sabato 19 marzo 2011

Ieri Ho Incontrato Bill Evans

 Pubblichiamo questo bell’articolo scritto da Emilio Chelini sulla sua esperienza al Seminario di Qi Gong condotto da Sensei Sydney Leijenhorst a fine Febbraio.

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Appassionato fruitore di musica e pessimo esecutore con formazione rigida e classica, volevo confrontarmi con un approccio diverso alla musica . Così tempo fa mi sono iscritto ad un seminario con il grande pianista.


Io che non riesco a fare due esercizi di base senza vergognarmi, ho avuto l’opportunità di incontrare un mostro sacro del jazz. E per giunta morto!
Un incubo.
Bill mi guarda, e mi fa:
“allora, esistono vari livelli di profondità nell’esecuzione musicale”.
Li illustra.
L’apprendimento delle tecniche, la regolazione del respiro , del corpo e della mente rappresentano il livello base, quello fondamentale senza il quale non c’è altro livello.
Poi sicuramente il mettere insieme varie tecniche, studi, brani, generi.
Ad un livello successivo si riesce ad interpretare gli stessi brani lasciandosi ispirare da un vissuto, o da un  qualsiasi cosa ci ispiri. Ma si è ancora soggetti esecutori. (Il chiaro di luna suonato con somma ispirazione da un innamorato languido e malinconico è quanto riesco a raffazzonare dalla mia esperienza).

Poi si può cominciare addirittura a giocare con questa maestria, non più tecnica, non più solo ispirata secondo canoni e schemi, ma libera. L’improvvisazione, seguire una progressione armonica, un’idea. Lasciar fluire nelle nostre mani il soggetto che ci ispira, l’amore che si destreggia tra le dita, che le muove, muovendo l’esecutore stesso.

Mi accenna anche ad altri due livelli, il livello del suono spontaneo, l’assenza di una forma prestabilita, pura creazione limitata solo dal corpo e dallo strumento. Immagino Beethoven rapito dalla furia creatrice, che compone, sordo, l’inno alla gioia.

E infine l’assenza della pratica. (di questo, per decoro, taccio).

Per maggior gusto sadico mi fa passare allo strumento ed io cerco di apprendere i suoi movimenti ripetendoli. E poi in chiusura di seminario mi offre un assaggio della sua arte improvvisata, ispirata, spontanea.

Come posso tornare a casa? Un senso di frustrazione mi assale man mano che mi avvicino alla macchina. Rivedo velocemente la giornata. Non riesco a focalizzare il senso di quanto è successo. Mi sembra un grosso sbaglio. Nel mio bisogno di perfezione cerco di ricordare le sequenze che mi sono state insegnate, consapevole dell’unicità dell’insegnamento, ho paura di non trattenere.

Ecco l’incubo si è fatto realtà, ieri è come se avessi incontrato Bill Evans, ma in realtà ho incontrato Sensei Sydney e il suo Qi Gong della Gru Bianca. Ma la depressione è la stessa.

Sensei Sydney, mi dispiace per lui, dovrebbe attivare un corso subito, domani stesso, e rimanere per anni a Roma. E con lui il suo Maestro, per essere ancora più sicuri. L’assurdità della pretesa è evidente. Ma è vera, nasce spontanea.

Prima di andare a letto il nervosismo è ancora tangibile. Lascio che il corpo si muova, per tentare di scuotere via questa sensazione.
Con i movimenti lenti e potenti appresi la mattina l’irritazione svanisce e cessa la frustrazione.
Mi riapproprio del corpo, del respiro, mentre la mente si quieta. Non sembra importarmi che sia un primo livello. Ho imparato il significato di un gyaku zuki solo da due anni e non mi scoraggio di fronte alla maestria del mio maestro o al percorso che ho davanti, anzi mi da sicurezza, mi fa sentire che sono su una strada giusta.
Sono felice della sensazione di calore nelle mani e nella pancia, che avevo già provato durante gli esercizi della mattina. La frustrazione aveva offuscato quei gioielli, i semi che Sensei Sidney ci chiedeva di non maltrattare. Piccoli semi, che come un mantra segreto, agiscono di nascosto.
Approfitto subito di questa energia accumulata nelle mani, vado verso il letto dei piccoli e li sfioro con la carezza più calda di questo inverno ormai quasi finito, e corro a dormire.

 Grazie Sensei Paolo e Sydney. (come si dice Sensei al plurale??)



6 commenti:

  1. Grazie a te Emilio,
    Sensei Sydney ha lasciato, come sempre, un caldo sentimento di serenità e stabilità.
    Comprendo bene le tue sensazioni e il desiderio di 'trattenere' o forse sarebbe meglio dire: 'conservare' il prezioso tesoro.
    Ma, come tu stesso hai constatato, si tratta di semi, delicati, poco appariscenti, ma che contengono la memoria dell'Universo e,la Saggezza, non può essere insegnata che per accenni, dei piccoli semi, appunto, che si depositano nel terreno fertile della natura di Buddha di ognuno.
    Sta a noi lasciarli fiorire...

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  2. L'ho letto subito, mi sono ritrovata nella stessa situazione e sensazione descritta da Emilio. E' vero, come si dice Sensei al plurale? Vorrei ringraziare però, semplicemente anche gli uomini e non solo il loro ruolo.
    Da cuore a cuore.
    Gassho


    Roberta

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  3. Mi è piaciuto molto questo contributo. Karate e musica hanno molto in comune, a cominciare dal fatto che sono due arti. L'arte non ha nulla a che fare con lo stereotipo comune che piace tanto alla gente: quel mondo magico in cui si può "esprimere" narcisisticamente tutto quello che ci gira per la testa godendo di una libertà comportamentale che non è concessa alla gente comune ma solo a quei privilegiati che vengono definiti "artisti". O ancora peggio, come accade oggi, l'arte viene vista come una comoda e piacevole via per ottenere il successo, essere sempre al centro dell'attenzione di tutti e guadagnare soldi divertendosi. Curioso come nel nostro paese, che pure ha dato i natali a tanti artisti, l'arte venga vista ancora e spesso in questo modo. Sembra un mondo ideale dove tutto è concesso, ma quel mondo esiste solo nell'immaginario di persone che non sono libere, abituate a restare schiave e a non sentire la necessità di affrancarsi nemmeno da se stesse con un lavoro di autocoscienza. Invece purtroppo l'arte è una delle cose più dure e difficili da raggiungere che esistano. Tanto per cominciare, si dice che "senza disciplina non ci può essere arte", con buona pace di quelli che credevano che basta avere un po' di "talento" per essere degli artisti. Occorre invece un durissimo lavoro di disciplina, un lavoro di costante perfezionamento di se stessi, una battaglia che va avanti giorno dopo giorno tutta la vita. Questo aspetto non dovrebbe essere del tutto ignoto a chi pratica karate… Il karate è "arte" proprio in questo senso. Avendo studiato musica, anch'io la uso spesso come metafora. La pratica del karate assomiglia alla ripetizione delle scale quando si studia uno strumento. I kata assomigliano alle sonate classiche composte da diversi autori, ciascuna con la sua peculiarità. Infine, il combattimento assomiglia all'improvvisazione jazz. C'è un filosofo a me molto caro, Ludwig Wittgenstein che paragona il metodo di apprendimento di qualunque disciplina ad una scala su cui si sale. E dice che quando si arriva in cima ci si deve dimenticare della scala. Questo non significa affatto smettere di usarla, ma continuare a praticare come se non ci fosse. È lo stadio dell'improvvisazione, cioè dell'arte matura, che in musica coincide con l'esecuzione di una sonata senza spartito, avendola interiorizzata completamente, oppure all'improvvisazione jazz in cui io non so assolutamente quale nota suonerò fra un attimo ma quando arriverà quella frazione di secondo in cui dovrò suonarla uscirà spontaneamente, inconsapevolmente, e sarà la nota giusta per quell'armonia, e sarà in armonia con me e con l'altro strumentista con cui sto duettando. Io sarò quella nota. Anzi, non ci sarà nemmeno un io a suonarla. L'arte è quando si riesce a ottenere quella condizione.

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  4. Grazie Bruno per i tuoi sempre preziosi contributi.

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  5. Dear Emilio,

    I just heard about the English version of your report on our qigong seminar in Rome, from Sensei Paolo. I just read it and feel deeply honored, humbled and inspired by it. At the end I was breathless for a moment....a tear that couldn't find his way out...thank you so much....also for pointing at the deep universality of life and the arts we share...

    Sydney Leijenhorst

    traduzione:
    Caro Emilio,
    ho appena avuto notizia del tuo articolo, tradotto in inglese,sul nostro seminario di Qi Gong da Sensei Paolo.
    L'ho appena letto e mi sentito profondamente onorato e ispirato.
    Alla fine della lettura sono rimasto per un momento senza fiato...una lacrima che non trovava la strada per uscire...grazie moltissimo...anche per aver evidenziato alla profonda universalità della vita e delle arti che condividiamo....

    Sydney Leijenhorst

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