Pubblichiamo l'estratto di un Insegnamento offerto da Taigô Kônin Sensei durante la Pratica Zen.
Il Maestro sta sventolandosi con il
ventaglio, l’allievo chiede al Maestro:
“Maestro, la Natura del
vento è ovunque, è onnipervasiva?”
Il Maestro non risponde
e continua a sventolarsi.
Dōgen Zenji commenta questo episodio che diventa una chiara definizione di quello che sia la Pratica Zen: il vento, che è la Natura di Buddha, è onnipervasiva, è ovunque, il Maestro dimostra all’allievo che senza sventolarsi la Natura di Buddha non può esplicitarsi.
La Natura di Buddha è
ovunque, ognuno di noi è Natura di Buddha.Dōgen Zenji su questo è
stato molto preciso e ha detto:
“Non è che la Natura di Buddha è in ognuno,
ognuno E’ la Natura di Buddha.
Ma se non pratichiamo, la Natura di Buddha non si esprime attraverso di noi.” …
Ecco il senso dello sventolarsi pur essendo la natura del vento onnipervasiva.
ognuno E’ la Natura di Buddha.
Ma se non pratichiamo, la Natura di Buddha non si esprime attraverso di noi.” …
Ecco il senso dello sventolarsi pur essendo la natura del vento onnipervasiva.
Una volta il mio
Maestro disse: “ Quando svolgete qualsiasi altra attività durante la Sesshin,
durante la Pratica nel monastero, considerate ogni altra attività tempo rubato
allo Zazen…”
E con questo, con ogni
probabilità, intendeva dire, continuate a fare Zazen in ogni altra attività …
fate in modo che il vostro Zazen continui in ogni altra vostra attività...
Riusciamo noi a vedere lo Zazen
nell’attività? Siamo in grado? Oppure appena ci alziamo dallo zafu pensiamo che
la Pratica sia terminata e ci rivedremo alla prossima occasione? Questo è il
punto nodale, la chiave di volta di tutta la nostra Pratica.

Come fare in modo che
dal momento in cui ci alziamo dallo zafu, lo Zazen continui ad operare nelle
nostre vite, che la Natura di Buddha continui ad esprimersi proprio nel ‘come’ viviamo?
Nella Pratica del Dōjō, in una Sesshin, questo è molto evidente. Con un po’ di
esperienza e sensibilità percepiamo chiaramente come diventa semplice esprimere la nostra Natura
di Buddha.
Ma come portare fuori
di qui questa capacità di esplicitare la nostra più autentica natura? Questa
profonda saggezza che lo Zazen ci indica?
Non ci sono molte
indicazioni che né io né altri insegnanti possiamo dare:
Ognuno di noi deve trovare la chiave, è il nostro Koan, quello che Dōgen Zenji definisce ‘Genjō Koan’; la domanda che la vita quotidiana ci pone di momento in momento.
Ognuno di noi deve trovare la chiave, è il nostro Koan, quello che Dōgen Zenji definisce ‘Genjō Koan’; la domanda che la vita quotidiana ci pone di momento in momento.
Come rispondere ad
ognuna di queste domande attraverso la saggezza dello Zazen?
Questo è il nostro compito, il nostro Genjō Koan.
Come esprimerlo?
Questo è il nostro compito, il nostro Genjō Koan.
Come esprimerlo?
Di grande aiuto sono le Gatha, i brevi Sutra che
recitiamo prima dei gesti quotidiani: prima di lavarci, prima di mangiare… Raccogliamo
la mente e ricordiamo a noi stessi che quel gesto è universale e non è relegato
solo ad un piccolo spazio della nostra intimità in cui ci prendiamo cura di noi
stessi, è anche questo ma non solo questo, allora queste strofe, queste
riflessioni, ci aiutano a riportare alla nostra consapevolezza che ogni azione
è Genjō Koan, ogni nostra azione è universale ed esprime la Natura di Buddha.
Sono principi
apparentemente molto semplici che lo Zazen, il Kinhin, ogni altra esperienza
del Dōjō c’insegnano, e proprio perché sono semplici li diamo per scontati e dimentichiamo
di portarli con noi. Invece dovremmo rammemorare costantemente la nostra
esperienza sullo zafu.
In Zazen rimaniamo ben
diritti, fermi, attenti alla postura, consapevoli del nostro corpo e
sensazioni, delle percezioni, dei nostri pensieri … e stiamo lì al centro di
tutto questo. E questo può avvenire in ogni momento: quando stiamo parliamo con
qualcuno, quando stiamo guidando, quando beviamo un tè.
Oggi ho saputo che è
morto il Maestro che ha insegnato a molti di noi a cucire il Kesa: Echu Kyuma Roshi, discepolo di Sawaki Roshi, che per dieci anni di seguito è venuto a Fudenji
ad insegnarci a cucire il Kesa nel metodo tradizionale. Tant’è che a Fudenji si
conserva gelosamente questa sapienza antica che si è persa anche in Giappone in
buona parte.
Così ho potuto cucire
il mio Kesa con le mie mani, devo dire con grande fatica e poca capacità, ma è stato
un privilegio enorme, veramente qualcosa di straordinario e di trasformativo.
![]() |
Il Kesa di Taigō Sensei |
Fa una gran differenza
un Kesa cucito con le proprie mani e un Kesa comprato già allestito quando lo
s’indossa. Conservo gelosamente il mio Kesa
che è logoro, lo indosso da 17 anni. I laccetti si stanno sfibrando e prima o
poi si strapperanno. E’ il solo Abito di cui ho davvero bisogno e che mi veste
davvero. Un solo abito che nel momento dell’Ordinazione mi è stato Trasmesso,
dalle mani del Buddha alle mie, per il tramite delle mani del Maestro che mi ha
Ordinato. Abito di nuvole e acqua, Abito di libertà.
Vestiamo questo Abito, il Kesa, per non vestire più nessun altro Abito. Nessun ‘abito mentale’, nessun condizionamento e conformismo. È l’abito della libertà, della libertà assoluta.
Vestiamo questo Abito, il Kesa, per non vestire più nessun altro Abito. Nessun ‘abito mentale’, nessun condizionamento e conformismo. È l’abito della libertà, della libertà assoluta.
Indossando questo
abito, durante l’Ordinazione, l’officiante ricorda agli ordinandi che nel
momento in cui indosseranno il Kesa e saranno ordinati monaci non dovranno più rispondere
né a imperatori, né a re. Non ci sarà per loro nessuna autorità oltre quella
del Dharma del Buddha alla quale devono rispetto e devozione.
E’ per questo che i veri
religiosi sono personaggi scomodi, perché non rispondono a nessuna autorità al di
fuori della propria coscienza in armonia col Dharma.
Per questo sono stati
sempre perseguiti, quando c’è stato qualche regime dittatoriale, le prime
comunità che venivano perseguite erano quelle monastiche… quindi godiamo di un
grande privilegio oggi a poterci sedere liberamente. Arrivare al Dōjō e sederci senza doverlo fare
di nascosto a rischio della vita. È una cosa che dovremmo ricordare
costantemente, dobbiamo considerarci davvero dei privilegiati.
Tornando ad Echu Kyuma
Roshi, era un esperto di Daigū Ryōkan, del
quale ci ha parlato a lungo. Ryōkan, un grande monaco poeta che si auto
attribuì il soprannome ‘Daigū’ che vuol dire ‘Grande Pazzo’.Girava per le
strade per raccogliere l’elemosina nella sua ciotola e portava nella maniche
delle palle di stoffa per giocare con i bambini, e regolarmente dimenticava di
fare la questua, si perdeva nel gioco con i bambini…

il grande pazzo!
E’ proprio quella sana
follia che dovremmo ritrovare … quella che ci fa essere dimentichi nel gioco della vita e non prendere tutto così seriamente.
© Tora Kan Dōjō
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