mercoledì 27 febbraio 2019

La Vera Intuizione


Taisen Deshimaru Roshi

"Talvolta, durante Zazen, i pensieri nascono senza sosta, i problemi quotidiani, i desideri, le ansietà ci assalgono senza posa. 

Ora, non bisogna lottare contro i pensieri né fissarcisi sopra... 

Il nostro spirito è complicato, difficile da dirigere, agile come una scimmia, se cerchiamo di dominarlo constatiamo rapidamente che è impossibile... 

Se continuiamo nella Pratica un'ora, un giorno, un mese, raggiungiamo i livelli più profondi del subconscio. 

Educandoci sul piano dell'inconscio, Zazen ci fa scoprire la saggezza e la vera intuizione.

Questa educazione è anche quella di tutti i nostri sensi: durante Zazen le percezioni assumono un grandissimo acume. 

Se i sensi sono unificati, si può trovare la vera concentrazione senza servirsi della volontà .... 

Quando l'abitudine allo Zazen è acquisita, nella vita quotidiana i sensi acquistano la stessa acutezza che in Zazen. 

Lo Zazen diventa la sorgente della nostra esistenza."



Taisen Deshimaru Roshi


© Tora Kan Dōjō



domenica 24 febbraio 2019

Un Incontro, una Vita




“ Il segreto di una vita piena è vivere e rapportarsi agli altri come se domani potessero non esserci più, come se noi potessimo non esserci più domani.

Elimina il vizio del procrastinare, il peccato del posporre, le mancate comunicazioni, le mancate comunioni. 

Questo pensiero mi ha reso più attenta a tutti gli incontri, le conoscenze, le presentazioni, che potrebbero contenere il seme della profondità che potrebbe rischiare di essere trascurato per disattenzione.

Questa sensazione è diventata una rarità, ed è ogni giorno più rara ora che abbiamo raggiunto un ritmo più frettoloso e superficiale, ora che crediamo di essere in contatto con un gran numero di persone, con più gente, con più paesi.
Questa è un’illusione che rischia di privarci del contatto profondo con la persona che ci respira accanto. 

Questo momento pericoloso in cui voci meccaniche, radio, telefoni, prendono il posto di un’intimità umana, insieme all’idea di essere a contatto con milioni di persone, porta ad un impoverimento sempre maggiore dell’intimità e di un modo di vedere umano.” 

Anais Nin


© Tora Kan Dōjō




mercoledì 20 febbraio 2019

La Preghiera che sgorga dal centro del Cuore


La preghiera: come funziona e a cosa serve sarebbe un fatto personale – si dice - ma non è così, dato che la preghiera cambia la vita. 
La nostra vita, quella familiare e quella pubblica.
Fin dall’antichità gli imperatori hanno richiesto ai religiosi la loro quotidiana preghiera di supporto ed è da sempre tradizione fondare un monastero dove c’è stata una sanguinosa battaglia.
Oggi sembra strano pensarci, oggi dove molti parlano di religione o spiritualità ma restano semplicemente materialisti perché quello gli è stato inculcato a forza, e dato che gli schiavi subiscono, vivendo annodati interiormente e deprivati di ogni facoltà.
E poi vanno alla santa messa, a fare zazen, a ripetere il daimoku, alla moschea o alla sinagoga.
Fino a che non ci libereremo dalle pastoie del materialismo riduzionista, come ci siamo liberati dalla religiosità buia e irragionevole, non potremo guardare i fatti, né quelli “materiali”, né quelli “spirituali”, sempre che ci sia una differenza fra i due.
Per questo anche nel buddhismo, religione sublime e gnostica dove si spacca ogni concetto e lo si porta all’origine, tuttavia, esiste la preghiera. Perché non è solo con la più nuda meditazione che riconosciamo la realtà vivente, ma è anche con l’intento, con quella proiezione della nostra volontà che resta silenziosa, che tace spalancata e immensa, sia che la concepiamo come sgorgante dal divino che è in noi, sia che la vediamo come proveniente dal trascendente; in fondo queste sono solo parole.
L’anelito silenzioso del cuore è la radice della preghiera. Mi raccontarono una storiella sufi che narra di un ciabattino così povero da dover lavorare tutto il giorno e da non poter permettersi un momento di pausa; era addolorato profondamente dal fatto di non riuscire ad andare alla moschea per la preghiera. Un giorno trovò il momento e alle prime luci dell’alba si alzò per prepararsi ad andare finalmente alla preghiera quando appare di colpo Shaitan in persona che gli dice: “presto, avanti, muoviti o farai tardi!”… Stupito il pio ciabattino gli chiede perché lo affrettasse, lui, il Diavolo in persona! Questi resistette per un po’ ma alle parole di esorcismo del ciabattino fu costretto a confessare: “Che tu vada a pregare mi disgusta… Ma ciò che mi uccide è il tuo continuo sospirare per la preghiera… Il tuo cuore che desidera così intimamente il divino non lo sopporto!”.
Questa storiella che cita categorie per me inusuali, tuttavia, ha molte e vere implicazioni. Cosa desidera intimamente il nostro cuore è realizzare quel mistero, quell’anelito sconfinato e ubiquo, da cui desideriamo l’eterno. Solo allora, trascendente o no, potremo vivere l’eterno.
Anche nel preciso istante in cui la meditazione di noi buddhisti, la più silenziosa e nuda, si volge verso il mondo io so che diventa preghiera anche se non recitiamo niente o nemmeno cantiamo i sutra; può essere preghiera anche l’azione, come lo è la contemplazione, la parola come la scrittura, l’arte, perfino il combattimento, ma prima deve essere quella sacra parola, quel suono o discorso che resta inarticolato pur essendo proferito, non avendo eco oppure, detto in altro modo, essendo una eco che è ovunque.
Proferendola si può diventare la parola, meditando diventare la meditazione, raccogliendo le noci per terra nel tramonto diventare il tramonto.
Se lo vedi lo sai, se pratichi sinceramente non sei un mero prete che ripete formule, ma un eremita che vive fra altri esseri umani.
La cosa inevitabile è che chiunque senta, veda e sappia di essere un sacerdos si attui di conseguenza, smettendo di essere l’ottuso braccio dell’oblio e dell’accanimento dell’essere umano addormentato. Il suo compito, chiunque egli o ella sia, è il radicarsi nella meditazione e nella preghiera. La contemplazione verrà di conseguenza attraverso il silenzio e il mondo diverrà una fontana di luce dentro al tuo stesso occhio, quando il tuo volto si spalancherà nel tutto.
Non si riesce a tornare indietro se la vita ci designa così, ed è bene affrettarsi se abbiamo ricevuto quell’unzione, perché così la gioia ci si spalanca in ogni istante.
Una meditazione inevitabilmente aperta e silenziosa, una preghiera affrancata da ogni pretesa, ma che si incentra nel più silenzioso senso interiore per creare miracoli di comunione col tutto. Quando questa emozione oceanica è creata si bussa e ci viene aperto simultaneamente. Non per disperazione o per formalità rituale ma quando il miracolo chiama il miracolo; così si realizza l’impossibile perché una gioia indicibile accende il mondo. Si accede all’innocenza del neonato, al momento che precede la creazione del mondo, dato che, infatti, si sta sempre creando.
In un antico grimorio magico, dove si trattava dell’incontro con l’angelo fu scritto “la tua preghiera deve sgorgare dal centro più profondo del tuo cuore”.
Mi fa venire in mente Hakuin, il Maestro zen che ritraeva se stesso come una divinità ammiccante e ridacchiante, o San Filippo Neri che si presentava all’Eternità dicendogli “Amore mio, qui è il tuo Pippo...”.
Partire per la battaglia corazzati di preghiera non è un tentativo, non stiamo sperando di avere pregato a sufficienza per poterci comportare come l’ultimo degli idioti o degli assassini, ovvero impunemente, non abbiamo pagato un dio con delle preghiere per evitare di maturare come uomini.
Solo quando rimaniamo ancorati a questo sacro vivente funzioniamo come sacerdos, gli altri facciano quello che devono fare, se noi faremo cose apparentemente simili le faremo con un altro volere e con una altra intensità, ma resta cruciale per il sacerdos la necessità di penetrare l’inconscio collettivo e perciò le menzogne del genere umano, anche quelle politiche, religiose e scientifiche, anche quelle che ci fanno comodo e che ci rendono ciechi; talvolta ci riusciamo con l’intelligenza, talvolta con la meditazione e talvolta con il silenzio e la solitudine perpetuati fino a ricevere la risposta.
Non ho altro da dire e la tua giornata ti chiama a quanto dovrai compiere con onore; se di battaglia si tratta non essere debole né confuso, porta con te l’arma del non-nato, del sentirti libero dalla nascita e dalla morte, come se ci fosse un solo istante eterno, perché solo quello c’è, infatti.
Se leggendo hai avuto in te un’alba, è stato a causa della vera profezia che ti attende da sempre e che da bambini celebravamo saltellando su e giù mentre guardavamo felici il mondo, pur restando il nostro sguardo fermo, immutabile.



Maestro Leonardo Anfolsi

Fonte 



© Tora Kan Dōjō



domenica 17 febbraio 2019

Il primo incontro con Sōgen Sakiyama Roshi

Questo articolo fu scritto da Sensei Paolo Taigō Spongia nel 1998 dopo il primo incontro avuto con Sakiyama Sōgen Roshi (grande Maestro Zen Rinzai, in gioventù discepolo del fondatore del Goju-Ryu Chōjun Miyagi Sensei) da allora Taigō  Sensei si è recato ad Okinawa ogni anno e ha continuato a praticare Zazen sotto la guida di Sakiyama Roshi.
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Nel mese di Agosto 1998 si è tenuto a Naha, Okinawa, il World Budo Sai, Gasshuku (raduno di pratica intensiva) mondiale, che ha visto riuniti i praticanti di Goju-Ryu di Okinawa della Scuola del Maestro Morio Higaonna (9°dan), giunti dalle 44 nazioni aderenti alla I.O.G.K.F. (International Okinawan Goju-Ryu Karate-do Federation), che hanno così, tra duri allenamenti, convegni e una grande serata di dimostrazioni celebrato il 110° anniversario della nascita di Bushi Chojun Miyagi, fondatore dello stile.

L'appellativo di Bushi assume ad Okinawa un significato diverso che non in Giappone dove era usato per designare il Samurai. In Okinawa il titolo di Bushi viene attribuito ad un grande maestro di Karate-do che non solo abbia sviluppato ad altissimi livelli la propria arte ma che rappresenti anche un modello etico e spirituale.
Ricordiamo che, episodio spesso misconosciuto, Chojun Miyagi fu il primo Maestro di Karate di Okinawa che fu riconosciuto come insegnante di Budo in Giappone con il titolo di Kyoshi (secondo livello) nel 1935, dopo che, nel 1933, diede dimostrazione della sua arte al Butokuden a Kyoto davanti ad adepti di altre discipline del Budo. Miyagi dimostrò come il Goju-Ryu di Okinawa differisse notevolmente dal Karate di Funakoshi, allora già conosciuto in Giappone, e come il Karate-do fosse degno di essere considerato alla stregua delle altre arti del Budo. Hironori Otsuka, fondatore del Wado-Ryu, Gichin Funakoshi, fondatore dello Shotokan, e Kenwa Mabuni, fondatore dello Shito-Ryu, ottennero il riconoscimento di Renshi (primo livello) rispettivamente nel 1938 e 1939.

Ho avuto numerose occasioni per parlare con Higaonna Sensei della pratica Zen che entrambi condividiamo e del suo legame con l’arte marziale.

In particolare a Roma, nel 1997, nei giorni seguenti lo stage che tenne per la prima volta in Italia, seduti a tavola dopo un durissimo allenamento che si era tenuto nel mio Dojo, parlammo a lungo e il Maestro mi parlò di Sogen Sakiyama Roshi, ottantenne monaco Zen Rinzai, in gioventù praticante di Goju-Ryu discepolo di Chojun Miyagi, ed ora suo Maestro Zen e del fondatore del Matsubayashi Ryu Shoshin Nagamine, da poco deceduto.
Sensei Taigō con Sakiyama Roshi nel 2002

Mi promise che una volta ad Okinawa mi avrebbe dato l’occasione di incontrarlo e praticare con Lui.

Così è stato, Higaonna Sensei, il giorno seguente il nostro arrivo a Naha, ha avvisato Sakiyama Sogen Roshi che il suo rappresentante italiano e cinque allievi (che praticano Zazen alla Tora Kan) sarebbero andati al suo Dojo a praticare Zazen e ad incontrarlo il giorno successivo.

Il pomeriggio del giorno dopo ci rechiamo al piccolo tempio di Kozenji, che si trova a Shuri, in prossimità del famoso castello e ci uniamo alla pratica di Zazen nel Dojo. Terminate le due sedute di meditazione (o meglio, contemplazione) seduta, intervallate dal Kin Hin (meditazione camminata) Sakiyama Roshi ci invita nella sua stanza e ci offre del tè verde con dei dolci. Con la traduzione in inglese di un suo discepolo ci pone numerose domande sulla nostra pratica dello Zen e del Karate, all’inizio con una certa diffidenza, temendo probabilmente che fossimo degli occidentali alla ricerca di un esotico souvenir. Dalle nostre risposte e dalle domande che gli poniamo si rende conto di avere a che fare con dei praticanti sinceri e si accende di entusiasmo e curiosità al sapere che in Italia pratichiamo lo Zen Soto nella più pura tradizione in un Tempio riconosciuto dalla Soto Shu.

L’atmosfera diventa presto familiare e il Maestro ci invita a tornare nei giorni seguenti a praticare Zazen la mattina presto e a fermarci successivamente a ricevere il suo insegnamento.

Ci fa riaccompagnare in albergo dal discepolo che aveva tradotto il nostro dialogo il quale, durante il tragitto, mi racconta che il Roshi è un personaggio straordinario, molto rispettato in tutta Okinawa.

Mi dice che in Giappone e ad Okinawa i monaci Zen, molti dei quali sposati, hanno creato un business celebrando i riti funebri, a pagamento; Sakiyama Roshi invece non si cura minimamente del denaro, officia i riti funebri solo dei propri discepoli o dei loro familiari e vive da solo nel piccolo Dojo di Kozenji concentrato unicamente sullo Zazen.

Quello che segue è un tentativo di riunire organicamente, le note da noi raccolte riguardo gli insegnamenti ricevuti da Sakiyama Sogen Roshi e le sue risposte alle nostre domande.

Si consiglia di rileggere l’intervento di Sakiyama Sogen al Simposio che si è tenuto a Naha durante il Budo Sai già pubblicato su questo Blog (Il Karate del Leone)  per comprendere meglio alcuni suoi pensieri.

Domanda: Maestro, come si concilia la compassione del Buddhismo Zen con la pratica talvolta violenta del Karate-do. Il Samurai che uccide, con lo Zen ?.

Sakiyama Roshi quando era discepolo
di Chojun Miyagi Sensei
Sakiyama Roshi: " Le vostre domande sono molto belle e intelligenti. Pochi praticanti di Karate giapponesi pongono domande così interessanti. Si può combattere per salvare la vita così come si può combattere per distruggerla.

Quando si combatte è importante aver chiaro in mente il perché si combatte quell’avversario. Se si combatte per ‘andare oltre’ è una cosa, se invece si combatte solo per battere l’avversario questo è il combattimento di un cane da combattimento.

Esiste una spada che dà la vita ed una che la toglie. Nella pratica del Karate esiste una forma di ‘Karate pratico’(Jisen), in cui si allena esclusivamente il pugno (la tecnica) per il combattimento e la difesa personale, e una forma di autentico Karate.

Accadde una volta che il Maestro Chojun Miyagi camminando di notte in un vicolo buio fu aggredito da un tipo che praticava il Karate pratico, esperto nel lanciare lo zuki. Costui tentò di colpire Chojun Miyagi dopo averlo afferrato al bavero, Miyagi schivò mandando il colpo a schiantarsi contro il muro alle sue spalle e immobilizzò l’aggressore.
Se questa persona avesse praticato il Karate autentico ad un buon livello, nello stesso istante in cui afferrava il bavero avrebbe subito percepito il livello di Chojun Miyagi e avrebbe abbandonato immediatamente il combattimento.
Un buon Karateka può percepire quale sarà l’esito del combattimento.
Il grande spadaccino Yagyu Munnenori convocò i suoi tre figli per stabilire quale di essi fosse degno di essere il suo successore e li mise alla prova ponendo un vaso in bilico sulla porta di ingresso alla sua stanza.
Chiamò il primo che aprì la porta e al cadere del vaso schivò e con la rapidità del vento tagliò in due il vaso. Chiamò il secondo figlio che al cadere del vaso lo raccolse al volo tra le braccia. Giunse il momento del terzo figlio il quale prima di aprire la porta percepì che qualcosa stava per accadere, così socchiuse leggermente la porta e vide il vaso, lo prese delicatamente tra le mani, entrò e lo pose nuovamente al suo posto. Il terzo figlio fu decretato come successore.
La giusta proporzione nella pratica dovrebbe essere 60% Kata, 40% Kumite. Inoltre l’insegnamento dovrebbe comprendere l’insegnamento orale, etico, storico. Chojun Miyagi nel suo insegnamento distribuiva equamente pratica e trasmissione orale.
Kozenji-Okinawa 2002: Incontro dopo lo Zazen:
da sinistra Salkiyama Roshi, Nakamura Sensei, Taigō Sensei e Leijenhorst Sensei

Riguardo la pratica di Zazen Sakiyama Roshi ha affermato:
"Zazen è conoscere sé stessi e conoscere sé stessi è superare (abbandonare) sé stessi. Abbandonare, non come quando si perde del denaro ma nel senso di abbandonare il proprio piccolo ego per ottenere il proprio vero sé o grande Ego.

Ad una praticante del nostro gruppo che si era mossa durante lo Zazen Sakiyama Roshi ha chiesto se avesse qualche problema fisico particolare alla sua risposta di avere fastidi alle ginocchia il Maestro ha replicato:
Hai problemi nel praticare Karate? No? Allora puoi praticare Zazen!
Durante Zazen si deve restare immobili a meno che non si abbia un serio impedimento fisico. Si deve superare sé stessi e non si deve confondere l’avere la massima cura di sé con l’indolenza, il prendere le cose alla leggera. (il Maestro ha usato il termine easy going).
La postura di zazen deve essere nobile, dignitosa e confortevole.

Ho raccontato al Maestro che durante uno dei miei primi approcci con la pratica di Zazen avevo confidato ad una monaca Zen, durante un incontro che seguì la pratica, che avevo un gran dolore alle ginocchia e mi chiedevo qual era il limite oltre il quale era lecito andare senza cadere nell’automortificazione, mi rispose che per lei era più importante il suo spirito che le sue ginocchia. La risposta lasciò il segno.
Sakiyama Sogen al mio racconto ha replicato:
"Both are important, entrambi sono importanti lo spirito e le ginocchia".
Domanda: Spesso si fraintende il termine Ken Zen Ichinyo (Lo Zen e la spada,o il Karate, sono una cosa sola) con l’idea: poiché Karate e Zen sono una cosa sola allora è sufficiente praticare solo il Karate.Io penso invece che significhi proprio l’opposto: che Karate e Zen devono essere le due facce della stessa medaglia, completandosi.

Sakiyama Roshi e Taigō Sensei in occasione
del loro primo incontro nel 1998
Sakiyama Roshi: Giustissimo. La pratica di Zazen rende la pratica del Karate quella di un leone.
La pratica di Zazen amplifica gli effetti della pratica del Karate-do e ne permette una più profonda comprensione.
Ad un certo livello, tra i praticanti di Karate-do che praticano Zazen e quelli che non lo praticano si viene a creare un divario notevole nelle loro pratiche. Le due strade si separano completamente.


A questo punto il Maestro ci chiede di eseguire da seduti le tecniche respiratorie del Kata Sanchin, poi entusiasta ci dice:

"Quando eseguite Sanchin i vostri occhi diventano più luminosi, brillano."
"Sanchin è un Kata fondamentale, le fondamenta del Goju-Ryu."

Domanda: Maestro, sappiamo che Lei è stato per un periodo negli Stati Uniti, cosa pensa dell’approccio occidentale allo Zen ?

Sakiyama Roshi: E’ molto raro che degli occidentali si interessino sinceramente alla cultura orientale, quando ciò accade ne sono molto felice.

Domanda: Penso che il principio di Mushotoku (senza scopo o spirito di profitto) sia il concetto più difficile da comprendere e accettare per gli occidentali. Non crede?
Sakiyama Roshi: Quando Bodhidharma giunse in Cina venne convocato dall'imperatore Wu che aveva attivamente protetto e diffuso il Buddhismo costruendo templi, monasteri.
L'imperatore gli chiese: "Ho diffuso il Buddhismo con grande energia, ho costruito templi... Quali sono i miei meriti?"
Bodhidharma rispose: "Nessun Merito"
Nella pratica Zen non ci sono ricompense.


Domanda: Maestro ma i Samurai praticavano Zazen per divenire più efficaci in combattimento ? Se sì, come si concilia con Mushotoku ?

Sakiyama Roshi: I Samurai non praticavano per diventare più forti.
Il Maestro commenta il fatto che sui giornali locali è stato dato ampio risalto al torneo dimostrativo di Iri Kumi (la forma di combattimento a contatto pieno del Goju-Ryu di Okinawa) che si è tenuto durante il Budo Sai come momento di marginale importanza, mentre poco viene detto circa il Gasshuku e le altre importanti manifestazioni culturali ad esso legate.
Al che io racconto l’episodio accaduto durante la cerimonia di apertura del Budo Sai, quando, ha preso la parola un giapponese vestito con un tradizionale kimono bianco, presentato come rappresentante del comitato olimpico giapponese, che ha offerto a Higaonna Sensei un diploma e con voce decisa e tono piuttosto aggressivo, ha invitato Higaonna Sensei e la sua organizzazione ad aderire al progetto di ingresso del Karate alle olimpiadi promosso da lui stesso e da Kunio Tatsuno (Magnate giapponese di dubbia moralità,qualche anno dopo ucciso in un regolamento di conti mafioso).
Questo inatteso intervento ha creato un certo imbarazzo. Higaonna Sensei, presa la parola, con l’onestà e la coerenza che gli sono propri ha rifiutato l’offerta affermando che il suo pensiero e la sua pratica sono diametralmente all’opposto del Karate olimpico e ha aggiunto che l’ingresso del Karate alle olimpiadi potrebbe significare la morte del Karate-do tradizionale.
Alla replica di Higaonna Sensei è seguito un applauso di 10 minuti da parte degli allievi della sua scuola.
Al racconto dell’episodio Sakiyama Sogen ha mostrato una grande felicità per la risposta data da Higaonna Sensei e ha commentato:

Sakiyama Roshi: Higaonna Sensei è molto coraggioso. Questa proposta gli è stata sicuramente formulata in questa occasione, di fronte a tutti, per cercare di metterlo in difficoltà. Sicuramente se Higaonna Sensei avesse accettato la proposta, a questo sarebbe stato dato ampio risalto su tutti i giornali mentre il suo rifiuto è stato ignorato.

Anche se ci sono contro un milione di persone, noi dobbiamo andare diritti sul nostro cammino.
Higaonna Sensei è sincero e vive la pratica e l’insegnamento come la viveva Chojun Miyagi, nello stesso modo, gli assomiglia in molti modi e non ho mai incontrato nessuno che gli assomigliasse come lui.
Siete molto fortunati ad avere un insegnante come Morio Higaonna perché avendo un modello di alto livello si può acquisire la capacità di discernere i livelli più bassi.
Il Maestro Racconta che a Tokyo ha avuto occasione di conoscere grandi Maestri di Karate, come, Otsuka, Nakayama, Yamaguchi...

Domanda: Maestro pensa che il Goju-Ryu giapponese sia differente da quello d’Okinawa ?
Sakiyama Roshi fa un gesto esplicito aprendo le braccia con una mano verso il cielo ed una verso la terra in direzioni diametralmente opposte.

Kozenji 1998 - il nostro primo incontro con Sakiyama Roshi
Domanda: Il Maestro Chojun Miyagi praticava Zazen?

Sakiyama Roshi: Il Maestro Miyagi curava con estrema attenzione l’aspetto spirituale e mentale della propria arte. Esercitava di continuo la propria mente. E anche se non posso dire di averlo visto praticare Zazen pubblicamente, spesso si ritirava nella sua stanza per lunghi periodi e sono certo che si dedicasse alla meditazione.

Il giorno precedente il nostro rientro in Italia siamo andati per l’ultima volta a praticare con Sakiyama Roshi. Il momento dei saluti è stato toccante, l’anziano maestro ci ha confidato che gli sarebbe mancata la nostra compagnia, ci ha accompagnato alla porta del tempio e salutato calorosamente. Tutti noi ci auguriamo di rincontrare al più presto Sakiyama Roshi.



© Tora Kan Dōjō





mercoledì 13 febbraio 2019

Il laboratorio del nostro Risveglio





"L’azione che mettiamo in atto ogni giorno è fatta di piccoli gesti, piccoli passi

Ogni volta che ci muoviamo in modo sgraziato, distratto, esercitiamo una terribile violenza su noi stessi.  

Ogni gesto, ogni passo, ha una ripercussione sul nostro corpo e sulla mente.

Anche la scienza sta dimostrando che la sfera fisica e quella psichica sono in intima relazione tra loro, hanno un’influenza reciproca. 

Lo Zen e le Arti Marziali lo sanno da sempre e lo mettono in atto.

Anche camminare è un’operazione rituale che non va data per scontata, è una dimensione del corpo-mente che richiede di essere esplorata ed è un’esplorazione che non ha mai fine.

Dobbiamo applicarci a considerare il nostro corpo e la nostra mente come un luogo di studio, il laboratorio del nostro Risveglio."


Taigō Sensei


© Tora Kan Dōjō




mercoledì 6 febbraio 2019

Un momento di Presenza Totale



"Hai mai fatto l’esperienza di fermarti del tutto,

di essere così totalmente nel tuo corpo,

di essere così totalmente nella tua vita che quel che già sapevi e quello che non sai,

e quel che è stato e quel che ancora deve essere,

e le cose come stanno proprio ora non ti danno neanche un filo d’ansia o disaccordo?

Sarebbe un momento di presenza totale,

al di là della lotta, al di là della mera accettazione,

al di là della voglia di scappare o sistemar le cose o tuffarcisi dentro a testa bassa:

un momento di puro essere, fuori dal tempo,

un momento di pura vista, pura percezione,

un momento nel quale la vita si limita a essere,

e quell’ 'essere' ti prende, ti afferra con tutti i sensi,

tutti i ricordi, fin dentro i geni,

in ciò che più ami,

e ti dice: benvenuto a casa..."

Jon Kabat Zinn



© Tora Kan Dōjō



domenica 3 febbraio 2019

Il Karate del Leone - Roshi Sōgen Sakiyama


Intervento di Roshi Sougen Sakiyama al Budo Sai Symposyum 
tenutosi in Okinawa il 22 Agosto 1998

Paolo Taigō Spongia Sensei e Sougen Sakiyama Roshi in Okinawa

Sougen Sakiyama Roshi è stato in gioventù discepolo del fondatore del Goju-Ryu Chojun Miyagi Sensei che lo consiglio di intraprendere il Cammino dello Zen. Sakiyama Roshi (97 anni) è oggi un famoso Maestro Zen Rinzai che ha insegnato nel piccolo Tempio Kozenji a Shuri. Taigo Sensei ha praticato Zazen con Sakiyama Roshi durante ogni sua permanenza ad Okinawa per più di 15 anni.
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Oggi, il Karate di Okinawa, nato a Okinawa, si è diffuso in tutto il mondo, e l'anno scorso, un raduno mondiale si è tenuto in Okinawa su grande scala. Con questa tendenza come svolta decisiva, mi sembra indispensabile fornire una seria riconsiderazione sul valore culturale del Karate del quale dobbiamo essere orgogliosi in tutto il mondo.

D'altra mano, con la popolarizzazione del Karate di Okinawa all'estero, varie domande sono sorte fra gli insegnanti e gli allievi di Karate delle altre nazioni. 
Nel tentativo di cogliere l'essenza del Karate, tendono a porre domande quali "Qual'è la relazione tra il Karate come sport e il Karate come arte marziale?", e "Qual è l'aspetto spirituale e culturale del Karate attraverso il quale possiamo perfezionare la nostra personalità?".

Alcuni insegnanti ed allievi di Karate esprimono il loro interesse per la cultura orientale attraverso la quale sperano di poter comprendere più in profondità la loro Pratica del Karate.
Con la popolarizzazione del Karate in tutto il mondo come ho detto prima, certi insegnanti di Karate stranieri non sono più soddisfatti da un mero allenamento del Kata o dall'allenamento fisico nella forma dell'agonismo o delle competizioni, ma sembrano essere seriamente interessati alla salvezza del loro spirito attraverso la Pratica del Karate.

In queste circostanze, dobbiamo comprendere che è giunto il tempo in cui dobbiamo apprezzare il Karate di Okinawa da un punto di vista più ampio. 
La qualità del Karate di Okinawa dev'essere elevata a quella di un'arte marziale attraverso la quale possiamo completare la nostra personalità.

Ci sono tre forme di Karate:  il Karate di un leone, il Karate di una tigre, e il Karate di un cane da combattimento.
Quando il praticante di Karate rimane calmo come un santo mantenendo la sua potenza all'interno, ed è capace di vincere senza combattere, noi chiamiamo il suo Karate il Karate di un leone. Anche se il praticante di Karate è forte, noi chiamiamo il suo Karate il Karate di una tigre se egli appare pieno di spirito combattivo. Se invece, il praticante di Karate è sempre ansioso di combattere, e ama il combattimento, noi chiamiamo il suo Karate il Karate di un cane da combattimento.
Io spero vivamente che voi sarete così saggi nella scelta del tipo di Karate che vuole praticare e trasmettere.

Io mi auguro vivamente che voi insegnanti e allievi vi esercitiate per fare del Karate di Okinawa il Karate di un leone. Questo è un punto essenziale al fine di qualificare il Karate di Okinawa come Arte Marziale.

Sakiyama Roshi quando era discepolo del fondatore
Nella Sua Conferenza Intitolata "Sul Karate-Do", che si è tenuta ad Osaka nel 1936, il Maestro Chojun Miyagi, un Santo del Karate, espresse la sua filosofia come segue:

"L'essenza del Karate-Do è così profonda che può essere compresa soltanto quando, come per tutte le arti marziali in generale, il praticante può completamente comprendere il significato di 'una trasmissione al di fuori delle scritture che non risiede nelle lettere.'"

Sono stato profondamente impressionato nel sapere quanto seriamente e tacitamente il maestro Miyagi si esercitava nel cogliere l'essenza del Karate. Posso dire che il Maestro Miyagi è stato un grande santo del Karate che ci ha insegnato il "Karate del leone".

C'è un aforisma che dice: 
"Se il tuo cuore e la tua mente non sono nel giusto, allora la tua spada (karate) non può essere nel giusto.".

Sin dai tempi antichi, gli spadaccini e gli allievi di Karate erano soliti dare molta importanza a quest'aforisma. Nel mondo degli sports dove le persone tendono ad essere attaccate alla vittoria e alla sconfitta, può essere difficile comprendere che cosa significhi "Giusto Cuore, Giusta Mente" e "Giusta Spada".

Comunque, quest'aforisma ha un profondo significato e contiene la filosofia fondamentale dell'Arte Marziale attraverso la quale le arti marziali possono diventare una cultura, fornendoci una guida su come vivere.
Io spero sinceramente che voi comprendiate sempre che il Karate non è mai un mezzo per uccidere o ferire altre persone, ma che lo scopo del Karate è allenare il nostro corpo e il nostro spirito e aprire la Via verso la creazione di una società più pacifica.

Grazie molte.

© Tora Kan Dōjō