power.
The daily program of a dojo, of a Sesshin, is a Mantra. Through the powerful, dynamic Mantra of the form, the Prajna Paramita manifests itself and can be experienced. When we offer an incense stick, we invite Prajña to permeate our practice, we invite the Buddha to join us.
Our life has a rhythm, however crude or evolved it may be, and this rhythm is a Mantra.
It is up to us to choose which Mantra we want to recite in our life.
'Gone, gone ...' gone from matter, from the body, from the tangible, from life and death, beyond the mind and the thought, beyond the 'self', the ego, 'gone completely beyond': he returned at home, What an awakening! What a joy!
Going constantly 'beyond' must become the way to lead our lives, beyond any name and form. This could be the message, condensed in a few words, of the whole Teaching of the Buddha. You are a Buddha, and if you do not recognize yourself as such, you will suffer.



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