sabato 17 settembre 2011

Mu-i : La Non Paura


Mu-i 
La Non Paura

Taisen Deshimaru Roshi (1914-1982)  Patriarca dello Zen Europeo

Viviamo in un mondo di paura.
Nell'epoca attuale la paura si presenta sotto forma di un'ansia permanente che spezza lo slancio vitale e produce molte malattie.
Perche gli uomini hanno paura?
Alla base del timore e dell'angoscia c'e I'attaccamento a sé stessi e alle cose della vita.
Con la pratica regolare dello zazen, con l'abbandono dell'attaccamento, questo stato d'ansia scompare.
Se lo spirito è tranquillo, tutto diventa tranquillo.
La radice della paura deve essere vissuta e compresa.
In zazen si possono osservare le emozioni e le paure come bolle che salgono alla superficie di un fiume.
Lo spirito è ricondotto al solo momento presente e diventa simile al vasto oceano, che nulla può turbare in profondita.
La maggior parte delle paure è immaginaria e non è correlata ad un pericolo reale e immediato.
La non-paura è quella coscienza che lascia sopraggiungere le emozioni senza identificarsi con esse.
Attraverso la non-identificazione, la coscienza si libera e raggiunge uno stato di stabilità che si manifesta come non-paura.

Taisen Deshimaru Roshi

4 commenti:

  1. "Come sarebbe se, in una delle notti buie senza luna del mese, dovessi entrare in luoghi strani e spaventosi, nel foto della foresta E vicino a sepolcri, così da arrivare a comprendere la paura e il terrore? E se mi avvicinasse un animale selvatico, oppure il vento facesse stormire le foglie e io pensassi "forse ora mi prenderà la paura e il terrore"? E se essendo determinato a sciogliere la presa di quella paura e di quel terrore io rimanessi in qualunque posizione mi trovavo quando sono sorti -seduto o in piedi, sdraiato a terra o in cammino? Non cambierei posizione finché non avrei affrontato quella paura quel terrore proprio in quella stessa posizione, finché non satei stato libero dalla loro presa. (…) E, avendo questo pensiero, così ho fatto. Fronteggiando la paura e il terrore mi sono liberato."
    Buddha

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  2. Qualche hanno fa un tipo di esperienza, mi ha messo di fronte alla possibilità della morte. Non più un'idea, ma una reale eventualità. Dal terrore sono passato alla disperazione, poi qualcosa, involontariamente, si è ribellato allo stato di confusione generato dalla mente, e mi ha fatto semplicemente accettare una situazione che stavo vivendo. Senza frenesie, senza pensare a ciò che avrei potuto perdere, ma solo ciò che ancora avevo la fortuna di vivere. Poi tutto si è risolto per il meglio...visto che ancora scrivo.

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  3. Forse ciò che teme gran parte dell'umanità è soltanto il dolore fisico associato alla morte. Ma non è affatto detto che si debba per forza morire di morte violenta o a causa di una malattia dolorosa. Si comincia a pensare alla morte in sé, senza retropensieri e senza associarla al dolore e spesso serenamente soltanto molto tardi, verso la fine della vita. Nel buddhismo tibetano la meditazione sulla propria morte è un metodo molto diffuso paragonabile al training dei Ko-Ryu ovvero delle scuole tradizionali di arti marziali giapponesi in cui occorreva praticare il combattimento e i kata ponendosi continuamente in una condizione di vita o di morte. Per concludere questa brevissima nota lascio una meditazione sull'argomento composta da Stefano Landi intorno al 1600

    http://www.youtube.com/watch?v=wpAxBZSXW28&feature=share

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  4. Non posso che concordare con lei Bruno.
    Forse l'dea di morte violenta o del dolore, diventa l'unico approccio nella nostra società, a qualcosa che comunque sarà. Approccio, che come dice lei, è maggiormente evidente fino ad una certa età, perchè si è pieni di pensieri inutili sul proprio futuro, o che comunque portano ad una realtà distorta. Situazione che normalmente comincia a bonificarsi con l'avanzare dell'età (e non sempre), semplicemente perchè si perde l'interesse per la futilità delle cose. Ecco che soprattutto da giovani, l'idea della morte, diventa come una secchiata d'acqua su un vetro infangato, lascia vedere attraverso.

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