"Si viene al mondo con un'inspirazione e lo si lascia espirando." Racchiusa fra questi due limiti si dispiega la nostra esistenza, lo scambio continuo con il mondo che ci permea e le sue leggi trascendenti. E' messa in evidenza, in questi pensieri del Maestro di Spada Enrico Salvi, l'illusione dell'autonomia e della predominanza del pensiero e della volontà dell'individuo sull'Essere. L'individuo pensante viene qui tratteggiato piuttosto come servo del proprio Respirare.
Kokyu ni rei: l’inchino
riverente al Respiro. Chi ha mai pensato di inchinarsi al proprio Respiro? Di
rendere omaggio a Ciò che ci fa vivere? In genere respiriamo senza saperlo. Non
ci accorgiamo minimamente che il Respiro è, alla lettera, il nostro signore e
padrone. Nessuno può dire “sono io che respiro” dato che è esattamente il
contrario, e quindi si deve dire “è il Respiro che respira (in) me”. Accorgersi
di ciò, porre attenzione al Respiro il più spesso possibile, può cambiare la
vita, sciogliendola dalla catena delle tensioni mentali e corporali che
l’annichilano.
Il Respiro ci tiene in
pugno. Misericordiosamente in pugno, visto che è grazie ad esso che possiamo
pensare e fare tutto ciò che pensiamo e facciamo. Il Respiro è un padrone
discreto, rispettoso del nostro libero arbitrio e perciò non interferisce su
ciò che pensiamo e facciamo, ed anzi, essendo un padrone anche molto sensibile,
è ciò che pensiamo e facciamo che può influenzarlo calmandolo o agitandolo,
ovviamente ricevendone in cambio la stessa moneta. In ogni caso noi non abbiamo
alcun vero potere sul Respiro che è del tutto autonomo: non possiamo gestirlo a
nostro totale piacimento, non possiamo farne a meno o sospenderlo per tutto il
tempo che vogliamo. Noi dobbiamo respirare perché, è bene ripeterlo, è il
Respiro che respira (in) noi, secondo una Legge che infinitamente ci trascende.
E se è il Respiro che ci dona la vita, che ci fa essere, allora il nostro
pensare e il nostro agire non ne sono che una conseguenza: sum ergo cogito et
ago. E già, come potremmo pensare e agire se prima non fossimo? Perciò il
Respiro in noi è l’Essere che ci vivifica, è la condizione indispensabile del
pensare e dell’agire. E non solo: perché se prima di pensare è necessario
essere, vuol dire che prima di poter pensare è necessario che siamo pensati e
quindi tratti all’essere: cogito ergo cogitatum sum. E questo essere pensati
dall’Essere è, di nuovo, un dono che riceviamo.
Quando veniamo al mondo
lo facciamo con una inspirazione, e quando lo lasciamo lo facciamo con una
espirazione: tra la prima inspirazione e l’ultima espirazione ecco il Respiro
che ci permette di pensare e agire grazie alla combinazione dell’inspirazione e
dell’espirazione. E cosa succede quando inspiriamo ed espiriamo? Non si
verifica forse in noi l’alternarsi dell’entrare e dell’uscire di una sorta di
“venticello”? E non è stupefacente che, per mantenerci vivi, questo
“venticello”, questo dono, dobbiamo costantemente prenderlo e restituirlo? Non
dipende forse la nostra vita dalla doppia fase spiraloide dell’inspirazione e
dell’espirazione che sono complementari come il maschio e la femmina? E
certamente non sarà un caso che «nell’esoterismo giapponese l’espirazione è
haku, maschile, e l’inspirazione è su, femminile. In ogni ciclo di respirazione
abbiamo la naturale armonizzazione di maschio e femmina, fuoco e acqua» (John
Stevens, Aikido. Dottrina segreta e verità universali rivelate da Morihei
Ueshiba).
La figura mostra la
doppia spirale, ovvero la complementarità maschile/femminile del Respiro: a
sinistra, l’esalazione o espirazione è mostrata dalla spirale che si svolge
(svuota, distribuisce esprime) in senso destrogiro; a destra, l’inalazione o
inspirazione è rappresentata dalla spirale che si avvolge (riempie, accumula,
accoglie) in senso levogiro.
È certo che noi
dobbiamo onorare i nostri genitori che ci hanno messo al mondo, ma se
osserviamo bene abbiamo altri due genitori ancor più intimi, cioè le due fasi
del Respiro, che dal momento della nostra nascita ci mantengono in vita, vale a
dire nostra madre inspirazione e nostro padre espirazione: è dal loro
incessante connubio che riceviamo la
possibilità di essere e perciò di pensare e agire. Grazie a nostra madre
ispirazione riceviamo (dobbiamo ricevere) l’energia pura, mentre grazie a nostro padre
espirazione restituiamo (dobbiamo restituire) l’energia impura, evidentemente
contaminata dalle imperfezioni tossiche della nostra umanità. Ed infatti,
notiamo per curiosità, in cinese il Respiro è detto Tugu naxin: «Buttar fuori il
vecchio per ricevere il nuovo».
Ma non è tutto: per
vivere noi non abbiamo soltanto la necessità di respirare, bensì, grazie al
Respiro che ci dona la vita, anche quello di mangiare ed evacuare, bere e
urinare: sempre con un processo bifase di presa e rilascio, dobbiamo (non
possiamo scegliere altrimenti) assumere energia anche attraverso i cibi e
l’acqua ed espellerne le scorie, entrando qui in gioco quel misterioso
alchimista che chiamiamo apparato digerente e che provvede per proprio conto,
cioè indipendentemente dalla nostra volontà, alla prodigiosa elaborazione dei
cibi e delle bevande della quale (finché tutto funziona!) neanche ci
accorgiamo.
Vediamo pertanto che la
possibilità del nostro pensare ed agire dipende anche dalle ulteriori due fasi
del riempimento e dello svuotamento del corpo irrorato dal Sangue, che, come il
Respiro, scorre anch’esso indipendente dalla nostra volontà. Che dormiamo o
siamo svegli, il Respiro e il Sangue continuano per proprio conto la loro
funzione. Se poi consideriamo che anche il Cuore batte senza che noi lo
vogliamo e che fruiamo di altri sistemi anch’essi indipendenti dalla nostra
volontà, come il linfatico, il nervoso, il muscolare, lo scheletrico e il
riproduttore, ci accorgiamo di come il nostro pensare ed agire siano del tutto
in subordine rispetto all’organismo corporeo, ma noi, chissà perché, li
consideriamo al primo, e ci sentiamo vivi soltanto pensando e agendo, dando per
scontato che il nostro essere consista di pensiero e azione, mentre invece è
l’Essere, il Sole che illumina la nostra coscienza e la cui luce scorre nel
Respiro, nel Sangue e in tutti gli altri sistemi organici, a permettere il
nostro pensare e agire, i quali, possiamo dire, con processo bifase
scaturiscono dall’Essere e ad esso ritornano.
L’inspirazione nostra
madre ci accarezza, l’espirazione nostro padre ci conduce per mano;
l’inspirazione (la Femmina) è la nostra madre nel silenzio, l’espirazione (il
Maschio) e il nostro padre nel parlare; il silenzio di nostra madre
inspirazione ci ispira (notiamo la quasi identità, di certo non casuale, fra le
parole in-spirazione ed i-spirazione), mentre la parola di nostro padre
espirazione esprime l’ispirazione. E dalla calma profonda di nostra madre
inspirazione scaturisce l’azione equilibrata di nostro padre espirazione, ciò
confermando che la Donna è l’ispiratrice dell’Uomo, e che per l’origine
androgina dell’essere umano, alla femminilità della contemplazione corrisponde
inscindibilmente la virilità dell’azione. Ovvero, per usare due termini complementari
della cultura giapponese, la Donna è Ura, cioè
profondità-nascondimento-contemplazione, mentre l’Uomo è Omote, ossia
superficie-evidenza-azione. Per dirla in termini di Arte della Spada, a lama
inguainata la tsuba (guardia) ha un lato ura che è quello interno ed invisibile
e un lato omote, che è quello esterno e visibile: l’azione (omote) che deve
ancora iniziare è “nascosta” nella contemplazione/ispirazione (ura). Ma ecco
che a lama sguainata (batto) ura si esprime in e con omote culminando nel kiri
(taglio). Infine ecco noto (rinfodero): con la lama l’ispirazione ura torna nel
nascondimento, mentre l’azione omote ritorna immobile.
![]() |
Tsuba: lato omote (verso l’impugnatura) |
![]() |
Lato ura (verso la lama) |
Al riguardo, notiamo di
passaggio e per concludere, ci sarebbe da chiedersi se un’esasperazione
dell’emancipazione femminile, che pure ha le sue lecite istanze, non abbia
indotto la donna, a causa della suo eccessivo impegnarsi nell’azione pubblica
(omote), a dimenticare la sua preziosa e indispensabile funzione di ispiratrice
(ura), di musa (myuzu) potremmo dire, l’uomo trovandosi così abbandonato ad un
agire fine a se stesso, arido, non di rado ottuso e violento, proprio perché
privo della linfa vitale costituita dall’ispirazione femminile.
La Scapigliata di Leonardo, a parere di chi scrive, è una splendida immagine
della Donna/Musa. Lo sguardo incantevole
e pudico ed il sorriso “giocondiano” sono già di per se stessi un’ispirazione
di purezza e nobiltà. La luce che l'avvolge, ovvero l’aura che ne promana, è la
manifestazione (omote) di un’interiorità
(ura) serena, lucente e coinvolgente.

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